La Mogherini sul BDS conferma la politica contraddittoria della UE
Emanuel Baroz
1 novembre 2016
Il BDS è libertà di espressione, secondo la Mogherini
di Giovanni Quer
Il mese scorso la parlamentare del gruppo European United Left/Nordic Green Left Martina Anderson ha sottoposto un’interrogazione parlamentare riguardo la crescente criminalizzazione del movimento BDS (boicottaggio, disinvestimento e sanzioni) contro Israele. Preoccupata per le misure legislative contro il BDS, l’europarlamentare Anderson ha richiesto una posizione della Ministro degli Esteri dell’Unione Europea.
La Anderson ha dedicato la sua attività parlamentare anche alla causa palestinese. Nel luglio 2014, durante il dibattito parlamentare sullo scontro militare tra Israele e Hamas, ha definito la morte di 200 palestinesi una “spaventosa carneficina”. Apparentemente affezionata al numero 200, a febbraio, durante una visita nei Territori Palestinesi, ha denunciato la morte di “più di 200 palestinesi”, senza nominare l’ondata di attacchi terroristici perpetrati perlopiù da giovani palestinesi.
Nell’interrogazione parlamentare, la Anderson ha citato due importanti ONG, Amnesty International e la FIDH (Fédération Internationale des Droits de l’Homme). Entrambe hanno espresso preoccupazione per i crescenti attacchi sugli attivisti BDS, definiti “difensori dei diritti umani”.
La risposta della Mogherini ha confermato la politica contraddittoria dell’UE, difendendo il BDS pur non appoggiandolo. Gli attivisti BDS sono stati definiti difensori dei diritti umani. Le attività BDS sarebbero, secondo la risposta della Mogherini, frutto di libertà di espressione protetta sul territorio europeo. Come frase finale, però, si legge: “l’UE rifiuta i tentativi delle campagne BDS di isolare Israele e si oppone a ogni boicottaggio contro Israele“.
La gravità della risposta riguarda anzitutto le politiche nazionali, che stanno andando nella direzione di contrastare il BDS, e, in secondo luogo, conferma una visione distorta dei diritti umani. Un crescente movimento di attivisti legali pro-israeliani sta agendo per introdurre nei sistemi giuridici leggi che proibiscano gli atti di boicottaggio contro Israele. La Francia è stata il primo Stato a dotarsi di una simile legislazione, proibendo atti di boicottaggio contro prodotti o istituzioni di un certo Paese, in quanto costituiscono atti di discriminazione. In una sentenza in ottobre 2015, la Corte di Cassazione ha confermato che l’appello al boicottaggio costituisce incitamento alla discriminazione, mettendo quindi fuori legge anche le attività di pubblico appello a boicottare Israele. In una recente sentenza in Spagna, la Corte di Appello delle Asturie ha invalidato una decisione del municipio di Langreo di boicottare Israele.
Nei due casi i ragionamenti giuridici sono differenti. In Francia il caso riguardava iniziative di cittadini in favore del boicottaggio. Poiché il BDS è un atto di discriminazione, l’appello a discriminare è un incitamento a commettere un reato. La decisione del Tribunale spagnolo riguardava un atto amministrativo di una municipalità, e i giudici hanno stabilito che la competenza di imporre sanzioni economiche o di altra natura a un altro Stato è solo del governo, che definisce la politica estera. In entrambi i casi però il boicottaggio non è stato definito come un movimento per i diritti umani e la questione della libertà di espressione è discussa nel contesto di ciò che è accettabile in una società democratica che difende valori di libertà ed eguaglianza.
Qui il secondo punto della questione, ossia la visione distorta del BDS. La disinvolta argomentazione che difende il boicottaggio di Israele come “libertà di espressione” e i suoi attivisti come “difensori dei diritti umani” dimostra come il movimento BDS abbia conquistato i cuori di molti sfruttando i principi di giustizia e i valori della comunità internazionale. Il semplice parlare di diritti umani non trasforma ogni attivista in un “difensore dei diritti umani”. I movimenti in Europa Centrale che promuovono l’isolamento e la segregazione della popolazione Rom/Sinti pure basano le loro attività su un discorso di diritti umani, ma nessuno si sognerebbe di definirli “difensori dei valori della comunità internazionale”. Gli innumerevoli tipi di discorso di odio, anche più mascherati, non possono essere protetti dalla libertà di espressione. La giurisprudenza europea definisce il discorso di odio come inaccettabile in una democrazia che pure difende la libertà di espressione. Anche in America, sia negli Stati Uniti sia in Canada, dove la tradizione della libertà di espressione è molto più radicata, le limitazioni al discorso di odio si fanno più stringenti negli anni.
Ed è qui il punto della questione. Il BDS non è un movimento per i diritti umani, né un movimento politico per la pace in Medio Oriente. E’ un movimento che è tutto incentrato su Israele, con diverse posizioni e tendenze. Alcuni elementi ideologici fondamentali, però, fanno di Israele uno stato ontologicamente criminale. Nonostante la diversità interna al movimento BDS, che include anche tinte chiaramente antisemite, l’obiettivo principale di isolare Israele in seno alla comunità internazionale è il segnale di una attività che promuove la discriminazione di Israele come conseguenza di una distorta visione storica, politica e giuridica del conflitto, del sionismo e della causa palestinese. Il sentimento predominante nei discorsi, nelle pubblicazioni e nelle attività degli attivisti del movimento BDS è chiaramente anti-israeliano e antisionista, contribuendo, rafforzando e rispecchiando il nuovo antisemitismo che fa di Israele un mostro che non ha cittadinanza nella comunità internazionale e la cui esistenza è incompatibile con i principi di giustizia e libertà. Per questo il BDS non è un movimento per i diritti umani e i suoi attivisti sono attivisti politici. Per questo il BDS non ha nulla a che vedere con la libertà di espressione.
Le varie posizioni e idee che il BDS promuove possono essere l’oggetto di discussioni in una libera società democratica. Per esempio, discutere se ci sia stata o meno una pulizia etnica dei palestinesi nel 1948 è oggetto di diverse analisi storiche, che ancora però devono dimostrare l’esistenza di un piano di sterminio, espulsione in massa da parte delle forze di difesa ebraiche. Si può discutere sull’uso politico di concetti giuridici (come pulizia etnica) e di versioni storiche per favorire una narrativa del conflitto positiva per i palestinesi. Ma dare per scontato che ci sia stata una pulizia etnica dei palestinesi per fare di Israele uno Stato criminale che non ha diritto di esistere e predicarne la segregazione non riguarda i diritti umani dei palestinesi, né la risoluzione del conflitto arabo-israeliano. E’ un’ideologia che si dimostra sempre più pericolosa. Difendere questa ideologia scomodando la libertà di espressione è ancor più pericoloso.
Emanuel Baroz, 1 novembre 2016
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