Ogni giorno ce n’è una: i palestinesi non sanno più come far parlare di sé i giornalisti di tutto il mondo e troppo spesso ci riescono.
Alcune testate internazionali in questi giorni hanno lamentato il fatto che la nuotatrice palestinese Mary al-Atrash non avesse potuto allenarsi in una piscina olimpionica (50 metri) perché “gli israeliani le avevano negato l’accesso” e “in Palestina non ci sono piscine olimpioniche”.

A rispondere a queste affermazioni assurde ci ha pensato il giornalista Lior Leibovitz dalle pagine di Tablet Magazine, il quale ricorda in primo luogo che ci sono decine e decine di atleti di tutto il mondo che si allenano in vasche semi-olimpioniche (25 mt.). Ma anche se fosse fondamentale prepararsi in quelle regolamentari, al-Atrash avrebbe potuto tranquillamente farlo per due motivi:

Il primo è che il COGAT – l’ente statale israeliano che si occupa delle relazioni con i Territori palestinesi – già un mese fa aveva chiarito attraverso un comunicato che da parte della nuotatrice non era pervenuta alcuna richiesta di usufruire di piscine in Israele e che, se avesse voluto, avrebbe potuto ottenere dei permessi per allenarsi in una vasca olimpionica a Gerusalemme, come era stato proposto ad altri atleti prima di lei che avevano però rifiutato.

Il secondo motivo – ci ricorda Leibovitz – è che nei Territori palestinesi non c’è una sola piscina di 50 metri, ma ce ne sono diverse! Una si trova in una lussuosa struttura a Gaza, un’altra è a Nablus, e quando il giornalista ha chiamato il Murad Resort che si trova proprio a Beit Sakhour, la città natale di Mary al-Atrash, gli hanno confermato che anche lì è possibile trovare una piscina olimpionica.

Ovviamente queste notizie sarebbero state facilmente rintracciabili per i giornalisti che riportavano questa non-notizia come uno scandalo, ma si sa, ormai sono rimasti in pochi a voler scrivere la verità, e si preferisce piuttosto far notizia a tutti i costi. Correndo anche il rischio di inciampare in bufale come questa.

 

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