Building Bridges for Peace
אריאל
Ariel Shimona Edith Besozzi
Ho ricevuto da Cecilia Haendler (promotrice con suo marito di questa preziosa iniziativa) un messaggio che desidero condividere con tutti voi, si tratta di una storia molo bella, dolorosa, intensa e significativa. Cecilia sta offrendo ad ognuno di noi la possibilità di rendere concreto il tema scelto per la Giornata della cultura ebraica “Ponti e AttraversaMenti” poiché la storia di questo giovane uomo nato in Darfur che sta costruendo la propria possibilità di tornare nel suo paese vivendo e studiando in Israele lo rende costruttore di un ponte “tra la mia prima casa, l’Africa, e la mia seconda casa, Israele”.
Usumani Baraka ci insegna che per fare in modo che le cose possano cambiare in Darfur come in molti altri luoghi del mondo attraversati da pesanti conflitti, è necessario investire in questi giovani uomini e donne.
La sua volontà è quella di studiare per potersi dotare degli strumenti necessari per risolvere la situazione di conflitto in cui versa il suo paese.
Vi invito a leggere la sua storia ed a contribuire a rendere possibile il suo sogno.
Questo è il messaggio di Cecilia:
“Io e mio marito Yair abbiamo conosciuto a Gerusalemme Usumain Baraka, che è diventato presto un caro amico.
Usumain è sopravvissuto al genocidio del Darfur. A 13 anni ha attraversato, senza la sua famiglia e tra mille difficoltà, Chad, Libia, Egitto, per poi arrivare in Israele.
A soli 20 anni, Usumain ha già affrontato esperienze e prove durissime che nessuno, e tanto meno un bambino e un ragazzo, dovrebbe trovarsi a vivere. È stato incarcerato in diversi paesi. La sua unica colpa era: essere un minore scampato a un eccidio.
E nonostante tutto, Usumain è un ragazzo sorridente, simpatico, ironico, con una grande gioia di vivere, con molta voglia di fare e aiutare ed è un ragazzo che ama Israele profondamente.
È stato accolto in un villaggio che aiuta orfani e profughi in Israele e che gli ha dato un posto dove poter vivere in serenità, avere un tetto sotto cui dormire e pasti caldi. È così grato di questa opportunità, che si è messo a fare volontariato nel villaggio, perchè, sue parole, “sente di dover dare qualcosa indietro di quello che gli è stato regalato così generosamente.”
Usumain è una bella testa. Con grande determinazione ha studiato l’ebraico e l’inglese, ha fatto la maturità israeliana con ottimi voti ed è stato accettato in due università molto prestigiose in Israele, nell’indirizzo di studi “politica internazionale e diplomazia.” Il suo sogno è studiare diritto per poter contribuire nella risoluzione di conflitti e situazioni di crisi, per poter tornare nel suo paese e aiutare.
Io e Yair abbiamo deciso di aprire una campagna per finanziare gli studi di Usumain.
In un mare di ingiustizia, pensiamo che, come dice il Talmud, salvare e aiutare una vita, vuol dire salvare un mondo intero. Crediamo inoltre che il modo migliore per aiutare regioni dilaniate sia permettere a persone del luogo di ricevere un’educazione e la formazione adeguata per poter aiutare sul posto.
Sarei infinatamente grata se potessi contribuire in qualsiasi maniera a questa campagna con una donazione. Sarebbe anche un grande aiuto se potessi diffondere la campagna tra amici, famiglia e conoscenti.
Questo è il link: Building Bridges for Peace http://igg.me/at/rq5yZmos67o/x/11931810 (in italiano, english, ivrit)
Usumain ha un forte senso di identificazione con la storia del popolo ebraico, con lo Stato d’Israele e le sofferenze patite dalla nostra gente. Vuole costruire un ponte tra la sua prima casa, l’Africa, e quella che lui considera la sua seconda casa, Israele. Usumain è arrivato giovanissimo e senza nessuno in Israele e ha un grande senso di gratitudine per gli israeliani che lo hanno aiutato e il paese che lo ha accolto. Penso che aiutarlo a studiare voglia dire un costruire un tassello importante per il futuro.
Un ultimo aneddoto: in Israele Usumain è andato a trovare dei sopravvissuti della Shoah. Uno di loro, molto anziano, ha abbracciato questo giovanissimo ragazzo sudanese e gli ha detto: “Usumain, non sei solo.” Usumain ci ha detto che è stata l’unica volta in cui ha pianto. Ed ha aggiunto: solo lui mi può capire. È vero. Ma noi possiamo fare in modo – come è riuscito a fare quell’anziano sopravvissuto alla Shoah – che Usumain non si debba sentire e non sia più solo.”
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