Il linguaggio del Terzo Reich nei taccuini del filologo Victor Klemperer
Recensione di Aldo Nove
Testata: Corriere della Sera Sette
Data: 08 giugno 2015
Pagina: 25
Autore: Aldo Nove
Titolo: «Chi parla male, pensa male»
“Giuntina” è una piccola casa editrice specializzata in opere di argomento ebraico. Ha editato una splendida edizione in più volumi della Bibbia ebralca, con testo italiano a fronte e magistralmente commentata. II suo catalogo è prezioso ed estremamente accurato, tanto da prendersi, nei confronti del suo pubblico abituale, dei piccoli “rischi”: ad esempio una raccolta di commenti di Osho sul chassidismo, perché se Osho non c’entra con la cultura ebraica, ha saputo commentarne con illuminazione alcuni aspetti.
Ma c’è un volume di cui ho piacere di parlarvi. Il titolo è, apparentemente, strano: LTI. L’autore è il filologo Victor Klemperer. Klemperer fu ebreo con moglie “ariana” e per questo la sua persecuzione fu limitata: non finì, insomma, in campo di concentramento. Le leggi razziali del 1935 lo obbligarono comunque a lasciare la sua cattedra al Politecnico di Dresda e, come tanti nelle sue condizioni, visse di stenti fino a che, nel 1947, riottenne il suo posto all’università. LTI (La lingua del Terzo Reich, ci recita il sottotitolo) è un’acutissima riflessione, scritta in fretta e di nascosto, su una lingua, quella tedesca, che Klemperer vide cambiare nel giro di due decenni. Ogni singola parola “in mutazione” viene, tra queste pagine, annotata e come messa al microscopio, per poi valutarne le nuove interazioni nel suo ambiente, il linguaggio, a sua volta in cambiamento.
Gli esempi sono tantissimi e davvero il libro, registrazione in presa diretta di una svolta epocale, varrebbe la pena di essere letto da chiunque. Facciamo un unico esempio: la parola “fanatismo” e il relativo aggettivo, “fanatico”. Prima dell’avvento di Hitler, la parola era vista con estremo sospetto. Gli enciclopedisti francesi, ad esempio, annota Klemperer, la usavano per indicare un surplus di irragionevolezza, di cecità ideologica o più spesso religiosa. Durante il nazismo, il termine “si rovescia” e diventa positivo”: “fanatico” diventa chi difende fino alla morte il proprio ideale, che non è più dell’individuo ma di un intero popolo, che non è più popolo ma razza.
Rilevante è anche l’estrema povertà a cui volontariamente si riduce il lessico nazista, che si fa più semplice per essere compreso da tutti, specialmente dalla “pancia” del popolo. E grottesca quanto efficace è la descrizione che Klemperer ci dà della figura di Hitler e della sua lingua: ridotta al minimo e sottolineata da una mimica che supplisce alla mancanza di lessico. È chiaro: Hitler non parla, recita.
Cosa c’è di contemporaneo in un libro come questo? Tanto. Non per l’argomento (il Terzo Reich, grazie a Dio, è alle nostre spalle) ma per quanto ci insegna: ascoltare i mutamenti del linguaggio ci dice tanto di noi. E a volte, nei secoli passati, e nei decenni, troviamo spunti incredibilmente attuali. Ad esempio la tendenza alla semplificazione linguistica di cui prima.
Rabbia e demagogia erano il motore del nazismo, ci ricorda a ogni pagina Klemperer. Rabbia, demagogia e identificazione di un capro espiatorio. Questi tre elementi in particolare sono quanto mai attuali, e forse lo saranno sempre. Vanno tenuti sottocchio.
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