Je suis Dieudonné
2015/01/20
Ritratto del comico antisemita che ha mandato in tilt la Francia e l’idea di liberté. Prima corteggiato e ora rifiutato dalla sinistra
Mauro Zanon
DieudonnéProvate ad andare ora nelle banlieue, lì dove la marche républicaine in ricordo delle vittime e per la libertà d’espressione di domenica scorsa è stata una “marcia di borghesi e di bianchi”, lì dove “se la sono cercata, non dovevano toccare il Profeta, li avevamo avvertiti, avrebbero dovuto fermarsi prima”, lì dove “Allahu Akbar”, lì dove “nique la France” (fotti la Francia). Andate per esempio a Grigny, nel quartiere della Grande Borne, tra le periferie più povere e malfamate di Francia, dove è nato e cresciuto Amedy Coulibaly, l’attentatore del supermercato kosher a Porte de Vincennes, e chiedete un po’ ai giovani del posto quali idee si sono fatti degli attacchi terroristici a Charlie Hebdo e all’Hyper Cacher. Vi risponderanno così: “E’ morto per una crisi cardiaca, è sicuro, altrimenti avremmo visto sangue. E’ una messa in scena, un complotto per metterci gli uni contro gli altri. Un musulmano non attacca un altro musulmano”, dice al Figaro Aminata, diciassette anni, secondo cui il poliziotto di confessione musulmana, Ahmed Merabet, non sarebbe stato ucciso da una scarica di Ak-47. E ancora: “A Grigny, non siamo Charlie. Peraltro, nessuno è andato alla manifestazione. E’ stata una roba fatta apposta per i borghesi, per i bianchi. Avete visto sfilare molti neri e arabi? Io no…”.
Preoccupati per la già pessima reputazione della loro città, che è ora “la ville de Coulibaly”, e per l’“odio contro i musulmani che crescerà” in conseguenza degli attentati, i giovani hanno una sola certezza: si tratta di un complotto organizzato dal governo di François Hollande. I dubbi rimangono sul principale complice. Tre sono le opzioni: Israele, gli Stati Uniti o entrambi. E comunque sia, a manovrare gli eventi, sostengono all’unisono, ci sono “i media, tutti corrotti”, e soprattutto “gli ebrei”: “Sono ricchi, governano il mondo. Sono loro ad avere le redini. Controllano i media, gli Stati Uniti. Ci sono persino ministri ebrei nel governo”, lancia Fatou, assistente per l’infanzia sulla ventina, per spiegare “perché Coulibaly ce l’aveva con gli ebrei”. E i fratelli Kouachi? Sarebbero stati uccisi in Siria, dicono tutti, prima della messa in scena dei poliziotti destinata a far credere all’attentato. Invocano le lotte dei neri americani per i diritti civili, gridano con orgoglio il loro antisemitismo, comparano il sionismo al nazismo, si bevono tutto ciò che è presentato sull’oceano del web come anti sistema, immagazzinano teorie cospirazioniste a pacchi e hanno un idolo, i giovani delle banlieue: Dieudonné M’Bala M’Bala. E’ in questo clima di risentimento antiebraico e di complottismo delirante, che il comico meticcio più famoso di Francia (mamma bretone e papà camerunense) affonda le radici del suo successo, con quel suo vaffa al sistema che è l’arcinota quenelle, braccio armato della sua ideologia.
Lì, nelle periferie della “haine”, dell’odio, dove la République è in ritirata da tempo, il coro dei “Je suis Charlie” non ha attecchito. In questi giorni in cui se ne sono sentite di tutti i colori sulla libertà d’espressione, con affollamenti di voltairiani della domenica a spiegarci alla televisione e sui giornali quali sono i suoi limiti, è un altro il coro a riecheggiare di cité in cité: “Je suis Dieudo”. La decisione di metterlo in stato di fermo per poi rinviarlo a giudizio con l’accusa di “apologia di terrorismo”, in ragione della frasaccia pubblicata e poi ritirata dalla sua pagina facebook domenica sera, “Je suis Charlie Coulibaly”, non ha fatto altro che accrescere la sua popolarità, trasformandolo in un martire della libertà d’espressione.
“Le accuse di apologia di terrorismo sono ridicole”, ha tuonato Jacques Verdier, l’avvocato di Dieudonné. “Le autorità sbagliano bersaglio, in questo momento avrebbero di meglio da fare nella lotta al terrorismo. Secondo il codice penale – ha aggiunto il legale – è vietato fare direttamente apologia di atti terroristici, e provocare questi atti. Ora, credete davvero che Dieudonné sia nella posizione di provocare degli atti terroristici? Siamo di nuovo nella persecuzione di questo artista”. In suo sostegno è giunto anche il giornalista americano Glenn Greenwald – noto per aver fatto scoppiare lo scandalo Datagate – che ha pubblicato su Twitter un’immagine con su scritto #JeSuisDieudonné e un invito: “Mi aspetto che tutti i difensori della libertà d’espressione nell’Ovest postino questa immagine in segno di solidarietà”.
I fan di Dieudo – sono novecentotrentamila su Facebook, quasi il doppio del presidente Hollande, e trecentomila in più della leader del Fn Marine Le Pen – hanno gioco facile nell’amplificare la curiosa quanto emblematica coincidenza che ha determinato lo svolgimento dell’udienza per il prossimo 4 febbraio (lo stesso giorno, nel 1794, la Francia rivoluzionaria abolì la schiavitù nelle sue colonie), e nel denunciare il doppiopesismo del sistema politico-mediatico: “Viene attaccato Charlie Hebdo e tutti parlano di libertà d’espressione. Dieudonné scherza sugli ebrei e viene schiacciato dai processi”, accusa a Libération un ragazzo di un quartiere popolare di Perpignan. Fino allo scorso novembre, la “dieudosfera” si riuniva e si informava quasi esclusivamente sul sito dell’associazione politica Egalité et Réconciliation, fondata dal pamphlettista antisionista Alain Soral – recentemente condannato per diffamazione dalla 17esima camera del tribunale correzionale di Parigi per aver qualificato il vicepresidente del Fn Louis Aliot “suceur de sionistes” e “partigiano della linea antisionista del Front national”. Ora i dieudonnisti si danno appuntamento su Quenel+, presentata dal comico antisemita come la “piattaforma di reinformazione” del “movimento della Quenelle” contro “l’abominevole impero sionista”, “sempre nella direzione della demistificazione” e soprattutto “in opposizione totale ai grandi media mainstream sostenuti e finanziati dal sistema di dominazione che noi tutti subiamo e ci impedisce di pensare al di là delle zone da lui predefinite”.
Perché Quenel+? Perché la rete privata francese è per Dieudo la culla del “sistema sionista” e quindi di tutti i mali del mondo. E perché il primo dicembre come data di fondazione? Perché così come nel 1955 “Rosa Parks rifiutava di alzarsi per lasciare il posto nell’autobus, al fine di far valere la giustizia”, nel 2014 “Quenel+ si leva per far valere giustizia dinanzi all’ordine stabilito dai grandi media che controllano gli spiriti”. L’ossessione dietrologista contro il “sistema sionista” trova il suo culmine nella sezione del sito “Documentaires”. Alcuni titoli: “Occupazione 101: i danni del sionismo in Palestina”, “I collaboratori d’Israele”, “Il contratto di trasferimento: Hitler, cofondatore dello Stato d’Israele”, “Roméo de Rothschild e Juliette Rockefeller nella storia della saga del sionismo”, “Com’è che Israele ha rubato la bomba atomica?”, “Il terrorismo sionista nell’America del Sud”. Ancora in fase progettuale è invece l’“Ananassurance” (in riferimento alla sua celebre canzone, “Shoahnanas”, che ironizza sull’Olocausto e che Dieudo fa cantare puntualmente al pubblico adorante che assiste ai suoi spettacoli) la società di assicurazione per chi desidera “opporsi frontalmente al Sistema” – “devo confessare”, scrive Dieudo sul sito che la presenta, “che l’idea di mandare a cagare le società assicurative che attualmente ci assicurano mi procura una gioia e un piacere indescrivibile” – e la “banque de la quenelle”. Intanto, in attesa dell’ufficializzazione, il comico che ha messo alla berlina la Shoah rendendo l’antisemitismo pericolosamente commestibile, continua a rastrellare consensi trasversalmente, approfittando anche della goffaggine e dell’autolesionismo di quella gauche che è oggi al governo e lo silenzia, ma un tempo lo amava.
Eccome se lo amava, l’antifa nero e filopalestinese nato a Fontenay-aux-Roses, nella banlieue parigina. Quando con Elie Semoun, nei primi anni Novanta, portava sul palcoscenico i problemi sociali delle periferie francesi, come il razzismo, l’integrazione, la complessa convivenza tra religioni ed etnie diverse, intolleranze e diseguaglianze della quotidianità al di là del “périph” che cinge la capitale, il beau monde parigino andava in sollucchero al Théâtre du Splendid dove si tenevano la maggior parte dei loro spettacoli. Elie, ebreo-marocchino dal corpo esile, e Dieudonné, il ragazzotto corpulento di origine africana, non erano solo un duo comico di successo che faceva ridere giocando abilmente e con sapiente causticità sugli stereotipi razziali dilaganti, ma anche il simbolo dell’antirazzismo, della diversité, del multiculturalismo, della multietnicità. Insomma, di tutte quelle cose che la sinistra mondialista ha sempre adorato ed elevato a dogmi. Poi, nel 1997, la coppia è scoppiata. Dieudo si è reso conto che ci sapeva fare di brutto sul palcoscenico, che Elie Semoun, in fondo, era solo una spalla, che il suo umorismo spaccatutto poteva diventare accattivante anche sul piano politico e andare a raccogliere in quelle banlieue dov’era nato e cresciuto molto più che degli applausi scroscianti, a colpi di denunce, venate di tagliente ironia, della discriminazione dei neri e degli arabi.
Mosso anche dalla rabbia per la morte a Marsiglia di Ibrahim Ali, giovane francese originario delle Comore assassinato da un militante del Front national, percepita in un’ottica di scontro contemporaneo tra nativo e immigrato, decide di candidarsi alle elezioni legislative del 1997, nel comune di Dreux, proprio contro il partito di Jean-Marie Le Pen, senza etichetta, ma con una speranza: “Quella di vedere un giorno una società meticciata, ibrida, dove tutte le religioni e tutte le culture possono vivere armoniosamente”. Che è poi l’attuale utopia di una Francia black-blanc-beur attorno alla quale con il suo sodale – e altro ossessionato dal Grande Capitale Sionista – Alain Soral ha costruito la sua nuova formazione politica, Réconciliation nationale. Un partito che si vuole “antisistema” e che si batterà, secondo i loro annunci, contro Marine Le Pen, “la quale ha tradito le idee patriottiche di suo padre”, e i vari Zemmour che “ci preparano a una guerra civile antimusulmani”, nonostante “la questione dell’islam radicale sia una creazione delle manipolazioni americano-sioniste” – Il 7,7 per cento dei voti ottenuto a Dreux, lì dove trent’anni prima si verificò il celebre “coup de tonnerre” che sdoganò il Front national a livello nazionale – risulta decisivo per la sconfitta della candidata frontista, Marie-France Stirbois. La gauche è in visibilio, la stampa progressista vede nel suo one-man-show (“Dieudonné tout seul”) una “comicità intéllo”, la Dépêche du Midi parlerà per prima del “fenomeno Dieudonné” e del comico meticcio come qualcuno in grado di divertire ma allo stesso tempo di disturbare con quel “modo di superare i limiti che ricorda il Charlie Hebdo della prima ora”.
Dieudo moltiplica le iniziative mediatiche a sostegno della regolarizzazione dei “sans-papiers” e del diritto di voto agli immigrati, si mostra attivissimo sul fronte dei diritti civili e nella lotta contro le discriminazioni, milita accanto a Sos Racisme per il diritto alla casa, pur criticandone la troppa vicinanza con il Partito socialista, e appare come testimonial alla “Marcia per i diritti dei neri”.
Ma con il nuovo millennio, arriva anche il nuovo Dieudonné, e il suo discorso si tinge di odio antisemita, virando in poco tempo al delirio complottista. Siamo nel 2000, quando l’umorista si avvicina ai milieu di alcuni movimenti neri radicali, tra cui “Nation of Islam”. Alla sua ala francese, apre le porte del suo quartier generale parigino, il Théâtre de la Main d’Or, per un meeting al quale partecipa anche l’allora diciottenne Kémi Séba, panafricanista noto per le sue posizioni antisemite. Poi, il 21 marzo del 2000, in un’intervista rilasciata a France Soir, dice che “i neri non sono altro che dei grandi bambini, dei clown per gli schiavisti bianchi (…) non ci sono molte differenze tra i dirigenti di Tf1 e i bianchi che detenevano le piantagioni nei Caraibi”. Nel 2002 e nel 2003 i due dérapage che hanno segnato il punto di non ritorno: il mancato finanziamento per un film sulla tratta dei neri da parte del Centre National du Cinéma (Cnc), che accusa di essere “nelle mani dei sionisti”, e il famoso sketch andato in onda su France 3, nel quale, travestito da colono ebreo, con tanto di copricapo ortodosso e un kalashnikov in mano, urla “Isra-Heil”, scimmiottando il saluto nazista.Da lì in poi, è un susseguirsi di episodi e dichiarazioni inenarrabili. Bin Laden? “Resterà nella storia. La sua notorietà è internazionale e indiscutibile. E’ il personaggio più importante della storia contemporanea”. Ahmadinejad? Un umanista, e l’Iran è un esempio di democrazia. Poi si schiera apertamente con i “resistenti” Gheddafi e Bashar el Assad, manifesta in difesa di Al-Manar, la rete televisiva degli islamisti di Hezbollah, invita sul palco a farsi applaudire il negazionista dell’Olocausto Robert Faurisson, e siccome nessuno è più infrequentabile, decide pure di chiedere a Jean-Marie Le Pen di far da padrino alla figlia Plume. Fa paura Dieudonné dietro quel ghigno malefico e sprezzante, quella risata chiassosa e beffarda nella quale si rispecchia un’umanità variegata, di disoccupati e giovani arrabbiati, di esclusi e disillusi, di neri e di bianchi, di laici e di musulmani, che vuole sentirsi “antisistema” e parte di una “controsocietà”. “Una generazione – scrive il sito Jewpop.com – immersa in un’estrema confusione mentale, per la quale il diritto di prendersi gioco di tutti – con un presunto humor – permette di dar sfogo all’antisemitismo più nauseabondo, avente come denominatore comune il reale sentimento di un’ingiusta ‘dominazione ebraica a livello politico, sociale e finanziario’”.
Il sito d’informazione Slate.fr, parla di “dieudonnizzazione degli spiriti”. La gauche, nel panico, sta facendo di tutto per arrestare questo fenomeno. Su Quenel+, intanto, modificando lo slogan della campagna presidenziale di Hollande, Dieudonné fomenta così i suoi adepti: “La censure c’est maintenant”.
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