CHI HA BISOGNO DELLA GIORNATA DELLA MEMORIA?
25 Jan 2015
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Fare memoria, qualcosa di complesso: fare implica un’azione e la memoria ha qualcosa in sé che si avvicina maggiormente alla contemplazione e all’introspezione.
Ricordare viene dal latino recŏrdari, che contiene la parola «cuore», perché il cuore era ritenuto la sede della memoria. I filmati, le testimonianze parlano al cuore ed è questo uno degli elementi fondamentali perché si possa compiere una trasformazione, la presa di coscienza che parla al sentimento, ma questo non è sufficiente perché l’umanità che ha reso possibili quegli eventi comprenda fino in fondo perché non accada più. Per questo motivo 70 anni fa, gli alleati, che aprirono i cancelli dei campi di sterminio nazista sentirono la necessità di filmare tutto. L’esperienza che stavano attraversando impose loro una distanza immediata che era la richiesta di agire, prestare soccorso agli internati, seppellire le migliaia di corpi, catturare e sorvegliare le SS ed i loro complici. Questa dimensione del fare conduce ad un esperienza ulteriore che chiama ad una presa di consapevolezza che si registra ad un altro livello. Molti dei soldati che testimoniano nei filmati parlano della necessità di mantenere la distanza, la necessità di non farsi coinvolgere completamente da quanto era nei loro nasi, davanti ai loro occhi, nelle loro orecchie… la tragedia dei campi di sterminio nazisti è qualcosa di indicibile per questo fu subito chiara la necessità di riprendere tutto, da vicino e da lontano, il particolare ed il generale.
Tutti quelli che si trovarono di fronte a quello “spettacolo” seppero di dovere lasciare, non solo una testimonianza, una memoria, ma soprattutto dei documenti, qualcosa che fosse talmente chiaro da essere inoppugnabile sia per i contemporanei che per le generazioni a venire.
Perché quelli che entrarono nei campi compresero subito questa necessità?
Probabilmente fu l’incontro con l’inumanità umana che domandò d’essere raccolta, documentata e testimoniata. Già in quel momento compresero che, come molti avevano negato che stesse accadendo mentre accadeva, così avrebbero cercato (ancora più facilmente) di negare che fosse mai accaduto. Lo seppero perché sapevano d’essere stati, loro stessi presenti nel mondo mentre la strage si compiva e di non averla creduta possibile.
Questo è stata la Shoah, la più grande tragedia dell’essere umano, l’oscuramento dell’essere umano, l’assenza dell’essere umano. Non ho mai accetto che qualcuno si permettesse di chiedere dove fosse D-o mentre accadeva, perché questo apre la strada a che si compia di nuovo, è il rinnovamento della deresponsabilizzandone degli esseri umani. Ciò che ognuno deve chiedersi è: dove erano gli esseri umani mentre accadeva?
Proprio nella distanza tra il fare ed il comprendere, tra la dimensione etica di un’azione compiuta attraverso il riconoscimento di una norma che trasforma un’insieme di persone in un popolo, una nazione, una civiltà, si trova la possibilità che tutto ciò che è accaduto non accada di nuovo.
Quando una società fa del ricordo qualcosa di morto perché incapace di confrontarsi con la propria inazione è destinata a vedersi ripresentare la Shoah.
Infatti oggi assistiamo, a distanza di pochissimi anni, settanta, mentre ancora qualcuno di quelli che erano vivi allora sono vivi e possono testimoniare, non solo all’espandersi del negazionismo ma ancora peggio allo svilimento, al tentativo di ridimensionamento di ciò che avvenne.
La Shoah è stato il tentativo di eliminare gli ebrei, un tentativo che ha portato all’uccisione di oltre 6.000.000 di ebrei. Si stima, per difetto, si sia trattato dell’eliminazione di oltre il 70% della popolazione ebraica europea. Nel frattempo i campi sono serviti anche per la detenzione e spesso l’uccisione di politici, omosessuali, testimoni di geova… nessuno vuole svilire la morte di nessuno ma negli ultimi anni si è assistito al tentativo di sminuire l’evento accaduto al popolo ebraico e questo ha aperto di fatto la strada ad un complessivo ribaltamento del senso della memoria.
Negli anni è stato affidato quasi sempre agli ebrei il compito di raccontare, attraverso la testimonianza diretta degli ex deportati prima, poi dei figli e dei nipoti. E’ stata creata una situazione surreale per cui il giorno della memoria piuttosto che essere il giorno nel quale chi aveva fatto o lasciato fare quella strage, i loro figli ed i loro nipoti compissero un percorso di presa di coscienza e di comprensione dell’inumanità, veniva e viene chiesto alle vittime di spiegare perché furono vittime, come a doversi giustificare.
Cosa inaccettabile perché gli unici che devono ancora fare i conti con la propria responsabilità sono i carnefici e con loro quelli che tacendo si sono resi complici.
Questo processo di rimozione della responsabilità, dovuto alla caratteristica umana di sfuggire alle cose spiacevoli e sgradevoli, ha permesso che il giorno della memoria divenisse una sorta di commemorazione dei propri morti da parte degli ebrei. Per fortuna, da qualche anno, alcuni ebrei hanno cominciato a scegliere di non partecipare a questo assurdo teatrino, molti hanno scritto ed hanno detto con molta chiarezza in merito a questo (una per tutti Elena Loewenthal “Contro il giorno della memoria” add editore).
Per gli ebrei non è necessario il giorno della memoria per ricordare i propri morti, ognuno di noi sa, con precisione il dolore di questa assenza. Il giorno della memoria dovrebbe servire invece a coloro i quali hanno lasciato che accadesse, ai loro figli e nipoti perché capiscano che sarebbe stato possibile impedirlo ed invece hanno scelto di lasciare che accadesse.
A questo processo di rimozione e sostituzione è stato, nel corso degli anni, aggiunto un ulteriore processo di sostituzione e rimozione, è stato negato ancora una volta il diritto d’esistere agli ebrei attraverso la diffusione capillare e costante di falsità sullo Stato d’Israele. Quindi il giorno della memoria è diventato un momento nel quale si celebra l’ebreo morto e si chiede che non venga neppure vagamente fatto cenno all’ebreo vivo.
Sulla base di una modalità che è esattamente la stessa che ha costruito per due millenni il pregiudizio antisemita si diffama ora lo Stato d’Israele, pretendendo che gli ebrei rinneghino la propria storia, la propria identità e soprattutto la propria capacità di rinascita. Esattamente come i peggiori luoghi comuni del pregiudizio antisemita hanno permesso alla Shoah di compiersi, oggi viene costruita, giorno dopo giorno, una falsa storia che legittimi il nuovo antisemitismo: l’antisionismo.
Questo processo, di deresponsabilizzandone e le storie inventate che vengono raccontate sullo Stato d’Israele stanno lasciando che il nazi-islamismo prosegua il lavoro iniziato dal nazismo, con il silenzio complice di una grande parte dell’opinione pubblica europea, esattamente come allora. Per questo motivo abbiamo assistito ad una manifestazione oceanica dopo l’attentato al giornale satirico Charlie Hebdo ed a niente di vagamente simile per l’attentato alla scuola di Tolosa o quello della sinagoga di Gerusalemme, o molti altri che hanno colpito negli anni gli ebrei in Israele come in europa, dobbiamo considerare che il terrorismo non è tale quando colpisce gli ebrei?!?
Il popolo d’Israele vive, non ha mai cessato di vivere. E’ l’antisemita, quello di ieri e quello di oggi, che ancora deve lavorare alla propria ricostruzione, attraverso la rimozione dell’odio e la trasformazione della morte in vita.
L’europa deve scegliere se fare del ricordo della Shoah qualcosa su cui provare a ricostruirsi su basi etiche solide a partire dal superamento definitivo dell’antisemitismo o se evitare di nuovo la responsabilità delle proprie azioni e provare a sacrificare per l’ennesima volta gli ebrei.
Ciò che il mondo deve sapere è che B”H esiste lo Stato d’Israele e non ci sarà più nessun altra Masada né nessun altra Shoah!
Ariel Shimona Edith Besozzi
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