5775 / 2015: migliore dell’anno scorso, con il nostro aiuto.
Testata: Informazione Corretta
Data: 01 gennaio 2015
Autore: Ugo Volli.
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli.
Cari amici,
possiamo contare gli anni come ci piace o come ci suggerisce la nostra cultura, cioè che siamo nel 5775 secondo il calendario ebraico, che siamo nel 1436 dopo l’egira o quel che volete; fatto sta che ci siamo lasciati dietro il 2014 e come il venditore di almanacchi nel dialogo di Leopardi (leggetelo, se non l’avete fatto o rileggetelo se non lo ricordate più, è breve e bellissimo: http://www.math.unipd.it/~baldan/myphoto.html) non possiamo che augurarci ed augurare agli altri un buon anno nuovo.
Il capodanno cristiano celebra la circoncisione di Gesù.
Il fatto è però che la numerazione degli anni è una convenzione, così come lo è la collocazione del capodanno nell’orbita ellittica e dunque perfettamente continua del nostro pianeta intorno al sole; al massimo risente dell’idea mitica della rinascita della luce e magari degli dei, che è comune in così tante religioni del nostro emisfero in prossimità del solstizio d’inverno. La nostra data però è interessante, perché festeggia la circoncisione di Gesù nell’ottavo giorno della sua vita, così come accade a tutti i neonati maschi ebrei in buona salute; una delle mille circostanze dei Vangeli da cui si ricava che Gesù era nato ebreo e continuò a esserlo per tutta la sua vita. Insomma, anche se la ragione della festa è messa un po’ in sordina, ma mai negata, dalla Chiesa soprattutto negli ultimi decenni, festeggiare oggi il Capodanno (o se volete la circoncisione di Gesù) può essere una buona idea per resistere alla sua “pulizia etnica” che fu tentata dai nazisti (http://www.antoniolombatti.it/B/Blog11-07/C2DDD690-5232-4A23-A416-D2BD346B4D37.html, http://it.wikipedia.org/wiki/Cristianesimo_positivo) ed è oggi praticata dai palestinisti senza che la Chiesa alzi la voce contro questa falsificazione relativa alla sua stessa radice (http://www.israelnationalnews.com/Articles/Article.aspx/16233).
I ragazzi di Tzahal difendono Israele e la sua capitale Gerusalemme.
Ma i fatti sono ostinati e hanno poco riguardo per le nostre date, le celebrazioni, gli auguri, i botti, le stoviglie infrante e quant’altro. Il mondo non si rinnova all’ora x, nonostante i tappi delle bottiglie di spumante che volano. E’ però un momento di calma, non ci sono giornali, pochi lavorano. Gli ebrei quest’anno osservano un digiuno, perché il 1 gennaio coincide col 10 di Tevet, quando l’esercito babilonese iniziò l’assedio di Gerusalemme che portò alla caduta del Primo Tempio. E’ una coincidenza, naturalmente, dato che il calendario ebraico è solilunare: tutti i mesi iniziano con la luna nuova e durano 28 o 29 giorni; l’anno normale è dunque di 360 giorni e per pareggiare il conto col sole e quindi con le stagioni, si aggiunge un mese ogni alcuni anni, secondo un calcolo troppo complicato per essere riferito qui. Tuttavia è una coincidenza interessante, che ci fa pensare da 2601 anni fa (se il mio calcolo è corretto, stiamo parlando del 587 avanti la nostra era). E’ da allora che gli ebrei ricordano quella terribile sconfitta e l’esilio che ne seguì. Forse ricordate il salmo 137 (nella numerazione cristiana 136):
Sui fiumi di Babilonia, là sedevamo piangendo al ricordo di Sion.
Ai salici di quella terra appendemmo le nostre cetre.
Là ci chiedevano parole di canto coloro che ci avevano deportato, canzoni di gioia, i nostri oppressori: «Cantateci i canti di Sion!».
Come cantare i canti del Signore in terra straniera?
Se ti dimentico, Gerusalemme, si paralizzi la mia destra; mi si attacchi la lingua al palato, se lascio cadere il tuo ricordo, se non metto Gerusalemme al di sopra di ogni mia gioia.
Come cercano di palestinizzare Gesù, così pretendono di fare con Gerusalemme. Anche questo digiuno, che gli ebrei rispettano da più di venti secoli, parla dell’ostinazione dei fatti, del diritto ebraico sulla città santa, sul tentativo molte volte compiuto (dai babilonesi e dai sovrani ellenisti, dai romani, dai bizantini cristiani, dagli arabi musulmani, dai turchi, dagli inglesi e dalla “comunità internazionale” dal ’47 a oggi) di sottrarre Gerusalemme a Israele; e dell’ostinazione con cui il popolo ebraico ha ricordato, aspirato, ricostruito, difeso, riconquistato la sua patria. Pensate se qualcuno a Roma proponesse di ricordare l’invasione di Brenno (-390) o in Grecia la battaglia delle Termopili (-480) di un secolo circa successive: sarebbe semplicemente preso per matto. E però nel mondo ebraico questo ricordo è doveroso, anzi prescritto. Perché il possesso di un luogo è anche un obbligo, un legame reciproco, una necessità di memoria. Salvo naturalmente credere che gli antichi sudditi del regno di Giudea facessero parte di una congiura contro l’Autorità Palestinese per legittimare le “colonie”, come suggerisce il sito satico pre-occupated territories (http://www.preoccupiedterritory.com/ancient-jews-conspired-to-legitimize-modern-settlements/)
E’ di qui che deve partire la nostra riflessione su quel che sta avvenendo, l’analisi dell’anno passato e la previsione di quello futuro. Gli ebrei sono tornati a casa. Non l’avevano mai abbandonata del tutto, in realtà, ne abbiamo testimonianza fra l’altro nel 500 (Talmud babilonese), nel 900 (Massorah di Tiberiade) nei tempi delle Crociate (ci sono le lettere nella Genitzà del Cairo), nel 1500 (Kabbalah di Safed), nel 1700 (messaggio di Napoleone ad Acco). Nel 1854 erano la maggioranza a Gerusalemme, la sola città vera rimasta nella regione come testimoniò anche Marx (http://www.jewsnews.co.il/2014/01/11/uh-oh-israel-haters-are-not-going-to-like-what-karl-marx-wrote-in-1854/). Comunque sono tornati a casa in massa. Ormai la maggioranza del popolo ebraico (non una gran cifra, 6,2 milioni di persone – la terribile ferita della Shoà è ancora aperta) e ancora dalla Francia, dall’Ucraina, anche dall’Italia, da dovunque ci sia crisi e pericolo gli ebrei si rifugiano in Israele. Hanno un loro piccolo territorio, 28 mila kmq, appena poco di più della Sicilia, circondati da uno spazio geografico arabo 400 volte più grande. Si poteva supporre che il ritorno a casa fosse non solo accettato dal mondo come un diritto, ma accolto bene anche da quelli che hanno antipatia per gli ebrei – chiamiamoli antisemiti istintivi – che si toglievano dai piedi un popolo che non amano.
Come sappiamo non è stato così. Il sionismo, il processo di liberazione nazionale di un popolo oppresso da millenni, è diventato un insulto in mezzo mondo. Il fatto che gli ebrei divenissero un popolo “normale”, cioè insediato su un territorio avito non ha affatto calmato gli antisemiti, ha solo spostato l’odio dai singoli ebrei a Israele. Si è anche trovato nel corso degli anni uno strumento per quest’odio: come il nazismo e le SS erano stati di fatto il mezzo per materializzare e rendere efficace l’odio europeo che risaliva ai santi cattolici, a Lutero, a Voltaire e Kant e Wagner e tutta l’intellighenzia europea laica e religiosa, così oggi quest’odio conta sui palestinesi e sui loro gruppi armati, le SS del nostro tempo. E come piacevano agli esteti di ottant’anni fa le camicie nere e brune, le braccia tese, le cerimonie accuratamente organizzate, gli strilli isterici di Hitler e la maschia mascella del duce, così oggi non dispiacciono i terroristi in kefià, che si nascondono dietro ai bambini per sparare addosso ai civili israeliani, li rapiscono, li accoltellano alle spalle, uccidono i bambini con sassate e molotov e con le macchine. Basta entrare in un’università per vedere i fazzolettoni a scacchi bianchi e neri che sono simboli di questa ammirazione, o leggere le ovattate mozioni dei parlamenti europei per vedere la stessa posizione fondamentale.
Al di là della cronaca, questo è il quadro che abbiamo di fronte: si è precisato in termini politici negli ultimi mesi dell’anno scorso, e sicuramente ce lo ritroveremo davanti ancora nell’anno nuovo. Il movimento palestinista, nelle sue diverse articolazioni (Hamas, Fatah, i gruppetti, i “cani sciolti” o “lupi solitari” che siano) ha quest’unica ossessione: fare la guerra a Israele, danneggiare gli ebrei quanto può. Il disegno viene perseguito in maniera direttamente militarista e tutto sommato infantile (per gli atteggiamenti ridicoli, non certo per i danni) da Hamas; in modo più sofisticato e subdolo da Fatah e dall’autorità palestinese, con la lotta politica, diplomatica, legale. Ma se i mezzi sono diversi uno solo è l’obiettivo: non lo stato di Palestina, che interessa poco, salvo a coloro che potrebbero continuare a mungerlo e a rubare come hanno fatto finora, ma la distruzione di Israele. Appena respinto dall’Onu il loro “tsunami diplomatico” (così l’aveva definito Abbas), i palestinisti non hanno perso tempo e hanno inoltrato ieri domanda di adesione alla Corte Internazionale, nuovo terreno di lotta contro Israele. Se qualcuno avesse pensato che la sceneggiata al consiglio di sicurezza dell’Onu fosse un mezzo per fare pressione su Israele, ora anche questa illusione cade. Dai tempi dei dirottamenti aerei, dell’attentato di Monaco, passando per le “intifade” e per Oslo, giù giù fino a oggi, i palestinisti non hanno mai cercato davvero di trattare (la trattativa è stata solo un altro terreno di lotta contro Israele). Hanno sempre voluto una sola cosa, la stessa che prima di loro cercavano gli eserciti degli stati arabi: lo sterminio degli ebrei di Israele.
Si poteva pensare fino a qualche tempo fa che l’Europa non capisse, che reagisse in maniera automatica, senza pensare. Ma adesso che il terrorismo arabo è entrato nel suo territorio, che le “primavere arabe” hanno sparso morte e distruzione in tutto il Medio Oriente, bisogna ammettere che l’Unione Europea capisce bene, che vede come l’eventuale “pace” da essa sponsorizzata non sarebbe che una tappa della distruzione di Israele – ed approva. Questo, lo ripeto, è il quadro in cui abbiamo vissuto l’anno scorso e vivremo il prossimo. Il nostro augurio, meglio, il nostro compito è che questo piano non si compia. Israele è forte e continuerà ad esserlo, soprattutto se l’elettorato israeliano non consegnerà il paese a personaggi disastrosi come Herzog e Livni. Israele certamente farà quel che deve per continuare la sua storia, il suo straordinario sviluppo, la sua bellissima cultura. Noi che stiamo in Europa dobbiamo cercare di chiarire, di spiegare, di denunciare quel che accade. Ciascuno di noi, in un’epoca di informazione reticolare, in cui la gente si informa più attraverso i social media che coi tradizionali mezzi di comunicazione centralizzati, può fare molto. Può essere un soggetto attivo nella comunicazione, non solo un ricevitore; un informatore, non solo un informato, un opinion leader nel suo ambiente. “Informazione corretta” è piena di notizie, di opinioni, di indicazioni. Non è una semplice rassegna stampa, ma un luogo di opinione e di pensiero, che dà ai suoi lettori i mezzi per intervenire attivamente nel loro ambiente. Fatelo, cercate, o meglio cerchiamo assieme di cambiare le cose. Siamo tutti quanti più attivi, più impegnati, più decisi ad agire. Solo cambiando le idee, discutendo con quelli che ci sono vicini, migliorando il piccolo mondo che ci circonda, potremo aiutare a migliorare il grande mondo che non funziona e talvolta ci minaccia. Tanti auguri dunque per un 2015 migliore dell’anno scorso, con il nostro aiuto.
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