GAZA: QUELLO CHE MOLTI NON VOGLIONO RICORDARE
CHIAREZZA MORALE A GAZA
18.07.2014
Tratto da un articolo di Charles Krauthammer, pubblicato sul Washington Post il 17 luglio 2014
Israele accetta le proposte egiziane di tregua a Gaza; Hamas continua a sparare. Hamas spara deliberatamente razzi contro i civili; Israele cerca accuratamente di evitare i civili, telefonando ai civili nella zona e lanciando colpi di avvertimento, il cosiddetto roof-knocking.
“Ecco la differenza tra noi e loro”, spiega il Primo Ministro israeliano: “Noi utilizziamo una difesa missilistica per proteggere i nostri civili, mentre loro usano i loro civili per proteggere i loro missili”.
Raramente la politica internazionale presenta un momento di tale chiarezza morale. Eppure si sente regolarmente definire questi combattimenti tra Israele e Gaza come un “ciclo della violenza” moralmente equivalente. Questo è assurdo. Quale interesse può mai avere Israele nella lotta oltre confine? Tutti sanno che Hamas ha dato inizio a questa mini-guerra. E tutti conoscono la ragion d’essere di Hamas autoproclamata orgogliosamente: l’eliminazione di Israele e dei suoi ebrei.
Gli apologeti di Hamas attribuiscono questo spargimento di sangue all’occupazione israeliana e al blocco. Occupazione? Nessuno ricorda nulla? Era meno di 10 anni fa che le televisioni di tutto il mondo mostravano l’esercito israeliano trascinare via a forza i coloni irriducibili giù dai tetti di una sinagoga nella Striscia di Gaza, mentre Israele sradicava gli insediamenti, espelleva i suoi cittadini e ritirava il suo esercito, restituendo ogni centimetro di Gaza ai palestinesi. Non era rimasto un solo soldato, non un solo colono, non un solo israeliano a Gaza.
E non c’era nessun blocco. Anzi. Israele voleva che questo nuovo stato palestinese avesse successo. Per aiutare l’economia di Gaza, Israele aveva dato ai palestinesi le sue 3.000 serre che producevano frutta e fiori per l’esportazione. Aveva aperto i valichi di frontiera e incoraggiato il commercio.
L’idea era quella di stabilire il modello per due Stati che vivono pacificamente e produttivamente fianco a fianco. Nessuno sembra ricordare che, contemporaneamente con il ritiro da Gaza, Israele aveva smantellato anche quattro piccoli insediamenti nel nord della Cisgiordania, come chiaro segnale della volontà di Israele di lasciare anche la Cisgiordania e quindi giungere a una soluzione amichevole di due stati.
Questa non è storia antica. Questo è successo nove anni fa.
E come hanno reagito i palestinesi di Gaza alle concessioni degli israeliani, concessioni che nessun dominio precedente, né egiziano, né inglese, né turco, aveva mai dato loro: un territorio indipendente? In primo luogo, hanno demolito le serre. Poi hanno eletto Hamas. Poi, invece di costruire uno stato con le sue relative istituzioni politiche ed economiche, hanno impiegato buona parte di un decennio a trasformare Gaza in un’enorme base militare, piena zeppa di armi del terrorismo, per fare la guerra incessantemente contro Israele.
Dove sono le strade e le ferrovie, l’industria e le infrastrutture del nuovo stato palestinese? Da nessuna parte. Invece, hanno costruito chilometri e chilometri di tunnel sotterranei per nascondervi le armi e, quando il gioco si fa duro, anche i loro comandanti militari. Hanno speso milioni a importazione e produrre razzi, lanciarazzi, mortai, armi leggere, e anche droni. Li hanno deliberatamente collocati in scuole, ospedali, moschee e case private, per esporre meglio i propri civili. (Solo giovedì, l’Onu ha annunciato di aver trovato 20 razzi in una sua scuola a Gaza.) E da questi luoghi sparano razzi su Gerusalemme e Tel Aviv.
Perché? I razzi non possono nemmeno infliggere gravi danni, essendo quasi tutti intercettati dal sistema antimissile Iron Dome di Israele. Anche il leader della Cisgiordania Mahmoud Abbas ha posto la domanda: “Che cosa state cercando di ottenere con il lancio di razzi?”.
Non ha senso. A meno che non si capisca, come spiegato dell’editoriale di martedì, che il punto è quello di attirare la risposta israeliana.
Questa produce morti palestinesi per la televisione internazionale. È per questo che Hamas esorta perversamente il suo popolo a non mettersi in salvo quando Israele lancia volantini di avvertimento per un imminente attacco.
Muovere deliberatamente guerra in modo che il tuo popolo possa essere telegenicamente ucciso è pura follia morale e tattico. Ma poggia su una premessa molto razionale: dato lo stato orwelliano del trattamento che il mondo riserva a Israele (vedi: il grottesco Consiglio delle Nazioni Unite per i Diritti Umani), alimentato da un mix di classico antisemitismo, ignoranza storica pressoché totale e simpatia riflessiva per l’apparente diseredato Terzo Mondo, queste eruzioni che mostrano vittime palestinesi in definitiva minano il supporto per la legittimità e il diritto all’autodifesa di Israele.
In un mondo di tali kafkiane inversioni etiche, la depravazione di Hamas comincia ad avere un senso. Questo è un mondo in cui il massacro di Monaco è un film e l’assassinio di Klinghoffer è un’opera – entrambi profondamente indulgenti con gli assassini. Questo è un mondo in cui l’Onu ignora i peggiori criminali di guerra dell’umanità, mentre condanna incessantemente Israele, uno stato guerreggiato da 66 anni che fa comunque di tutto per evitare di fare del male agli innocenti che i suoi stessi nemici usano come scudi.
Va a credito degli israeliani che, in mezzo a tutta questa follia, non hanno perso i loro scrupoli morali, o i loro nervi saldi. Quelli che stanno fuori della regione hanno l’obbligo minimo, dunque, di svelare questa follia e di dire la verità. Raramente è stato così accecantemente chiaro.
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