L’Umbria crede che prima di Israele ci fosse una qualche Palestina.
Testata: Informazione Corretta
Data: 28 agosto 2013
Autore: Giovanni Quer
commento di Giovanni Quer
La convinzione che prima di Israele esistesse la Palestina sembrava esser
tramontata dai numerosi studi sul Mandato Britannico degli ultimi vent’anni,
che hanno chiarito come il territorio su cui sono sorti Israele e poi
l’Autorità Palestinese fosse governato dai britannici fino al 1948. Di
recente, tuttavia, eventi culturali di varia natura hanno reintrodotto
l’idea che Israele sia stata creata su uno stato palestinese o su una
comunità nazionale palestinese. La nascita di Israele sarebbe, di
conseguenza, l’erosione territoriale di uno stato mai esistito; mentre
l’esistenza di Israele oggi rappresenterebbe la repressione dei sentimenti
nazionali palestinesi.
Da due anni almeno si organizzano in varie città d’Italia eventi che
ospitano la mostra fotografica itinerante “Palestina della Convivenza
1880-1948”. Il titolo di per sé reca un errore storico e filologico,
attribuendo al termine “Palestina” un arco temporale che non corrisponde
alla storia della realtà geopolitica cui lo stesso termine si riferisce. La
“Palestina” è uno spazio geo-politico che nasce con il mandato britannico
nel 1920, mentre prima il territorio era suddiviso in realtà amministrative
ottomane. Il contenuto della mostra si concentra sulla popolazione araba del
luogo, dipingendola come una comunità nazionale distinta dalle altre
comunità arabe.
Catiuscia Marini, non è solo un missile, è anche presidente della Regione Umbria.
Un esempio ancor più significativo è l’edizione corrente del Festival di
Todi in Umbria, che ha ospitato due eventi sulla Palestina: l’adattamento
teatrale dell’opera “Ritorno a Haifa” di Ghassan Kanafani e il dibattito
“C’era una volta un Paese: Terra di Palestina”. In entrambi i casi i titoli
degli eventi si rifanno a concetti politici e storici il cui contenuto
emozionale è falsato in funzione anti-israeliana. “Ritorno a Haifa” richiama
la complessa questione del diritto al ritorno e degli “esuli” o “profughi”
palestinesi, il cui spossessamento è oggetto di un controverso dibattito
storico. Il secondo titolo invece instilla l’idea che “una volta” ci fosse
un Paese, quindi una istituzione politica con una coscienza storica e
nazionale, per poi sostituire l’espressione “Terra d’Israele” con la parola
Palestina.
Per quanto attiene al contenuto, l’opera di Kanafani racconta la storia di
esuli palestinesi cui è concesso il ritorno a Haifa e le implicazioni
emozionali nel rivedere le loro proprietà usurpate dagli occupanti
israeliani. Nel libro come nella descrizione dell’opera si legge che gli
israeliani hanno occupato Haifa: l’ennesima menzogna storico-filologica, ché
Haifa era comunque destinata al costituendo Stato ebraico secondo la
spartizione delle Nazioni Unite. Infine, la figura di Kanafani, legata
all’organizzazione terroristica “Fronte Popolare per la Liberazione della
Palestina”, e il suo coinvolgimento in atti terroristici sono completamente
eclissati dal sentimento orientalistico del suo pensiero. Kanafani ha speso
una vita nel dare una lettura marxista-orientalistica del palestinese come
povero contadino usurpato e dileggiato dall’occupante sionista, e questo
pensiero è stato reso storicamente vero negli eventi culturali organizzati
in Umbria.
Massimo D’Alema
Il dibattito sulla Palestina vede la partecipazione di Sari Nusseibeh,
dell’Università di Al-Quds, ritenuto moderato, ma pervicacemente contrario
all’idea do uno Stato ebraico e favorevole invece ad uno stato binazionale
in cui gli ebrei dovrebbero vivere come una preziosa minoranza da trattare
bene. Le personalità italiane che hanno partecipato, la presidente della
regione Umbria Catiuscia Marini e Massimo D’Alema, hanno già dimostrato in
passato la loro collocazione dalla parte della causa palestinese.
Sari Nusseibeh l’invitato che mancava, quello che doveva rappresentare l’opinione di Israele
Queste iniziative non sono i soliti dibattiti sul conflitto tra Israele e
Palestina in cui Israele esce sempre con una pessima immagine. Il valore
delegittimatorio di queste occasioni culturali si sostanzia nello
stravolgimento della storia e nello sradicamento della narrativa israeliana
e sionista che scompaiono dalla mappa del Vicino Oriente per prendervi posto
come “usurpatori”, “razzisti” e “strangolatori dei sogni nazionali altrui”.
Ancor più grave è l’operazione intellettuale di falsamento storico e
politico, che sostiene la costruzione di un’identità storica e nazionale di
una Palestina che non esisteva. Questi eventi non hanno altro effetto che
appoggiare la narrativa palestinese che si è spesso concentrata
nell’usurpazione territoriale successiva all’occupazione dei territori nel
1967, ma che ora si sviluppa come usurpazione tout court, addirittura prima
del 1948.
Senza mettere in dubbio che si possa discutere dell’identità nazionale
palestinese, c’è comunque da chiedersi come categorie politiche e concetti
storici vengano utilizzati in maniera a-cronica e a-filologica per il solo
scopo di delegittimare Israele. Se è legittimo chiedersi l’origine, il
motivo e le aspirazioni dell’identità nazionale ebraica, del pari è
legittimo interrogarsi sulla storicità e la costruzione dell’identità
nazionale palestinese. Ma se l’identità nazionale palestinese è presa come
un datum della storia, mentre ci si intestardisce sul chiedere agli ebrei la
giustificazione della loro esistenza come popolo e come nazione, allora già
si sconfina nel vasto ambito della delegittimazione di Israele e della più
accettata repressione dell’identità nazionale ebraica.
È libera decisione dei singoli come spendere i propri soldi e a quali cause
destinarli, ma quando questi eventi sono finanziati da enti pubblici, come
il Comune di Todi e la Regione Umbria, allora bisogna fare qualche domanda
ai governanti di queste autorità locali sulla legittimità delle loro
decisioni. Ed è quel verrà fatto.
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