Israele è felice, fatevene un ragione – di Daniel Pipes
Elio Rabello | 15 giugno 21.10.15 |
In una dichiarazione tipicamente maldestra, il segretario di Stato americano John F. Kerry si è di recente lamentato del fatto che gli israeliani sono troppo felici per mettere fine al loro conflitto con i palestinesi: «La gente in Israele non si sveglia ogni mattina chiedendosi se domani ci sarà la pace, perché c’è una sensazione di sicurezza, di successo e di prosperità». Se Kerry non comprende gli israeliani (il negazionismo palestinese e non la prosperità li ha indotti a perdere ogni speranza nella diplomazia), ha però ragione a dire che essi hanno «una sensazione di sicurezza e (…) di prosperità».
Gli israeliani sono, in genere, delle persone molto felici. Un recente sondaggio ha rilevato che il 93 per cento degli ebrei israeliani è orgoglioso di essere israeliano. Sì, è vero, le armi nucleari iraniane costituiscono una minaccia e un confronto con Mosca non è da escludere, ma le cose non sono mai state così positive. Ringraziando Efraim Inbar della Bar-Ilan University per qualcuna delle seguenti informazioni, cerchiamo di capire i motivi di tutto questo. – Le donne devono dare alla luce 2,1 figli per sostenere la popolazione del Paese; Israele ha un tasso di natalità di 2,65, che ne fa l’unico Paese avanzato a essere in grado di compensare il ricambio. (Il successivo Paese avanzato che registra un tasso di natalità del 2,08 è la Francia; il tasso di natalità più basso è quello di Singapore che è di 0,79). Se gli ebrei haredim e gli arabi giustificano in parte questo robusto tasso di natalità, anche gli ebrei laici danno un grosso contributo. – Durante la recessione del 2008-2012, Israele ha beneficiato di una crescita del 14,5 per cento del prodotto interno lordo, che ne ha fatto il più alto tasso di crescita economica di un Paese dell’OCSE. (Al contrario, le economie avanzate nel complesso hanno avuto un tasso di crescita del 2,3 per cento, con gli Stati Uniti che hanno inciso con un 2,9 per cento e l’Eurozona che ha registrato meno dello 0,4 per cento).
Israele investe il 4,5 per cento del proprio PIL in ricerca e sviluppo, la percentuale più alta di ogni altro Paese. – In seguito agli importanti ritrovamenti di gas e petrolio, Walter Russel osserva, “la Terra Promessa, da un punto di vista delle risorse naturali, potrebbe essere (…) gradatamente il Paese al mondo più prezioso e più ricco di energia”. Queste risorse rafforzano la posizione di Israele a livello mondiale. – Con la Siria e l’Egitto alle prese con i loro problemi interni, la minaccia esistenziale che un tempo incombeva su Israele per il momento è quasi scomparsa. Grazie alle tattiche innovative, gli attacchi terroristici sono stati pressoché eliminati. Le IDF hanno delle eccezionali risorse umane e sono in possesso di tecnologie militari all’avanguardia; mentre la società israeliana ha mostrato la sua disponibilità a combattere un conflitto prolungato.
Efraim Inbar, un esperto di strategia, arguisce che “la disparità di potere tra Israele e i Paesi vicini è in continua crescita”. – La questione diplomatica palestinese che ha dominato la scena politica del Paese per decenni dopo il 1967 ha perso importanza, con solo il 10 per cento degli ebrei israeliani che ritiene che i negoziati abbiano la precedenza assoluta. Kerry può essere ossessionato da questo problema ma nelle parole aspre di un politico: “Discutere del processo di pace per molti israeliani è l’equivalente di discutere del colore della maglietta da indossare quando si atterrerà su Marte”. – Anche la questione nucleare iraniana può essere meno terribile di quanto appaia. Considerando la potenza assai più distruttiva dell’arsenale nucleare di Israele e il suo sistema missilistico di difesa, il cui sviluppo procede a pieno ritmo, l’analista militare Anthony Cordesman prevede che uno scontro nucleare danneggerebbe gravemente Israele ma distruggerebbe la civiltà iraniana. “Una ripresa dell’Iran, almeno nell’accezione consueta del termine, è impossibile”.
Folle com’è la leadership iraniana, rischierà davvero tutto? – I successi riportati dal movimento per il “boicottaggio, disinvestimento e sanzioni” sono piuttosto scarsi (Stephen Hawking ha declinato l’invito del presidente! Un organismo delle Nazioni Unite ha approvato un’altra assurda condanna). Israele ha relazioni diplomatiche con 156 dei 193 membri delle Nazioni Unite. Considerando più parametri, Inbar rileva che a livello globale “Israele è piuttosto ben integrato”. – Nei sondaggi di opinione condotti negli Stati Uniti, il Paese più importante al mondo e il principale alleato di Israele, lo Stato ebraico batte regolarmente i palestinesi con una proporzione di 4 a 1. E se le università sono davvero ostili, chiedo a chi si arrovella: “Dove preferireste essere forti, al Congresso americano o nei campus?” Ponendo questa domanda si deve rispondere. – Le tensioni tra ashkenaziti e sefarditi sono diminuite col passare del tempo a causa dei matrimoni misti combinati alle interpenetrazioni culturali.
La questione dell’isolamento e della non partecipazione degli haredim alla leva e alla vita economica del Paese è finalmente affrontata. – Gli israeliani hanno apportato dei notevoli contributi culturali, in particolare alla musica classica, il che ha indotto un critico, David Goldman, a definire Israele “una superpotenza tascabile nelle arti”. Ascoltate, antisionisti e antisemiti, palestinesi e islamisti, militanti di estrema destra e di estrema sinistra: state combattendo una battaglia persa; lo Stato ebraico prevale. Come Efraim Inbar arguisce a ragione, “Il tempo sembra essere dalla parte di Israele”. Arrendetevi e trovatevi qualche altro Paese da tormentare.
Tratto dal Washington Times (L’Opinione, 15 giugno 2013 – trad. Angelita La Spada)
Gli israeliani sono, in genere, delle persone molto felici. Un recente sondaggio ha rilevato che il 93 per cento degli ebrei israeliani è orgoglioso di essere israeliano. Sì, è vero, le armi nucleari iraniane costituiscono una minaccia e un confronto con Mosca non è da escludere, ma le cose non sono mai state così positive. Ringraziando Efraim Inbar della Bar-Ilan University per qualcuna delle seguenti informazioni, cerchiamo di capire i motivi di tutto questo. – Le donne devono dare alla luce 2,1 figli per sostenere la popolazione del Paese; Israele ha un tasso di natalità di 2,65, che ne fa l’unico Paese avanzato a essere in grado di compensare il ricambio. (Il successivo Paese avanzato che registra un tasso di natalità del 2,08 è la Francia; il tasso di natalità più basso è quello di Singapore che è di 0,79). Se gli ebrei haredim e gli arabi giustificano in parte questo robusto tasso di natalità, anche gli ebrei laici danno un grosso contributo. – Durante la recessione del 2008-2012, Israele ha beneficiato di una crescita del 14,5 per cento del prodotto interno lordo, che ne ha fatto il più alto tasso di crescita economica di un Paese dell’OCSE. (Al contrario, le economie avanzate nel complesso hanno avuto un tasso di crescita del 2,3 per cento, con gli Stati Uniti che hanno inciso con un 2,9 per cento e l’Eurozona che ha registrato meno dello 0,4 per cento).
Israele investe il 4,5 per cento del proprio PIL in ricerca e sviluppo, la percentuale più alta di ogni altro Paese. – In seguito agli importanti ritrovamenti di gas e petrolio, Walter Russel osserva, “la Terra Promessa, da un punto di vista delle risorse naturali, potrebbe essere (…) gradatamente il Paese al mondo più prezioso e più ricco di energia”. Queste risorse rafforzano la posizione di Israele a livello mondiale. – Con la Siria e l’Egitto alle prese con i loro problemi interni, la minaccia esistenziale che un tempo incombeva su Israele per il momento è quasi scomparsa. Grazie alle tattiche innovative, gli attacchi terroristici sono stati pressoché eliminati. Le IDF hanno delle eccezionali risorse umane e sono in possesso di tecnologie militari all’avanguardia; mentre la società israeliana ha mostrato la sua disponibilità a combattere un conflitto prolungato.
Efraim Inbar, un esperto di strategia, arguisce che “la disparità di potere tra Israele e i Paesi vicini è in continua crescita”. – La questione diplomatica palestinese che ha dominato la scena politica del Paese per decenni dopo il 1967 ha perso importanza, con solo il 10 per cento degli ebrei israeliani che ritiene che i negoziati abbiano la precedenza assoluta. Kerry può essere ossessionato da questo problema ma nelle parole aspre di un politico: “Discutere del processo di pace per molti israeliani è l’equivalente di discutere del colore della maglietta da indossare quando si atterrerà su Marte”. – Anche la questione nucleare iraniana può essere meno terribile di quanto appaia. Considerando la potenza assai più distruttiva dell’arsenale nucleare di Israele e il suo sistema missilistico di difesa, il cui sviluppo procede a pieno ritmo, l’analista militare Anthony Cordesman prevede che uno scontro nucleare danneggerebbe gravemente Israele ma distruggerebbe la civiltà iraniana. “Una ripresa dell’Iran, almeno nell’accezione consueta del termine, è impossibile”.
Folle com’è la leadership iraniana, rischierà davvero tutto? – I successi riportati dal movimento per il “boicottaggio, disinvestimento e sanzioni” sono piuttosto scarsi (Stephen Hawking ha declinato l’invito del presidente! Un organismo delle Nazioni Unite ha approvato un’altra assurda condanna). Israele ha relazioni diplomatiche con 156 dei 193 membri delle Nazioni Unite. Considerando più parametri, Inbar rileva che a livello globale “Israele è piuttosto ben integrato”. – Nei sondaggi di opinione condotti negli Stati Uniti, il Paese più importante al mondo e il principale alleato di Israele, lo Stato ebraico batte regolarmente i palestinesi con una proporzione di 4 a 1. E se le università sono davvero ostili, chiedo a chi si arrovella: “Dove preferireste essere forti, al Congresso americano o nei campus?” Ponendo questa domanda si deve rispondere. – Le tensioni tra ashkenaziti e sefarditi sono diminuite col passare del tempo a causa dei matrimoni misti combinati alle interpenetrazioni culturali.
La questione dell’isolamento e della non partecipazione degli haredim alla leva e alla vita economica del Paese è finalmente affrontata. – Gli israeliani hanno apportato dei notevoli contributi culturali, in particolare alla musica classica, il che ha indotto un critico, David Goldman, a definire Israele “una superpotenza tascabile nelle arti”. Ascoltate, antisionisti e antisemiti, palestinesi e islamisti, militanti di estrema destra e di estrema sinistra: state combattendo una battaglia persa; lo Stato ebraico prevale. Come Efraim Inbar arguisce a ragione, “Il tempo sembra essere dalla parte di Israele”. Arrendetevi e trovatevi qualche altro Paese da tormentare.
Tratto dal Washington Times (L’Opinione, 15 giugno 2013 – trad. Angelita La Spada)
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