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David arriva da un sobborgo di Los Angeles, è di «estrema sinistra» e ha votato per Obama. Nella sua famiglia ci sono origini anche italiane. Ha studiato per fare il giornalista e vissuto a Gerusalemme, 6 mesi nella parte israeliana, altrettanti in quella araba. È curioso del mondo e forse non si sarebbe mai aspettato una cosa simile. Scopre che la sua bandiera, nella giornata dedicata alla Liberazione, è meglio non esporla. Glielo sconsigliano cortesemente gli agenti presenti in piazza, giustamente preoccupati che tutto scorra liscio (come sarà).Glielo chiedono due volte, anche in Duomo. Loro stessi verificano che la richiesta è giustificata dal clima che si respira in piazza. Una donna con una maglietta «Yankee go home» grida e insulta. Anche per le insegne della Brigata ebraica ci sono reazioni aggressive. David è «un visitatore», molto rispettoso. E non vuole giudicare.

Pensando alle belle e gioiose parate americane si dice sorpreso del fatto che il 25 aprile sia – «più che una celebrazione e un’occasione di festa» – «un evento politico non unificante, che celebra il dividement», le divisioni. Lui e Filippo chiedono soprattutto se gli organizzatori abbiano invitato le rappresentanze diplomatiche dei Paesi alleati. Ed eventualmente se hanno risposto. «Se c’è un giorno in cui sventolare la bandiera USA è proprio il 25 aprile», commenta Davide Romano, segretario degli Amici di Israele, che chiede agli americani di «tornare per liberare il 25 aprile». «L’anno prossimo vengano in massa – dice – a marciare con noi. La Liberazione è anche la loro festa. Chiedo all’Anpi di dedicare il prossimo 25 aprile agli alleati. E far sì che sia una festa con tutte le bandiere degli alleati. Lo dobbiamo alla verità storica».

ilgiornale.it

 

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