pressphoto266Testata: La Stampa
Data: 16 febbraio 2013
Pagina: 20
Autore: Marco Belpoliti- Francesca Paci
Titolo: «L’urlo e l’innocenza nella foto dell’anno-Tutta la storia sta dentro uno scatto» //*IC*

Il Premio “World Press Photo” ha scelto quale foto dell’anno quella che viene definita “un’istantanea scattata a Gaza a novembre” dal fotografo svedese Paul Hansen, nella quale si vede un corteo di uomini con in braccio i cadaveri di alcuni bambini. La STAMPA di oggi, 16/02/2016, a pag.20/21 pubblica l’immagine, preceduta e seguita da due articoli che hanno dll’incredibile. Non una parola sulle vere stragi di questo ultimo anno (80.000 vittime solo in Siria, con migliaia di bambini !), in tutti gli stati arabo-musulmani sono in atto repressioni sanguinarie, ignorate totalmente. il World Press Photo sceglie una foto scattata a Gaza- sulla quale non mettiamo la mano sul fuoco, ben sapendo quante immagini in stile photoshop sono state spacciate per vere !- perchè così può criminalizzare Israele, in una azione che tutto il mondo ha ritenuto difensiva.
Ma che Marco Belpoliti e Francesca Paci non ne facciano cenno, ha dell’incredibile. Il pezzo di Paci, dei due, è il più grave, con il suo paragone di Davide e Golia,e, soprattutto, con lo spacciare il  ‘Caso Al Dura’ per vero, quando è stato dimostrato nel processo intentato a Parigi contro France 2, che si è tratto di una montatura.
Con queste due paginate la STAMPA ha dato un pessimo esempio di conformismo. Ne ha scritto oggi solo il quotidiano torinese, che andrà pure orgoglioso dello scoop.
Invitiamo i nostri lettori a scrivere al direttore della STAMPA Mario Calabresi per esprimere la propria indignazione.

Marco Belpoliti: ” L’urlo e l’innocenza nella foto dell’anno”

Un funerale di soli uomini. Là dove il compianto è sempre quello delle donne, Paul UHansen ci offre invece il dolore e l’urlo degli uomini di Gaza con in braccio i due corpi di bambini in primo piano, immagine straziante. Lo sguardo si sposta dai volti degli uomini, giovani e anziani, a quello delle piccole creature dentro i lenzuolini bianchi, immagine d’innocenza. Ma è anche una manifestazione politica quella che avanza tra gli stretti muri del vicolo, tra le grida e le mani levate. È proprio l’assenza delle donne a fare specie. Gaza è diventata un luogo di martirio, ma anche una piccola miniera di scatti fotografici. Cosa vuole comunicarci la giuria del World Press assegnando la palma di foto dell’anno all’immagine di Hansen? Che il dramma della guerra, sempre rimosso in Occidente, è un segno permanente dell’umanità contemporanea? Che i bambini sono le prime vittime? Che la politica torna così di attualità attraverso l’immagine? Che l’estetica è decisiva? Si tratta di una fotografia che rinvia all’elemento religioso, all’iconografia ben piantata nella nostra memoria e nel nostro immaginario cristiano. Guardando le altre foto segnalate e prescelte quest’anno, si capisce che l’orientamento del premio è segnato dalla guerra, dal dolore, dalla sofferenza. Guarda fuori dai confini dell’Europa, e dell’Occidente in generale. Si ferma là ove i conflitti, le torture, le repressioni, tengono il campo. Una scelta legittima, senza dubbio, che tuttavia manifesta un’idea della fotografia come registrazione della realtà legata al dolore e alla morte. Il «punctum» sono i visi dei bambini: addormentati, lontani. Uno più disteso, l’altro – in primo piano – contratto. Sono visivamente allineati. Sono l’assenza presente in questo corteo funebre che urla tra le pareti grigie della città palestinese. Quel bianco che è simbolo di purezza colpisce più di ogni grida di vendetta che si leva dal coro degli uomini.

  Francesca Paci: ” Tutta la storia sta dentro uno scatto

È appena terminata una notte di bombe, vetri rotti, sirene, quando a Gaza si diffonde la notizia dell’intera famiglia Hijaz sepolta sotto le macerie nel campo profughi di Jabalya.

È la mattina del 20 novembre, i droni mettono come sempre alla prova i nervi più saldi, sei giorni prima l’esercito israeliano ha ammazzato il leader di Hamas Ahmed Jabari lanciando l’operazione «Pilastro di difesa» con l’intenzione di porre fine ai razzi che da due anni bersagliano le cittadine nel Negev.

Da ore montano tensione, numero dei morti, disinformazione reciproca, ma i corpi del piccolo Muhammad e del fratellino di due anni Suahib portati in macabro trionfo tra i vicoli di Jabalya diventano immediatamente il simbolo dell’ennesima battaglia nello scontro infinito tra Davide e Golia, dove nessuno rappresenta meglio dei bambini il pastorello alle prese con il temibile gigante della Bibbia.

Era già successo nel 2008, quando a sollevare l’indignazione internazionale per l’operazione israeliana Piombo Fuso furono le immagini delle circa 400 piccole vittime (quattro delle quali appartenenti alla stessa famiglia Samouni) moltiplicate via Internet dai computer di Gaza.

La tesi palestinese è che gli israeliani mirino ai civili uccidendo quelli più indifesi, gli altri puntano l’indice contro l’irresponsabilità di chi, senza uniforme, combatte facendosi scudo delle potenziali vittime più utili alla propaganda.

Chi ha ucciso il piccolo Mohammed al Dura, si sono chiesti per anni le migliori penne del giornalismo mondiale? Il tredicenne palestinese colpito mentre si nascondeva tra le braccia del padre nell’infuriare della seconda Intifada era diventato una sorta di «Pietà» per il mondo arabo. Allora, era il 2000, una delle principali strade di Baghdad venne ribattezzata «The Martyr Mohammed Aldura Street», il Marocco inaugurò l’al-Dura Park e Osama bin Laden lo menzionò all’indomani dell’11 settembre.

La dinamica rimane controversa ma diversi studi balistici confermano oggi che a stroncare la vita del ragazzino-icona fu il fuoco incrociato, amico, nemico, comunque spietato. La foto dei corpi di Muhammad e Suahib Hijaz, minuscoli e enormi nel vicolo angusto, ferma al 20 novembre 2012 la storia, la loro almeno, quella che trascende qualsiasi interpretazione.

Per inviare una e-mail a Mario Calabresi, cliccare sull’indirizzo sottostante
direttore@lastampa.it

 

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