Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 28/12/2012, a pag. 3, l’articolo di Giulio Meotti dal titolo ” ‘Prima la Bibbia, poi lo stato’. Mai vista una Knesset così pia”.       //*IC*

Roma. Nelle parole del quotidiano Haaretz, “la prossima Knesset sarà la più religiosa della storia israeliana”. Tutti i sondaggi sulle elezioni in Israele del 22 gennaio indicano che almeno un quarto dei deputati sarà, a diverso grado, “ortodosso o ultraortodosso”. Non ci sono soltanto i partiti confessionali, o il nazionalista Habayit Hayehudi, già attestato in terza posizione e che minaccia addirittura il Labour. Persino il partito del giornalista laico Yair Lapid porterà in Parlamento un noto rabbino, Shai Piron, e anche la formazione dell’ex ministro degli Esteri, Tzipi Livni, ha candidato un timorato con la kippah, Elazar Stern. Con la parola d’ordine “Prima la Bibbia, poi lo stato”, la prossima Knesset andrà a incidere sullo status quo, che ha provocato negli anni dure dispute, con i religiosi che la ritengono troppo labile nella difesa dell’ortodossia religiosa e i laici che la reputano irrispettosa della coscienza individuale. Un dilemma già noto al fondatore, Theodor Herzl, indeciso se chiamarlo “stato degli ebrei” o “stato ebraico”. Per i religiosi il primo non ha ragione di esistere, il secondo invece è santo. E chi meglio del maiale, l’innominabile “mucca bassa”, poteva incarnare questa guerra culturale? Nel 1948 il neonato stato d’Israele non discusse soltanto su cosa fare di profughi e immigrati. Si occupò anche dei maiali, animale impuro per eccellenza nell’ebraismo. Persino un poeta laico come Nathan Alterman sostenne la messa al bando. Così la Knesset vietò l’allevamento del maiale in terra ebraica, con l’eccezione di otto enclave di cristiani della Galilea del nord. Per la nuova generazione di religiosi israeliani, che alla Knesset hanno introdotto disegni di legge per la sua totale messa al bando, il maiale non è soltanto una questione alimentare, è un simbolo storico e religioso. Nella conquista di Gerusalemme del 167 a. C., i greci costrinsero gli ebrei a mangiare carne di porco, così come accadde nella Spagna dell’Inquisizione, per “testare” la loro vera conversione al cattolicesimo.
Il ministro della Giustizia, Yaakov Neeman, ha detto che a governare lo stato sarà la legge della Torah. “Passo dopo passo, noi restituiremo ai cittadini d’Israele la gloria delle leggi della Torah e faremo della Halakha la legge fondamentale dello stato”, ha scandito Neeman, che non è ultraortodosso ma un tecnico di formazione. L’Università di Haifa ha diffuso un rapporto choc: “Israele 2010-2030, verso lo stato religioso”. Arnon Sofer, lo studioso autore del documento, ha detto che la vera rivoluzione non è la guerra demografica fra arabi ed ebrei, ma fra la nuova minoranza ebraica laica e la maggioranza ebraica religiosa. Lo studio di Sofer, presentato alla Knesset, recita: “Il paese avrà una leadership religiosa nel 2030. Oggi ci sono 700 mila nazionalisti religiosi e 700 mila ultraortodossi. Entro pochi anni, entrambe le comunità avranno due milioni e mezzo di membri. Gli unici figli delle famiglie laiche sono i ‘puppies’”. Sta per due genitori, un figlio e un cane. Se il trend demografico continua, nel giro di vent’anni il 78 per cento degli studenti israeliani frequenterà scuole ortodosse o arabe. Già oggi un terzo delle scuole religiose ha adottato il modello di separazione fra studenti maschi e femmine. Il viceministro dell’Istruzione, il rabbino Meir Porush, ha preso posizione a favore di quaranta coppie ultraortodosse impegnate in una battaglia di principio con la Corte suprema di Gerusalemme. I giudici bollano come “razzista” e illegale la separazione fisica mantenuta all’interno della scuola femminile di Emmanuel, un insediamento in Cisgiordania, fra la allieve timorate di origine ashkenazita (ossia europea) e le allieve timorate di origine sefardita (dei paesi arabi). Su istruzione di rabbini ortodossi i genitori delle allieve ashkenazite hanno preferito entrare in gruppo in carcere per un periodo di due settimane, piuttosto che accogliere le imposizioni di carattere egualitario formulate dalla Corte. Emmanuel, dove la televisione è tabù e nulla viene venduto senza il consenso dei rabbini, è uno dei simboli dell’Israele religioso. Lì ogni venerdì sera i cancelli della comunità vengono chiusi per impedire contatti col mondo esterno. Una guerra che si consuma anche di fronte al Muro del pianto, il luogo più sacro per l’ebraismo a Gerusalemme. Netanyahu vuole una soluzione che accontenti sia gli ortodossi sia la corrente riformata statunitense dopo l’arresto, alcuni giorni fa, di attiviste ebree che si apprestavano a compiere un rito religioso indossando il “talled”, il manto riservato ai soli uomini. Tornerà alla Knesset il disegno di legge che potrebbe precludere ai non ebrei che abbiano visitato Israele la possibilità di chiedere la cittadinanza secondo la “Legge del Ritorno”, se essi si convertono all’ebraismo successivamente alla visita. “Meglio un ebreo nella Diaspora che un gentile in Israele”, recita un duro slogan ortodosso. La prossima Knesset è destinata non soltanto a espandere il potere delle corti rabbiniche, ma a esentare nuovamente le decine di migliaia di religiosi dal servizio militare.
Dopo che l’Alta corte di giustizia aveva annullato la legge Tal che esentava i religiosi dalla leva, il premier Netanyahu aveva promesso una legge “più giusta”. Sembrava essere arrivato il momento in cui i ragazzi con i grandi cappelli neri venivano coscritti a servire nell’esercito che è la vita stessa d’Israele. La decisione di esentarli risale ai tempi di David Ben-Gurion e Moshe Dayan, quando qualche centinaio di studenti che dedicavano anima e corpo allo studio erano visti come i depositari della tradizione. Netanyahu ha capitolato alla sentenza della Corte e il nuovo piano, “Shirut Le’umi Meshamer”, prevede il servizio civile e non militare e un arruolamento non prima dei ventisei anni. La prossima Knesset, oltre ad acuire lo scontro interno al paese, sembra dunque destinata a incidere ancora di più sui rapporti già precari fra Israele e la diaspora. Intanto il celebre scrittore israeliano, Yoram Kaniuk, che ha ottenuto dal tribunale di essere riconosciuto all’anagrafe “senza religione” e non più di religione ebraica, ha spinto altre 42 personalità pubbliche, dal giornalista Yaron London al poeta Oded Carmeli, a chiedere di essere registrati come “non religiosi”. A elaborare il nuovo attivismo ortodosso è stato Mordechai Karpel, fondatore della corrente messianica nel Likud del premier Netanyahu. Ex ufficiale dei carristi, Karpel chiede: “Cosa è più importante, la ‘pace’ o la salvazione del popolo ebraico?”. Per combattere il laicismo, Israele deve tornare alla parola d’ordine “Hai Ve-Kayam”, in ebraico “vive ancora”, riferito al re Davide.

Per inviare la propria opinione al Foglio, cliccare sull’e-mail sottostante

lettere@ilfoglio.it

 

Comments are closed.

Set your Twitter account name in your settings to use the TwitterBar Section.