di Marco Paganoni, novembre 2012

Nelle foto a lato: il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) con le tipiche rappresentazioni della “Palestina” che comprende tutto il territorio dal Mediterraneo al Giordano: Israele è cancellato.

Per una volta dobbiamo dare atto alla stampa che è stata corretta. Correttamente, infatti, tutta la stampa NON ha riportato il discorso all’Onu che Abu Mazen effettivamente NON ha fatto. In quel discorso il presidente dell’Autorità Palestinese avrebbe potuto dire, più o meno: Egregi signori, oggi vi chiediamo di riconoscerci come stato di Palestina anche se un accordo con Israele non l’abbiamo ancora raggiunto. Ma ci è perfettamente chiaro che lo stato di Palestina non potrà nascere davvero finché non ci siederemo a negoziare con gli israeliani tutte le questioni in sospeso, che sono tante e di vitale importanza. Ci è chiaro che i confini dovranno essere negoziati e che non potranno in ogni caso coincidere con le arbitrarie linee di cessate il fuoco del 1949, causa a loro volta di troppe guerre. Per questo bisognerà anche negoziare precise garanzie di sicurezza, e lo stato di Palestina, nella sua vocazione alla coesistenza pacifica, accetterà di essere smilitarizzato fino a quando entrambe le parti non decideranno diversamente. Ed è chiaro che nello stato di Palestina potranno vivere cittadini ebrei, così come vi sono cittadini arabo-palestinesi nello stato d’Israele. Ed è chiaro che bisognerà negoziare su Gerusalemme, di cui riconosciamo i profondi legami con la storia e la cultura ebraica, per cui è chiaro che andrà fatto uno sforzo particolare per escogitare un’appropriata condivisione della città che ne garantisca il libero accesso a tutti quanti. Così come è chiaro che bisognerà negoziare in buona fede e con buona volontà sulla questione dei profughi – tutti i profughi generati dal lunghissimo conflitto arabo-israeliano – sulla base di un principio di giustizia e di buon senso: come i profughi ebrei dai paesi arabi hanno trovato patria nello stato d’Israele, così i profughi palestinesi e i loro discendenti troveranno patria nello stato di Palestina. Detto questo, nel discorso che NON ha fatto all’Onu Abu Mazen avrebbe potuto darci una plausibile spiegazione del motivo per cui nel 2008 lasciò cadere l’offerta di Ehud Olmert che prevedeva di trasferire alla sovranità palestinese una quantità di territorio pari al 100% di quella da essi ufficialmente rivendicata (sommando striscia di Gaza, gran parte della Cisgiordania e altre terre all’interno della Linea Verde) nonché la cogestione di Gerusalemme e un’amministrazione internazionale dei Luoghi Santi. Un’offerta che fece “trasecolare” l’allora segretario di stato Usa, Condoleeza Rice, che si disse poi “scioccata” dal rifiuto di Abu Mazen. E avrebbe potuto spiegarci come mai da quattro anni si rifiuta di negoziare nonostante le dichiarazioni di Netanyahu a favore della soluzione a due stati; e come mai non abbia ripreso a negoziare nel 2010 quando Netanyahu per dieci mesi decretò un blocco senza precedenti di tutte le attività edilizie ebraiche in Cisgiordania, compresi i grossi insediamenti di Ma’aleh Adumim, Efrat ed Ariel destinati a restare parte d’Israele; e come mai non si precipiti a negoziare ora per stabilire confini definitivi, se davvero ha tanta urgenza di fermare gli insediamenti. Sinceramente ce lo chiediamo in tanti, e se lo chiedono gli israeliani. Oggi, egregi signori – avrebbe continuato Abu Mazen nel discorso che NON ha fatto all’Onu – chiediamo di essere riconosciuti come stato di Palestina, ma non useremo questo riconoscimento per cercare di incastrare Israele davanti alla Corte Penale Internazionale accusandolo di ogni possibile nefandezza, e in sostanza del fatto stesso di esistere. Giacché perseguire una condanna di Israele, come ha fatto Abu Mazen all’Onu nel settembre scorso, per “pulizia etnica, terrorismo, razzismo, istigazione al conflitto religioso, apartheid, espropri, demolizioni, carcerazioni illegali, occupazione, colonizzazione, ostruzionismo della pace e piani per una nuova nakba” non sembra l’atteggiamento più consono al dialogo e al compromesso. Piuttosto, poteva dire Abu Mazen, cercheremo di trascinare davanti alla Corte Internazionale il regime siriano, o quel regime iraniano che auspica esplicitamente la cancellazione dalla faccia della terra del nostro interlocutore di pace, e che anche solo per questo non meriterebbe di sedere in questa illustre Assemblea. E qui, già che c’era, Abu Mazen avrebbe potuto denunciare con forza l’occupazione della striscia di Gaza da parte di un’organizzazione terroristica al soldo di Tehran, guerrafondaia e antisemita, che tanti danni procura al popolo palestinese e alle sue aspirazioni di convivenza pacifica. Nel discorso che NON ha fatto all’Onu, Abu Mazen avrebbe potuto proclamare con voce forte e chiara che la nascita dello stato di Palestina accanto a Israele sancirà la fine di ogni violenza contro Israele, che con essa gli arabi e i palestinesi, compresi quelli di Gaza e quelli sparsi nel mondo, garantiscono – per usare le parole della risoluzione 242 del 1967 – la cessazione di ogni rivendicazione e stato di belligeranza e il rispetto e il riconoscimento della sovranità, dell’integrità territoriale e dell’indipendenza politica di Israele, e del suo diritto a vivere in pace entro frontiere sicure e riconosciute, al riparo da minacce o atti di forza. Possiamo solo immaginare lo scroscio di applausi. Anche americani e israeliani. Infine Abu Mazen avrebbe potuto concludere il discorso che NON ha fatto all’Onu proclamando esplicitamente la soluzione basata sul principio “due stati-due popoli”. Attenzione: due stati per due popoli. Né lui, né tutti gli altri rappresentanti palestinesi parlano mai di “due popoli”. Due stati, sì certo: lo stato da cui dovranno sgomberare tutti gli ebrei e lo stato dove avranno il “diritto” di insediarsi i discendenti dei profughi palestinesi. Magari anche tre stati, visto che Hamas non ha alcuna intenzione di mollare la striscia di Gaza. O anche quattro, se si tiene conto del fatto che il vicino regno di Giordania sorge su una parte della ex Palestina Mandataria, ha due terzi di popolazione palestinese e pure la regina è palestinese. Ma non parlano mai di uno stato nazionale per il popolo ebraico. In fondo, sarebbe bastato che Abu Mazen citasse alla lettera, nel 65esimo anniversario, la risoluzione approvata dall’Assemblea Generale il 29 novembre del 1947 e scandisse con voce chiara e forte il diritto ad esistere su quella terra di due stati: un “Arab State” e un “Jewish State”, uno stato arabo e uno stato ebraico. La notizia è che Abu Mazen NON ha fatto nulla di tutto questo (con l’acquiescenza di 138 paesi, Italia compresa). E questa notizia, la stampa, avrebbe dovuto darla.

(Da: www.informazionecorretta.com, 3.12.12-israele.net,03-12-2012 )

 

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