Emozione palpabile e lunghi minuti di applausi: così ieri sera a Roma una sala gremita all’auditorium di via della Conciliazione ha salutato i danzatori della Batsheva Dance Company, alla prima italiana di Deca Dance, lo spettacolo con cui nel 2000 la compagnia e il suo direttore artistico, Ohad Naharin, hanno festeggiato i dieci anni di collaborazione assemblando alcuni estratti delle coreografie da lui create. Un grande successo per Roma e per la cultura di Israele, in una sala immensa, dove in mezzo a un grande pubblico si notava una significativa rappresentanza del governo Monti, il presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna assieme a diversi Consiglieri UCEI, altri esponenti della società civile e del mondo ebraico. Un successo soprattutto per il nuovo ambasciatore di Israele Naor Gilon e per lo staff formidabile che lo affianca, a cominciare dall’addetto culturale Ofra Farhi che con il suo coraggio sta portando in tutta Italia ambasciatori di cultura e di pace senza eguali. Un successo per il giornale dell’ebraismo italiano Pagine Ebraiche, che alla cultura di Israele e in particolare al valore della sua danza ha dedicato un dossier, molti servizi e una grande intervista al coreografo Ohad Naharin sul numero di novembre, attualmente in distribuzione.
Decadance è uno spettacolo che ha una struttura aperta e mutevole che racconta il senso lavoro svolto e al tempo stesso in qualche modo presenta lo stato attuale della ricerca portata avanti dal grande coreografo israeliano e i suoi possibili sviluppi. Il risultato è un concentrato dell’espressività dei corpi, segno preponderante e caratteristico di una compagnia che unisce in maniera forte e coesa contenuti e forma arrivando così a parlare dei grandi temi della natura umana con un linguaggio che colpisce ed emoziona. Grazie agli sforzi congiunti di RomaEuropa, Torinodanza e dell’ufficio culturale dell’Ambasciata di Israele il pubblico italiano ha così avuto la possibilità di assistere a una performance di altissimo livello, e altri tre appuntamenti seguiranno nei prossimi giorni, portando in scena anche Sadeh 21, l’ultimo lavoro di Ohad Naharin, che rappresenta l’apertura di una nuova fase. Deca Dance e Sadeh 21 saranno poi riproposti da Torinodanza lunedì e martedì. Nel fine settimana un’altra occasione ghiotta: proprio a Torino si svolgerà infatti un workshop di Gaga, la tecnica che è alla base del linguaggio con cui il grande coreografo israeliano è già riuscito ieri sera a colpire l’immaginario di un pubblico che anche nelle prossime serate si prevede numerosissimo.
“Una cosa che amo insegnare alle persone che lavorano con me è che possono superare i loro limiti, ogni giorno. Oggi superi il limite, il confine, e sei in un posto nuovo. Domani potrai di nuovo superare i tuoi limiti perché non c’è fine, mai”. E ancora: “La danza è la forma d’arte giusta per me perché c’è sempre spazio per correggersi, e perché sparisce, istantaneamente”. Sono gli stessi motivi per cui Ohad Naharin non ama i documentari, né tenere traccia del suo lavoro. “Perché è l’opposto dello scomparire, dello svanire della danza, che nel momento stesso in cui la guardi, la vedi e sparisce… Questo provoca un pensiero astratto che è collegato con i sentimenti e con il tuo mondo di immaginazione e di emozioni, che sono causate proprio dal suo sparire in un attimo”.
Eppure Out of Focus è un documentario realizzato da Tomer Heymann, che è riuscito a montare un raro e onesto ritratto di quello che è considerato il più influente coreografo israeliano. Nonostante la sua resistenza all’essere ripreso e al suo totale disinteresse per l’idea stessa di documentare il proprio lavoro, il risultato è un racconto molto articolato, intenso e a tratti filosofico non solo di una persona ma di un processo creativo. I ballerini vengono spinti a prendersi rischi e a usare il proprio corpo in maniera completamente nuova e non familiare ed è evidente come Ohad Naharin sia capace di trasformarsi in un catalizzatore di emozioni portando le prove ben al di là di un mero processo tecnico.
Il mondo della danza è ben consapevole dell’esistenza di questo fascinoso coreografo israeliano che ha un enorme impatto sul panorama internazionale, attraverso le sue coreografie, il suo linguaggio e i frequenti tour all’estero della sua compagnia. Tutto ciò senza che sia necessaria una sua presenza evidente: si tratta di persona molto riservata, rispettosa, attentissima a non urtare i sentimenti degli altri e che si pone sempre in un’ottica di critica costruttiva con i danzatori con cui lavora. Il Gaga, il linguaggio corporeo inventato da Ohad Naharin e diventato negli anni una tecnica di grande rilevanza sulle scene mondiali, è stato sviluppato anche in conseguenza di un problema dello stesso Naharin che in seguito ad un incidente occorsogli quando aveva vent’anni soffre di dolori costanti alla schiena. Il che spiega anche perché in quasi tutto il documentario lo si veda sdraiato per terra: in movimento sta bene ma lo stare seduto è un disagio intollerabile. Il titolo stesso del documentario è molto significativo: spesso il coreografo sceglie di guardare le prove, il lavoro dei danzatori, senza metterli a fuoco (nel senso letterale del termine) perché è un trucco che gli permette di vedere la ricerca in corso da un punto di vista differente. Si tratta di un esercizio rivelatore del suo atteggiamento mentale: il lavoro di un coreografo non può mai dirsi terminato e riflettere e rielaborare in continuazione il senso del movimento è ciò che permette di far sprigionare agli spettacoli quell’energia vibrante che è diventata uno dei segni distintivi della compagnia.
Il movimento deve andare oltre alla tecnica per rivelare qualcosa di personale, di intimamente connesso con la gioia e con il piacere. E questo non vale solo per i ballerini professionisti, infatti il Gaga ha due direzioni, Gaga/ballerini, quotidianamente seguita dai membri della compagnia – adesso insegnata a danzatori non solo della Batsheva, sia in Israele che all’estero – e Gaga/persone, aperto a tutti, adatto a ogni età, senza la necessità di una precedente esperienza.
È curioso anche scoprire perché si chiama Gaga: “Ad un certo punto ho pensato che la mia tecnica si meritasse un nome, non mi piaceva che diventasse ‘il linguaggio di Ohed Naharin’, cercavo un suono semplice e mi hanno detto che Kaka non andava bene…”. L’ironia è un altro lato di un artista tutto da scoprire, che durante le prove riesce a far ridere fino alle lacrime i suoi ballerini, prendendoli in giro, con affetto.

Da:moked/מוקד

 

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