Testata: Informazione Corretta Data: 08 luglio 2012  Autore: Ugo Volli

Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli

A sinistra, accordi di Oslo, Yitzhak Rabin stringe la mano di Yasser Arafat.

Cari amici,

ogni tanto qualcuno mi domanda perché ho poca fiducia nella pace. Dopotutto gli ebrei salutano dicendo shalom, che vuol dire pace, pregano per lo shalom nella loro preghiera più importante, la amidà, e in quella più antica, direttamente tratta dalla Torà, la benedizione dei sacerdoti. Sempre nella Torà è previsto che gli sposi novelli, chi ha appena inaugurato una casa nuova e in definitiva chi in generale non se la sente sia esentato dalle convocazioni militari. Quando arriva sabato ci si augura shabbat shalom, la pace del sabato. La cultura ebraica è coraggiosa sì, e approva l’autodifesa; ma non è guerriera, aspira alla pace e la considera un valore altissimo. E allora, perché non la pace con gli arabi? La pace si fa con i nemici, non è vero? Con loro bisogna trattare, non con quelli con cui si è già d’accordo: quante volte mi sono sentito ripetere questa frasetta…

Be’, la risposta – una delle tante risposte possibili, quella che vi espongo oggi – sta in due piccole cifre: 250 – 2000. Vi chiedete che cosa vogliono dire? Semplice: 250 furono i morti israeliani per mano araba nei diciannove anni prima degli accordi di Oslo del 1993; 2000 sono quelli dei diciannove anni successivi (http://www.israelhayom.com/site/newsletter_opinion.php?id=2049). Se pace vuol dire qualcosa, significa diminuzione o almeno cessazione del conflitto e delle sue vittime. Gli accordi di Oslo furono fatti esattamente in questa prospettiva, almeno da parte ebraica. Israele si prendeva un grave rischio, faceva entrare nei territori che controllava le migliaia di terroristi che Arafat aveva radunato prima in Giordania, poi dopo che il re Hussein li cacciò di lì, in Libano e infine, dopo la guerra civile libanese e l’intervento israeliano, in Tunisia: gente con molto sangue sulle mani, organizzatori di dirottamenti, di attentati, di assassini a sangue freddo. La speranza era che si convertissero alla pace, che si dedicassero a trasformare loro stessi e la popolazione araba, che si erano assunti la responsabilità di rappresentare in un popolo moderno e pacifico, industrioso e disposto ad avere rapporti di buon vicinato con Israele. Be’, non è accaduto e oggi sappiamo che non accadrà mai. Appena arrivati nei territori concessi loro dagli accordi, i dirigenti dell’Olp si dedicarono a costruire il monopolio del potere su una società che allora non era particolarmente militarizzata e aveva rapporti decenti con Israele (non c’erano muri, gli arabi andavano a lavorare nelle città israeliane, gli israeliani compravano volentieri prodotti agricoli da loro).

Preso il potere effettivo, lanciarono campagne sistematiche di odio nei confronti di Israele e degli ebrei, e si misero a organizzare il terrore. Qualunque proposta di definizione dei problemi lasciati da parte a Oslo (organizzazione di un eventuale stato palestinese per coronare l’”autonomia” prevista negli accordi, confini, eventuali compensazioni agli emigrati) fu rifiutata sistematicamente; la dirigenza dell’Olp organizzò la campagna di attentati che iniziò a scuotere Israele nella metà degli anni Novanta e continuò per dieci anni. I duemila morti si spiegano così, con l’essersi messi i serpenti in casa, pensando incoscientemente che si fossero trasformati in agnelli e nell’averli lasciati indottrinare e organizzare verso il terrore l’intera popolazione araba dei Territori. La colpa del “fronte della pace” è di non aver visto questo, di non volerlo vedere, di insistere nel loro “wishful thinking” (pensiero desiderante) a vedere dei partner di pace in un gruppo dirigente che si era formato da terrorista e terrorista restava.

250 a 2000 non vuol dire che i militanti dell’Olp, di Hamas, di Fatah e dei vari gruppuscoli del terrorismo palestinese fossero diventati improvvisamente più malvagi. Lo erano sempre stati. Negli anni precedenti, lo ripeto, avevano sparato sui passeggeri che sospettavano ebrei degli aeroporti di Roma e di Vienna, gettato bombe sulla sinagoga ancora a Roma, fatto saltare centri sociali in Sudamerica, dirottato aerei, ucciso atleti alle Olimpiadi, organizzato imboscate ai confini di Israele. Macellai erano, macellai erano restati. Arafat entrò armato nel parlamento italiano e nell’edificio dell’Onu, i loro statuti e i loro simboli continuano a mostrare armi, i loro discorsi continuano ad esaltare la violenza. Semplicemente gli accordi di Oslo li introdussero nei territori controllati da Israele, assegnarono loro un riconoscimento del tutto improprio (cioè senza elezioni) come “unici rappresentanti del popolo palestinese” che preludeva a tutti i successivi riconoscimenti delle organizzazioni internazionali.

In breve, Oslo è stato il più grave errore della Storia dello stato di Israele. Per fortuna all’errore si è in parte rimediato, allestendo delle difese, come la barriera di protezione, che rendessero difficile ai terroristi portare la loro violenza nel cuore delle città israeliane. E il popolo di Israele ha mostrato un coraggio e una tenuta di fronte alle offensive terroriste evidentemente insospettabili per i loro organizzatori. Il popolo di Israele non si è sbandato, si è organizzato, ha tenuto duro, ha reagito, ha sostituito i governanti che avevano combinato il pasticcio, ha anche ottenuto straordinari successi scientifici, economici, tecnici e militari. Per questo il conto dei morti a un certo punto si è fermato, perché si è imparato come legare le mani ai terroristi. Ci provano ancora, perché sono stati indottrinati a farlo, perché ci sono politici e religiosi che ringraziano Allah per aver stabilito che ammazzare gli ebrei non è solo un evidente piacere ma anche un comandamento religioso, come si vedeve in un filmato che vi ho linkato qualche cartolina fa. Ma fanno fatica, incontrano ostacoli, resistenza, autodifesa e prima o poi sono arrestati e condannati (naturalmente i capi terroristi dell’Autorità Palestinese vorrebbero liberarli e i pacifisti con loro, ma questa è solo una controprova).

Quelli che chiedono perché non si pensa alla pace, invece, non hanno capito la lezione, vorrebbero proseguire sulla via di Oslo, dare nuovi spazi, nuove aperture, nuovi riconoscimenti, in definitiva nuove armi ai terroristi, togliere gli ostacoli che impediscono loro di colpire, innanzitutto la barriera di sicurezza. Be’, la risposta è semplice: l’onere della prova adesso passa ai “palestinesi”. Mostrino loro di volere la pace, ma davvero, nel semplice senso di non fare la guerra e il terrorismo. Trovino una soluzione accettabile e di convivenza e la rendano pubblica. Diano della garanzie, smettano di incitare all’odio nelle loro televisioni, nei loro giornali, nei loro discorsi e soprattutto nelle loro scuole. Quando l’avranno fatto, parlare di pace potrà avere di nuovo senso.

 

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