Testata: Informazione Corretta Data: 08 maggio 2012 Autore: Giovanni Quer

Tra gli esempi di istituzioni democratiche nello Stato di Israele c’è la Corte Suprema, considerata la roccaforte della democrazia che preserva lo stato di diritto con interventi immediati e incisivi. La creatività della Corte, che adotta nelle sentenze il metodo comparativo guardando alle esperienze delle tradizioni democratiche e alla tradizione ebraica, è anche la causa della sua impopolarità, a destra e a sinistra.

La sinistra accusa la Corte Suprema di non esser sufficientemente forte nell’imporre le proprie decisioni contro gli atti del governo che sono in disaccordo con i princìpi costituzionali. La destra accusa la Corte di decidere contro il volere del popolo e di immischiarsi in questioni politiche. Le argomentazioni della sinistra sono funzionali all’avanzamento dell’agenda politica anti-nazionale; mentre le argomentazioni della destra, ben esposte nell’editoriale “Judicial Land” di Yariv Levin (Jerusalem Post, 29 aprile 2012), sono funzionali alla politica realista con riguardo al conflitto e agli insediamenti.

La polemica contro la Corte si rinnova in occasione della sentenza che aveva stabilito a settembre 2011 la demolizione dell’outpost Ulpana, parte dell’insediamento Bet El, poiché costruito su terra palestinese. Il governo, che si era impegnato a demolire i 5 edifici di Ulpana entro il 1 maggio 2012, chiede un rinvio di due mesi dell’ordine di demolizione. Il 6 maggio la Corte respinge la richiesta di rinvio, evidenziando che non si tratterebbe di una misura eccezionale, ma di una strategia del governo che vuole cambiare la propria politica in seguito alla sentenza. Durante l’acceso dibattito tra i giudici e l’avvocatura dello stato, il giudice Vogelman osserva che “se lo stato intende fare una certa cosa e il Primo Ministro si impegna a portarla a termine, non prendiamo in considerazione l’ipotesi che questa certa cosa non venga fatta. C’è rispetto reciproco tra le diverse autorità pubbliche”.

La stessa polemica si era innescata in passato in diverse occasioni: a seguito della sentenza che limitava le eliminazioni mirate, della decisione che proibiva definitivamente la tortura, della sentenza che riconosceva le coppie di fatto incluse quelle dello stesso sesso. La Corte Suprema è accusata di “andare contro il volere del popolo”, espresso dalle leggi approvate dalla Knesset e dalle politiche dell’esecutivo.

Israele è nata in una tradizione politica britannica, ove il parlamento è considerato il centro della democrazia poiché limita i poteri dell’esecutivo. Nel tempo la Corte ha delineato la propria funzione di guardiano dei principi costituzionali, fino ad affermare la propria competenza di giudizio costituzionale (judicial review) negli anni ’90.

In diverse esperienze democratiche, il ruolo dei giudici come guardiani della democrazia si è affermato con maggiore importanza nella lotta per i diritti civili, scandita da manifestazioni e sentenze che hanno poi cambiato il sentire politico e il panorama legislativo. Per considerazioni di politica giudiziale, di stabilità sociale e deferenza verso gli altri poteri, giudici hanno dimostrato di dover spesso adattare i principi costituzionali al volere del popolo. Ad esempio la Corte Suprema americana ha sviluppato la dottrina “separati ma eguali” per legittimare la segregazione razziale negli stati del sud. Si è tuttavia consolidata la convinzione che i giudici non devono dimostrare condiscendenza verso la volontà del popolo né dei suoi rappresentanti qualora tale volontà si dimostri contraria ai principi fondamentali di cui i giudici sono gli ultimi garanti.

È poi inevitabile che quanto attiene a giustizia e principi fondamentali sconfini nel politico, poiché comprende questioni e argomenti che sono il cuore del vivere sociale. Mentre i parlamenti decidono in base a maggioranze, le corti decidono in base a principi facendosi interpreti non di ciò che il popolo vuole, ma di ciò che il popolo dovrebbe volere per vivere secondo giustizia e libertà. Farsi interpreti della volontà del popolo è una questione puramente politica nella definizione delle politiche di indirizzo dell’esecutivo, ma è anche una questione legale quando le aspirazioni di un popolo e di una nazione devono esser plasmate secondo le norme fondamentali che reggono lo stato in cui vivono popoli e nazioni.

La Corte Suprema israeliana è dunque politica forse più di ogni altra corte al mondo, ma non c’è modo che non lo sia, poiché deve dare risposte a domande politiche che hanno conseguenze sul futuro dello stato, sulla natura della nazione, sulla composizione della società, sulla vita e sicurezza dei cittadini.

È altresì impopolare perché decide che le case di Silwan che erano contese sono proprietà di ebrei. È impopolare anche perché dice che sulla terra dei palestinesi non si costruisce. È attaccata perché ha riconosciuto le coppie di fatto e perché è diventata sempre più impositiva negli interventi di correzione delle decisioni delle corti religiose. È in polemica con l’esercito poiché limita la libertà di azione nelle operazioni militari. È ai ferri corti con la sinistra radicale che da una parte la accusa di esser asservita ai governi e dall’altra la sfrutta per avanzare la propria agenda politica. Dunque non stupisce che decida contro il volere del popolo.

Si pone quindi la domanda cui la teoria politica non ha ancora trovato risposta: quis custodet ipsos custodes? Chi controlla i guardiani? Chi controlla i giudici? Un controllo preliminare si può operare nella procedura di nomina di cariche istituzionali con così ampi poteri e così profonda incidenza sociale , che dev’essere il più possibile trasparente, elastica e rispettosa della tradizione di “check and balances” (controllo reciproco tra istituzioni e poteri).

Nello stesso articolo, Yariv Levin individua la falla del sistema israeliano: la procedura di nomina dei giudici della Corte Suprema è a porte chiuse e senza verbali. Benché ogni mancanza di trasparenza sia deprecabile è significativo che la lotta per la trasparenza sia portata avanti quando la Corte è percepita particolarmente ostile nei confronti di alcune politiche dell’esecutivo – già si era tentato a gennaio di introdurre una modifica della legge sulla nomina del presidente della Corte Suprema per far sì che un giudice più vicino alla destra succedesse all’uscente giudicessa Beinish.

Dalla Rivoluzione Francese si è appreso che un parlamento forte può limitare le aberrazioni di un potere esecutivo (assoluto); dalla Rivoluzione Americana si è invece appreso che anche il potere legislativo può degenerare perciò è necessario un esecutivo forte e un sistema giudiziario indipendente e di grande valore morale per impedire che l’uno e l’altro possano scostarsi dalla via costituzionale. Il dialogo tra i poteri è divenuto sempre più radicato nel fare politica e un tratto tipico dell’evoluzione delle democrazie, ma è dubbio il beneficio che può arrecare un litigio su quale istituzione abbia il primato nell’interpretare il sentire sociale.

http://www.informazionecorretta.it/main.php?sez=90

 

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