di Daniel Pipes


Liberal 
23 febbraio 2012

http://it.danielpipes.org/10723/saremo-tutti-rifugiati
Pezzo in lingua originale inglese: “Eventually, All Humans Will Be Palestine Refugees”

Di tutte le questioni che motivano il conflitto arabo-israeliano, nessuna è più basilare, dannosa, primitiva, costante, emotiva e complessa dello status di quelle persone note come rifugiati palestinesi.

Le origini di questo caso singolare, osserva Nitza Nachmias della Tel Aviv University, risalgono al conte Folke Bernadotte, mediatore del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Riferendosi a quegli arabi che abbandonarono la Palestina mandataria, egli argomentò nel 1948 che l’Onu aveva una «responsabilità nel prestare loro soccorso» perché era una decisione delle Nazioni Unite, la creazione di Israele, che li aveva resi profughi. Per quanto il suo punto di vista fosse inesatto, rimane però ancora vivo e potente e contribuisce a spiegare perché l’Onu dedichi una particolare attenzione ai profughi palestinesi in attesa di avere un proprio Stato.
Fedeli all’eredità di Bernadotte, le Nazioni Unite hanno creato una serie di organizzazioni ad hoc per i rifugiati palestinesi. Una di queste, l’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’assistenza ai profughi palestinesi (Unrwa), fondata nel 1949, si distingue come la più importante. Essa è al contempo l’unica organizzazione per profughi che ha a che fare con un popolo specifico (l’Alta Commissione delle Nazioni Unite per i rifugiati si prende cura di tutti i rifugiati non-palestinesi) e la più grande organizzazione dell’Onu (in termini di personale).

L’Unrwa definisce i suoi pupilli in modo molto specifico: «I rifugiati palestinesi sono persone il cui normale luogo di residenza tra il giugno 1946 e il maggio 1948 era la Palestina e che hanno perso sia le loro case che i mezzi di sussistenza a seguito del conflitto arabo-israeliano del 1948». I numeri di questi profughi (che inizialmente includevano qualche ebreo) sono, naturalmente, diminuiti di molto negli ultimi 64 anni. Accettando la cifra (esagerata) fornita dall’Unrwa di 750.000 rifugiati palestinesi originari, solo una frazione di quella cifra, circa 150.000 persone, è ancora in vita. Nel corso degli anni, il personale dell’Unrwa ha compiuto tre passi importanti per estendere la definizione di rifugiati palestinesi. Innanzitutto, e contrariamente alla prassi universale, ha reiterato lo status di profughi a chi è diventato cittadino di un Paese arabo (la Giordania in particolare). In secondo luogo, nel 1965, l’agenzia prese una decisione poco nota che estendeva la definizione di “rifugiato palestinese” ai discendenti di quei profughi di sesso maschile, un cambiamento che permette unicamente ai rifugiati palestinesi di trasmettere il loro status di rifugiati alle generazioni successive. Il governo americano, il maggior donatore dell’agenzia, si è limitato a protestare in modo blando contro questo cambiamento importante. Nel 1982, l’Assemblea generale dell’Onu approvò questa decisione in modo tale che ora la definizione di rifugiato palestinese annovera ufficialmente «i discendenti maschi dei profughi palestinesi, compresi i figli legalmente adottati». In terzo luogo, nel 1967, l’Unrwa aggiunse alla sua lista i profughi della guerra dei Sei Giorni: oggi, essi costituiscono circa un quinto del totale dei rifugiati palestinesi.

Questi cambiamenti hanno avuto degli esiti clamorosi. A differenza di tutte le altre popolazioni profughe, che diminuiscono numericamente man mano che la gente trova una sistemazione o muore, la popolazione dei profughi palestinesi è aumentata col passare del tempo. L’Unrwa riconosce questo fenomeno bizzarro: «Quando l’Agenzia ha iniziato a lavorare nel 1950, essa rispondeva ai bisogni di circa 750.000 profughi palestinesi. Oggi, 5 milioni di rifugiati palestinesi hanno diritto a usufruire dei servizi dell’Unrwa». Inoltre, secondo James G. Lindsay, un ex-consigliere generale dell’Agenzia Onu, in base alla definizione dell’Unrwa, quella cifra di 5 milioni rappresenta solo la metà di coloro che potrebbero in fieri avere diritto allo status di rifugiati palestinesi.
In altre parole, piuttosto che diminuire di cinque volte nell’arco di sei decenni, l’Unrwa ha visto aumentare la propria popolazione di rifugiati di quasi sette volte. Questa cifra potrebbe moltiplicarsi ancor più velocemente a causa della crescente opinione che anche i rifugiati di sesso femminile dovrebbero trasmettere il loro status di profughi. Anche se, tra circa quarant’anni, l’ultimo rifugiato della Palestina mandataria sarà morto, gli pseudo-rifugiati continueranno a proliferare. Pertanto, è probabile che lo status di “rifugiato palestinese” si estenderà all’infinito. In altre parole, come osserva Steven J. Rosen del Middle East Forum, «visti i parametri dell’Unrwa, alla fine tutti gli essere umani saranno rifugiati palestinesi».
Se lo status di profugo palestinese fosse soddisfacente questa espansione all’infinito non avrebbe importanza. Ma lo status ha delle implicazioni distruttive per le due parti: per Israele, che subisce le depredazioni di una categoria di persone le cui vite sono spezzate e stravolte da un impossibile sogno di far ritorno nelle case dei loro bisnonni; e gli stessi “rifugiati” il cui status implica una cultura di dipendenza, risentimento, rabbia e futilità.
Tutti gli altri profughi della Seconda guerra mondiale (compresi i miei genitori) si sono sistemati da molto tempo; lo status di rifugiato palestinese è già durato troppo a lungo e deve essere ristretto ai veri rifugiati prima che faccia ulteriori danni.

 

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