L’unico vero, grande problema della nostra generazione.
Testata: Informazione Corretta
Data: 27 novembre 2011
Autore: Ugo Volli
Da MOKED di oggi, 27/11/2011, con il titolo “L’unico vero,
grande problema della nostra generazione” il commento domenicale di Ugo Volli.
Lo “tsunami diplomatico” su Israele, preconizzato da molti per l’autunno, si
è risolto per il momento in poca cosa. Lo status palestinese all’Onu non è stato
elevato, soprattutto per l’insipienza o piuttosto l’estremismo diplomatico
dell’Autorità Palestinese, che ha presunto troppo delle proprie forze e ha
scommesso sul tutto-o-niente chiedendo il pieno riconoscimento come stato
sovrano membro e rifiutando qualunque soluzione di
compromesso.
L’ammissione all’Unesco si è rivelata una vittoria di Pirro
per l’organizzazione e in fondo anche per l’AP, che ha scontentato ancora una
volta quella che si presumeva poter essere la sua grande protettrice,
l’amministrazione Obama. Le numerose minacce turche sono rimaste per ora sulla
carta. I rapporti con l’Egitto sono gelidi (o se si vuole incandescenti, visto
che il gasdotto, il principale legame economico fra i due paesi è stato fatto
saltare in aria da terroristi otto volte quest’anno), ma non sono degenerati in
scontro aperto. Grazie alla gestione oculata e lucida di Netanyahu Israele
sembra essere uscito per ora senza danni dall’anno del grande trambusto in Medio
Oriente.
Certo però la minaccia iraniana è sempre più attuale e la comunità
internazionale non può e in buona parte non vuole farvi fronte. E il calderone
dei paesi arabi continua a ribollire, ambiguamente alimentato dall’Occidente,
anche se è sempre più chiaro che ciò che vi si cuoce è un integralismo islamico
che di moderato ha solo il nome. Per l’Occidente la minaccia è globale, ma
sembra lontana; per Israele è chiaro invece che il fronte dell’odio militante
sta conquistando uno per uno anche paesi che ne erano rimasti abbastanza al
riparo, come Tunisia e Marocco, ed erodendo tutte le possibilità di mediazione
politica. L’aspetto più preoccupante è il riemergere dell’anima revanscista
della politica palestinese, la stessa che portò alle convulsioni suicide e
omicide chiamate “intifade”, cioè letteralmente “scrolloni”: eccessi di odio e
di intolleranza quasi animale, come denuncia anche il nome. In tutto il mondo
islamico le politiche e i sondaggi dicono lo stesso: che, costi quel che costi,
non vi è la minima disponibilità ad accettare uno stato del popolo ebraico. Le
tattiche sono diverse e possono includere anche dei momenti di trattativa, o
piuttosto la loro simulazione o negazione, ma la “soluzione finale” è la stessa,
l’eliminazione degli “ebrei” (la distinzione fra israeliani ed ebrei, coltivata
dalla pubblicistica occidentale anche di parte ebraica, è sostanzialmente
ignorata nel mondo islamico).
E’ una situazione che richiede una guida abile
e lucida, come quella dell’attuale governo israeliano, ma che impone anche una
riflessione anche a tutto il mondo ebraico. Le illusioni di Oslo vanno lasciate
cadere, non esiste, fuori dal mondo dei puri desideri, la possibilità di una
pace nel breve ma anche nel medio periodo. E’ possibile che presto scoppi una
guerra, per mano di Hezbollah, di Hamas, per via del nucleare iraniano o per
altre ragioni; è anche possibile che le cose vadano avanti come ora, con una
situazione che bisogna definire guerra d’attrito. E’ un conflitto continuo a
bassa intensità che si svolge su molti fronti: il terrorismo dei razzi da Gaza,
delle infiltrazioni, degli attentati “locali” in Giudea, Samaria e a
Gerusalemme, come ce ne sono stati tanti e poco considerati negli ultimi mesi;
la guerra diplomatica, quella dei media, quella delle occasioni artificiali di
scontro mediatico come “flottiglie” e marce; le minacce continue di potenze
islamiche come Iran e Turchia, eccetera. Quel che oggi non appare proprio
possibile è un allentarsi della tensione, quel franco riconoscimento del diritto
all’esistenza di Israele come stato del popolo ebraico che è la premessa
necessaria della pace.
Guerra o mezza guerra, insomma, per tutto il tempo
che possiamo umanamente prevedere o calcolare. La pace non è oggi nell’ordine
delle possibilità reale, è una parola che ha solo referenza propagandistica.
Quel che accade e che si può prevedere è la continuazione di un braccio di ferro
in cui l’elemento decisivo è la capacità di resistere di fronte a una potenza
soverchiante, sul piano dei numeri, se non ancora dell’armamento, ma anche
dell’opinione pubblica e della comunicazione. Questi ultimi fronti toccano
direttamente anche noi, ebrei della diaspora: siamo e saremo capaci di reggere
questa situazione, di fare la nostra parte per scongiurare la distruzione del
nostro stato e di buona parte del nostro popolo? E prima di tutto: siamo
abbastanza lucidi da renderci conto che questo è il problema, l’unico grande
vero problema della nostra generazione ebraica?
Ugo Volli
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