Alcuni commenti dalla stampa israeliana

 

Scrive Ronnie Shaked (su Yediot Aharonot) che «il bombardamento di razzi palestinesi nel fine settimana dalla striscia di Gaza su Israele è il modo con cui la Jihad Islamica vuole annunciare agli israeliani e ai palestinesi, Hamas compresa: noi siamo qui, e la lotta armata non è affatto cessata». «Diciamocelo chiaramente – continua l’editoriale – Hamas non è contenta di questa escalation. I suoi capi non hanno interesse a rilanciare le violenze finché non sarà completato lo scambio Shalit con la scarcerazione, nei prossimi due mesi, degli altri 550 detenuti previsti. Anche all’interno, Hamas non desidera riprendere in questo momento i combattimenti giacché potrebbero compromettere la sua capacità di migliorare la situazione nella striscia di Gaza e di rafforzare la propria posizione rispetto a Fatah. Anzi, pur di preservare la propria forza e impedire un’escalation, in questo momento, sul piano della sicurezza, Hamas potrebbe trovarsi costretta a tenere a freno le fazioni minori, a cominciare dalla Jihad Islamica.»
(Da: Yediot Aharonot, 30.10.11)

Uzi Dayan, su Yisrael Hayom, respinge il concetto stesso che possa esservi un periodo di calma per quanto riguarda i gruppi terroristi che fanno base nella striscia di Gaza, dal momento che questi approfitteranno di qualunque periodo di calma per accrescere e migliorare il loro arsenale; e sottolinea che ben presso quasi un milione di cittadini israeliani si troverà nel raggio della gittata dei vari tipi di razzi lanciati dalla striscia di Gaza. L’editoriale, pur plaudendo agli sforzi delle Forze di Difesa israeliane volti a difendere i cittadini, incluso il sistema anti-missile “cupola di ferro”, invoca «una politica del pugno di ferro contro il terrorismo», compresa l’eventuale riconquista di aree chiave della striscia di Gaza in modo da rendere impossibile il lancio di razzi sui civili all’interno di Israele. L’editoriale aggiunge inoltre che, se si dovesse rendere necessaria un’altra controffensiva come quella del gennaio 2009, allora le Forze di Difesa israeliane dovrebbero «abbattere il regime di Hamas che non è parte della soluzione, bensì parte del problema stesso.»
(Da: Yisrael Hayom, 30.10.11)

L’editoriale del Jerusalem Post si oppone alla richiesta che Israele, «per rafforzare il regime del Fatah di Mahmoud Abbas (Abu Mazen) a Ramallah», proceda con la scarcerazione si altri importanti terroristi, e in particolare di Marwan Barghouti, già comandante delle milizie illegali Tanzim di Fatah nonché animatore della “seconda intifada”, oggi condannato a più ergastoli in Israele per aver organizzato l’uccisione di civili israeliani. «Ciò che differenza l’Autorità Palestinese da Hamas non sono obiettivi strategici sostanzialmente contrastanti, ma solo tattiche in qualche misura divergenti, e diversi gradi di fervore. Sotto l’egida di Abu Mazen, spietati terroristi del passato e del presente vengono riveriti e celebrati. I suoi mass-media ufficiali, il sistema educativo dell’Autorità Palestinese, i predicatori nella moschee sotto la sua giurisdizione diffondono peana di elogi per terroristi idolatrati come eroi. Forse che l’essere stati costretti a rafforzare il prestigio di Hamas (con la scarcerazione di terroristi per ottenere il rilascio dell’ostaggio Gilad Shalit) ci obbliga a pareggiare i conti facendo altrettante concessioni ad Abu Mazen? Essere stati costetti ad accettare uno scambio ingiusto ci vincola a sottometterci spontaneamente ad un’ulteriore pena?
(Da: Jerusalem Post, 30.10.11)

-israele.net 31-10-2011-

 

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