La verità è semplice: non vogliono alcun compromesso, vogliono tutto.
Nella foto in alto: il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) ostenta l’immancabile mappa delle rivendicazioni territoriali palestinesi: Israele è cancellato
Indipendentemente da quanto le si offra – soldi, concessioni ed anche passi avanti verso l’indipendenza – la risposta dell’Autorità Palestinese è sempre “no”. Mass-media, “esperti” accademici e governi sembrano fare molta fatica a capire questo singolare fenomeno. La risposta in realtà è semplice, ma un sacco di gente pagata per occuparsi di queste faccende non la afferra. Dunque, mi sia permesso chiarire. La spiegazione è: l’Autorità Palestinese vuole tutto.
L’Autorità Palestinese vuole uno stato indipendente su tutta la Cisgiordania, la striscia di Gaza e Gerusalemme est senza restrizioni, né trattativa sulle linee di confine, né riconoscimento di Israele come stato ebraico, né serie garanzie di sicurezza, né alcun limite alla militarizzazione, né un accordo che decreti la fine del conflitto (e delle rivendicazioni), né alcuna pressione perché i “profughi” palestinesi (e i loro discendenti) si stabiliscano nello stato palestinese (e non dentro Israele), né alcunché che impedisca loro di perseguire una seconda fase per cancellare del tutto Israele dalla carta geografica.
Ora, si potrebbe obiettare che è del tutto normale che un popolo voglia tutto senza dover dare nulla in cambio, ma normalmente intervengono alcuni fattori che spingono quel popolo verso il compromesso. Il fatto è che, in questo caso, quei fattori mancano. Ad esempio:
– Sapere che non si potrà ottenere un accordo migliore. Ma i palestinesi sanno che l’occidente offrirà sempre di più, più loro si mostrano intransigenti.
– L’impasse favorisce il tuo l’avversario perché la tua intransigenza sposta verso di lui il sostegno internazionale. In questo caso, invece, più i palestinesi sono ostinati, più viene accusato Israele.
– Pressioni economiche. Dal momento che l’Autorità Palestinese è quasi interamente sostenuta dagli aiuti dall’estero, e che tali aiuti non sono messi a repentaglio dalla loro linea dura, questo genere di pressione non esiste.
– Pressione dell’opinione pubblica interna perché la situazione cambi. Ma in questo caso l’opinione pubblica palestinese è relativamente estremista e ideologizzata, e non chiede reclama un accordo di compromesso.
– La preoccupazione che i tuoi rivali politici interni ti surclassino “in moderazione” e ti sconfiggano offrendo di fare l’accordo. In questo caso è vero il contrario: i rivali fanno a gara “in estremismo”, minacciando di distruggere l’avversario politicamente (e magari anche fisicamente) se fa un accordo di pace.
– La convinzione che il tempo lavora contro di te. A causa della sua ideologia religiosa e nazionalista, combinata con una sbagliata percezione di Israele come stato artificiale e fragile, l’Autorità Palestinese e a maggior ragione Hamas sono convinte che il tempo lavori per loro.
Si potrebbe continuare, ma questo elenco è sufficiente per illustrare il concetto: il mondo in generale – gli Stati Uniti, l’Europa, le Nazioni Unite, i paesi di lingua araba e gli stati a maggioranza islamica – hanno di fatto creato un meccanismo “perfetto”, che si può sintetizzare così:
– L’Autorità Palestinese non ha alcun incentivo per accettare un compromesso di pace, per cui non lo fa.
– Il mondo insiste che la “pace” (israelo-palestinese) è una delle priorità più urgenti e più importanti.
– L’unica variabile che resta è Israele, che dunque deve essere costretto a cedere. Ma Israele non lo fa per l’esperienza di tutti questi decenni e perché i rischi al momento sono troppo alti.
– Stallo totale.
Così non cambierà mai nulla, non vi sarà nessun processo di pace e nessuno stato palestinese, non si registrerà mai alcun “progresso”. Si potrà rileggere questo articolo fra due o tre anni e risulterà perfettamente attuale.
Se non si capiscono i punti qui sopra elencati, semplicemente non si può capire il Medio Oriente. Vi saranno altre migliaia di e-mail, centinaia di articoli, una quantità di costosi convegni e conferenze, dozzine di fondi finanziari, decine di iniziative di pace ma saranno tutte inutili, perché basate su false premesse.
Qui non si tratta di destra o sinistra, ma di una mera spiegazione del perché non decollano mai veramente tutti gli schemi e le teorie di coloro che non considerano questi fatti. Magari non è un concetto politicamente corretto, ma è decisamente corretto in termini fattuali.
Ora, mi si potrebbe chiedere: critichi soltanto o hai anche una politica costruttiva da proporre? Ce l’ho, ed è questa: quando il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) rifiuta le proposte del Quartetto per i negoziati, gli Stati Uniti l’Europa e chiunque altro voglia farlo con loro gli dicano: “Abbiamo provato ad aiutarvi, ma voi non volete ascoltare. Per cui, dal momento che abbiamo un sacco di altre cose da fare, ci occuperemo di quelle. Buona fortuna, e quando cambiate opinione e decidete di fare sul serio la pace, avete il nostro numero di telefono”. Ciò causerebbe una specie di terremoto in tutti gli ambienti politici? E perché mai? Se non si può risolvere un problema e – chiariamo bene anche questo – il problema non occorre che sia risolto immediatamente, ci si dedica alla soluzione di altri problemi. Certamente non ne mancano.
Mi auguro che abbiate apprezzato questo articolo e lo abbiate trovato utile. Resta tuttavia un problema: non lo trovano tale coloro che hanno posizioni di potere politico, intellettuale e nei mass-media. Soluzione: per favore spiegateglielo, oppure sostituiteli, oppure prendete il loro posto.
(Da: Jerusalem Post, 16.10.11- .israele.net 27-10-2011)
26/10/2011 Riferisce Ha’aretz che l’Autorità Palestinese intende chiedere la scarcerazione di altri detenuti palestinesi, fra cui i capi terroristi Marwan Barghouti e Ahmad Saadat (entrambi membri della dirigenza di Fatah) come nuova precondizione per la ripresa dei negoziati on Israele. “Israele non deve stupirsi se le due precedenti condizioni, blocco degli insediamenti e riconoscimento delle linee del ’67, ora diventano tre”, ha dichiarato lunedì il parlamentare arabo-israeliano Ahmed Tibi (Lista Araba Unita-Ta’al).
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