Attentato a Eilat: le analisi.
Testata:Il Giornale – Informazione Corretta – Il Foglio – La Stampa
Autore: Fiamma Nirenstein – Angelo Pezzana – Daniele Raineri – Maurizio Molinari
Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 19/08/2011, a pag. 15, l’articolo di Fiamma Nirenstein dal titolo ” Ecco il frutto velenoso della primavera araba: il terrore viene dall’Egitto “. Dal FOGLIO, a pag. 1-4, l’articolo di Daniele Raineri dal titolo ” Attacco a Israele dal Sinai, si riapre un fronte nella guerra al terrore “. Dalla STAMPA, a pag. 13, l’articolo di Maurizio Molinari dal titolo ” Il confine con l’Egitto santuario di Al Qaeda “.
Pubblichiamo la ‘Lettera da Gerusalemme’ di Angelo Pezzana dal titolo ” Adesso tocca all’Egitto “.
Ecco i pezzi:
Il GIORNALE – Fiamma Nirenstein : ” Ecco il frutto velenoso della primavera araba: il terrore viene dall’Egitto “
Fiamma Nirenstein
La primavera araba è arrivata con un mare di sangue in Israele. Ehud Barak, il ministro della difesa israeliano, senza esitazioni ha gettato tutta la responsabilità su Hamas e ha subito bombardato un obiettivo specifico, forse una casamatta, di Rafiah: Hamas, ha detto, ha scelto la strada del Sinai, ma tutta la preparazione si è svolta, come quella di mille altri attentati, dentro la Striscia. Hamas naturalmente ha detto che non c’entra, ma uno dei leader Ahmad Yussuf ha detto che Hamas approva.
Se si guarda la carta geografica si capisce al volo che cosa abbia inteso Barak: Hamas ha aggirato l’ostacolo del confine con Israele utilizzando la strada egiziana apertasi di bel nuovo con la rivoluzione, sia che l’Egitto abbia responsabilità di incuria o peggio, sia che il suo terreno sia stato solo la strada prescelta subdolamente per colpire Israele con un attentato plurimo, complicato, fatto apposto per dimostrare la determinazione e l’accanimento nell’ uccidere la gente di Israele, un soldato e sei civili, come sempre, sia con i missili che con una cintura esplosiva ritrovata sul corpo di uno dei morti.
Hamas ha avuto in questi mesi un bel regalo dall’Egitto del dopo Mubarak: fra le demagogiche dichiarazioni soddisfatte del nuovo gruppo dirigente egiziano dai toni panarabisti-islamisti, negli scorsi mesi il suo confine volto verso l’Egitto è diventato labile e elastico, le cellule variamente armate di missili o di esplosivo che preparano attentati anti israeliani non solo possono godere di libero accesso nel Sinai per poi insinuarsi da oltre confine nel Negev, ma possono anche con molta facilità coltivare i loro rapporti e i piani comuni, favoriti dalle solite tribù beduine prezzolate, con le cellule di gruppi salafiti e di al Qaeda, una vecchia amicizia molto fruttifera. A Hamas non piace tanto ricordarla, dal momento che gli aliena simpatie internazionali cui invece il gruppo terrorista che domina Hamas tiene, ma è dal 2000 che Ariel Sharon denunciò il rapporto, concretizzatosi in passaggi da e per l’Afghanistan, in piani comuni, in armi e training in Libano nei campi palestinesi, in attentati come quelli del pakistano inglese che fece saltare nel 2003 per aria il bar di Tel Aviv “Mike Place”.
Israele negli anni, fiducioso nel rapporto di pace con l’Egitto, ha disinvestito dal confine col Sinai spostando le truppe verso il nord e sul confine di Gaza. Ma adesso si capisce che è stato un errore: dalla rivoluzione di piazza Tahrir i segnali sono stati tutti pessimi, e i tre attentati al gasdotto fra Israele e l’Egitto, le dichiarazioni infiammatorie dei politici più svariati, che prevedono una revisione del trattato di pace, la paurosa presenza ad Al Arish e persino a Sharm el Sheich della Fratellanza Musulmana, che lambisce sempre più minacciosa il potere, le grandi aperture verso Hamas che invece Mubarak non poteva soffrire… sono tutte minacce aperte e un invito al rafforzamento della fazione palestinese che fa del terrorismo e della promessa di morte a tutti gli ebrei (scritta nella sua Carta) il programma costitutivo. C’è chi dice che, ingrata, Hamas avrebbe travestito da soldati egiziani tre dei sette terroristi uccisi per portare il trattato di pace a una crisi definitiva.
Questo attacco è una grande prova dimostrativa della follia della richiesta all’ONU della leadership palestinese di riconoscere unilateralmente a settembre uno Stato Palestinese, senza trattative, ancora in mezzo a un mare di terrorismo, all’indomani dall’accordo fallimentare fra Fatah e Hamas, mentre Fatah si spezza in fazioni e Hamas si dimostra il solito macellaio. Può mai essere uno Stato quello che disegnano oggi i palestinesi? Quali palestinesi? Forse Abu Mazen intende uno Stato di Fatah, e non dei palestinesi? Come intende incamerare Hamas in un disegno pacifico? Il pallido Abu Mazen tratterrà il sanguinario Hamas, o prevede senza colpo ferire, come sembra, che, durante le sue cerimonie all’ONU, i capi di Hamas, manderanno ancora e ancora fuori i loro terroristi?
www.fiammanirenstein.com
INFORMAZIONE CORRETTA – Angelo Pezzana : ” Adesso tocca all’Egitto “
Angelo Pezzana Zvi Mazel
L’attacco sulla strada 12 che va da Beersheva a Eilat è stato preparato fin nei dettagli più sofisticati. I terroristi provenienti da Gaza, superato il confine egiziano del Sinai, praticamente fuori controllo dopo la caduta del regime di Mubarak, hanno potuto mettere a segno una strage che poteva essere ancora più grande se Israele non avesse provveduto nei giorni scorsi ad aumentare il livello di guardia nella zona. Il Sinai, una zona smilitarizzata in base agli accordi di pace del 1979, è diventata in questi mesi un terreno di operazioni terroristiche senza che il governo centrale adottasse alcun provvedimento. Anche l’invio, nei giorni scorsi, di 1000 soldati, si è rivelato del tutto insufficiente. Non a caso Israele lo scorso anno aveva deciso la costruzione di una barriera difensiva lungo i 240 Km del confine. 50.000 sono già stati costruiti, gli altri devono ora essere terminati il più presto possibile. L’attacco chiama in causa il governo egiziano. Zvi Mazel, uno dei diplomatici israeliani più esperti conoscitori della realtà egiziana e collaboratore di informazione corretta, aveva già illustrato i pericoli che potevano arrivare da quel confine in un articolo del 14 agosto scorso ( http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=&sez=310&id=40995) che invitiamo a rileggere, per capire come sia stato possibile l’attentato. Ci ha dichiarato ieri, subito dopo l’eccidio, ” L’attacco è probabilmente una diretta conseguenza del cambio di regime al Cairo. I militari che governano il paese dopo la cacciata di Mubarak stanno cercando di ristabilire la legge e l’ordine in tutto il paese, ma hanno trascurato il problema delle sicurezza nel Sinai. Avere inviato dei soldati la scorsa settimana lungo quel confine è solo l’inizio, arrivato però troppo tardi per impedire l’attentato. Ci auguriamo che l’Egitto riaffermi la sua autorità al più presto. Israele e Egitto devono lavorare insieme nella guerra al terrorismo ” La lucida analisi di Zvi Mazel, pone diversi interrogativi. 1) Ha ancora senso, se mai lo ha avuto, la richiesta del ritorno ai confini del ’67 ? Il terrorismo, attraverso le sue molte sigle, non solo non arretra, ma adesso ha una base collaborativa in Hamas a Gaza, sta trasformando il territorio del Sinai in una entità semi indipendente dal governo centrale, dove anche i beduini si stanno rivelando preziosi collaboratori del terrorismo gestito da Hamas. 2) Quale significato dobbiamo dare oggi all’accordo fra Anp e Hamas, visto che il prossimo Stato palestinese, se mai verrà proclamato, sarà rappresentato da un governo nel quale la componente terrorista è di gran lunga la più forte ? 3) Con quale coraggio il prossimo 20 settembre gli stati democratici potranno mai votare l’autoproclamazione dello Stato di Palestina ? 4) Come è possibile che Ue, Onu, e gran parte degli stati democratici occidentali continuino a finanziare quell’embrione di Stato la cui struttura è strettamente correlata ad Hamas ? Sono domande che non possono più essere evase, è inutile- e ipocrita – condannare il terrorismo quando poi, di fatto, non viene fatto nulla per estirparne le radici.
La STAMPA – Maurizio Molinari : ” Il confine con l’Egitto santuario di Al Qaeda”
Maurizio Molinari
L’ allarme sul Sinai nuovo focolaio di terrorismo è suonato a Washington fra la fine di luglio e l’inizio di agosto quando in almeno una occasione gruppi di miliziani armati, mascherati e inneggianti all’Islam hanno attaccato la stazione di polizia di al Arish, nel Nord-Est del deserto egiziano, a breve distanza dal confine con la Striscia di Gaza, per affermare la capacità di operare alla luce del sole, reclamando il controllo del territorio.
«Sin dall’ultimo periodo della presidenza di Hosni Mubarak sapevano che gruppi jihadisti alleati a tribù beduine gestivano traffici illegali nel Nord-Est del Sinai – spiega Jeffrey White, ex analista dell’Intelligence americana ora in forza al Washington Institute sul Vicino Oriente – ma non era mai avvenuto nulla di simile». Secondo una ricostruzione curata da Dina Guirguis e Eric Trager, che seguono quanto avviene nel Sinai per conto del Washington Institute incrociando i rapporti della sicurezza egiziana con le valutazioni americane, «gli uomini armati cantavano slogan jihadisti, hanno lanciato granate contro la sede della polizia, ucciso cinque persone e ferito altre 15, e nella stessa giornata hanno poi attaccato con i lanciagranate la stazione del gasdotto di Sheikh Zuwaid da dove si diramano le tubature che portano il gas naturale fino Israele e Giordania».
Lo stesso gasdotto era stato più volte in precedenza colpito da sabotaggi ma in questa occasione si è trattato di qualcosa di più: una prova di forza che ha sollevato inquietudine a Washington per via del fatto che in precedenza un gruppo sconosciuto denominato Al Qaeda nella Penisola del Sinai aveva annunciato la propria formazione su diversi siti jihadisti, facendo circolare nelle moschee di al Arish dei volantini che invocavano la creazione di uno Stato islamico nel Sinai con una fraseologia che ripete quella adoperata da cellule affiliate ad Al Qaeda nella Penisola arabica e in Iraq. «Trasformeremo un deserto di pietre in un Emirato del Profeta» si leggeva fra l’altro nel testo.
L’Intelligence israeliana ha condiviso con Washington una stima di «circa 400 miliziani di Al Qaeda» che sarebbero operativi nel Sinai grazie a margini di manovra superiori al passato, dovuti all’indebolimento della presenza della polizia egiziana seguita alla caduta di Mubarak in febbraio. Si tratterebbedi cellule in contatto anche con i trafficanti di uomini che gestiscono il passaggio attraverso il Sinai di clandestini provenienti dal Sudan e diretti in Israele. In assenza di conferme sull’entità delle cellule jihadiste, l’attenzione degli Stati Uniti si concentra sulla presenza nel Sinai di «network di tribù beduine» che operano a dispetto del governo del Cairo, gestendo gran parte dei traffici illeciti che alimentano la Striscia di Gaza.
Una recente inchiesta del «New York Times» ha descritto la floridezza di tali reti di trafficanti, la cui più recente evoluzione consiste nel far arrivare dalla Libia in preda alla guerra civile centinaia di automobili in eccellenti condizioni che vengono messe all’asta nell’area di al Arish, acquistate da palestinesi giunti dalla Striscia di Gaza e quindi fatte arrivare a destinazione attraverso un reticolo di tunnel sotto i confini con l’Egitto. La compravendita di circa 250 auto a settimana alimenta un giro d’affari per centinaia di migliaia di dollari che consente alle tribù beduine di armarsi in maniera sempre più sofisticata alleandosi a gruppi jihadisti il cui interesse è sfidare l’autorità indebolita del governo ad interim egiziano, colpire Israele come avvenuto ieri nell’area di Eilat e soprattutto rafforzare i legami con Gaza, dove puntano a creare network di in aperta concorrenza con Hamas.
«È lecito supporre che l’amministrazioneObama e l’Egitto stiano coordinando le mosse per impedire che il Sinai diventi una zona preda di terroristi», osserva White, secondo cui «sono state le richieste Usa nelle ultime settimane a spingere gli egiziani a far tornare alcuni contingenti di polizia». Ma gli attacchi di ieri provano che non è bastato: che si tratti di un blitz dei jihadisti del deserto o proveniente da Gaza, il retroterra logistico è nel Sinai.
Il FOGLIO – Daniele Raineri : “Attacco a Israele dal Sinai, si riapre un fronte nella guerra al terrore”
Daniele Raineri
Roma. Alla guerra permanente contro Israele si aggiunge il fianco sud. Ieri una squadra di venti terroristi si è infiltrata all’estremità meridionale di quel triangolo rovesciato che è il deserto del Negev e ha colpito con quattro attacchi a venti chilometri dalla città di Eilat. Due autobus sono stati colpiti a distanza di un’ora con mitragliatrici, lanciarazzi e mortai, e un mezzo militare in arrivo per proteggere i civili è saltato su una mina stradale. Sette israeliani sono morti e 33 sono stati feriti, tra cui due bambini di quattro e sette anni. Almeno sette attentatori sono stati uccisi dalla reazione delle forze di sicurezza – gli occupanti del primo autobus erano per la maggior parte soldati in licenza diretti alle spiagge di Eilat. La trappola esplosiva piazzata sulla strada è riuscita a uccidere sul colpo tutti gli occupanti del mezzo militare ed è il segno evidente, assieme alle divise dell’esercito egiziano che gli uomini indossavano secondo alcuni testimoni e al fatto che la zona è comunque accessibile soltanto dopo aver passato la frontiera, che si tratta di un’operazione pianificata bene. L’attacco sconvolge una delle zone di Israele dove l’allarme antiterrorismo aveva con il tempo lasciato il posto a una tranquilla routine frontaliera. L’autostrada 12 nel suo tratto finale sfiora il confine e lo costeggia a pochi metri, i torpedoni verdi della Egged lenti e carichi di turisti fanno ormai parte del paesaggio e soltanto il dieci per cento del confine demilitarizzato con l’Egitto è segnato da una recinzione. Le rotte d’infiltrazione della squadra possono essere due. O dalla Striscia di Gaza, che è molto più a nord e avrebbe richiesto uno spostamento in territorio israeliano molto lungo – ma il tratto di strada che porta verso Eilat è il più deserto del paese. Oppure dal vicino deserto del Sinai, appena oltre la frontiera. Il ministro della Difesa, Ehud Barak, accusa Hamas: “Le origini del terrore sono a Gaza e agiremo contro di esse con tutta la nostra forze e determinazione”. Hamas nega ogni responsabilità nell’attacco, ma rifiuta di consegnare alcuni sospettati. Le Nazioni Unite, temendo la reazione militare israeliana sulla Striscia hanno ordinato al proprio personale di evacuare l’area. Gli aerei israeliani hanno bombardato obiettivi scelti a Gaza, uccidendo cinque appartenenti a un’organizzazione salafita legata a Hamas. Per Israele si avvera un timore cominciato a febbraio, quando gli egiziani hanno deposto il rais Hosni Mubarak e la giunta militare che lo ha sostituito si è dimostrata incapace di riempire il vuoto di potere. Il nuovo Egitto non ha rotto l’alleanza con Gerusalemme, ma non esercita più il controllo di prima sulle frange estremiste ed è diventato di fatto il fianco sud della lotta tra Gerusalemme e i terroristi. Dal Sinai continuano ad arrivare segnali minacciosi. Due settimane fa centinaia di uomini armati hanno assaltato due stazioni di polizia a el Arish, uccidendo sette agenti e distribuendo volantini islamisti alla popolazione. Il gasdotto che trasporta il gas dall’Egitto a Israele è stato fatto saltare cinque volte in cinque mesi. Gli evasi dalle carceri egiziane durante la rivolta, molti dei quali appartenenti a gruppi estremisti e in alcuni casi ad al Qaida, hanno trovato nel Sinai un rifugio sicuro. Assieme al sud est tribale e sunnita della Siria, la penisola desertica si candida a essere un nuovo centro di gravità per il terrorismo arabo, come già lo è da tempo il Waziristan in Pakistan. Tre giorni fa l’esercito egiziano ha lanciato una vasta operazione nel Sinai con un migliaio di soldati proprio per riportarlo sotto controllo. Il Cairo prima di agire s’è accordato con Gerusalemme, perché secondo i trattati di pace del 1979 nella zona non è prevista la presenza di militari e ogni manovra non annunciata potrebbe apparire minacciosa. Il degrado della sicurezza non fa parte della nuova politica estera dell’Egitto, che dopo la caduta di Mubarak ha imboccato una svolta ostile contro Israele, per esempio con l’apertura parziale del valico di Rafah con la Striscia di Gaza e l’apertura verso l’Iran. Ma è evidente che nella penisola il controllo rigoroso dei tempi di Mubarak non c’è più e Israele ha cominciato a pagarne il prezzo.
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