Ospiti sgraditi (e non invitati)
Editoriale del Jerusalem Post – 08-07-2011 |
Stando alle attuali previsioni, diverse centinaia di passeggeri dovrebbero atterrare all’aeroporto Ben-Gurion per inscenare una sorta di “inondazione” provocatoria buona per i titoli di prima pagina. Questa specie di “flottiglia aerea” arriva chiaramente in sostituzione della flottiglia marittima, che sta fallendo. Ma con tutta evidenza questa messinscena ha più a che fare con un’operazione di propaganda che con la rottura dell’assedio di Gaza, ormai comunque fittizio. Il confine della striscia di Gaza con l’Egitto è aperto e, attraverso i valichi di confine con Israele, Gaza riceve un’ampia gamma di rifornimenti, per non dire di acqua ed elettricità. Ma Gaza è solamente un pretesto. La motivazione implicita è quella di infangare ulteriormente l’immagine di Israele, dipingendone i poliziotti come violenti teppisti che aggrediscono arbitrariamente i passeggeri in arrivo. Nella realtà odierna dei mass-media fatta di frasi ad effetto e notiziari lampo di cinque secondi, l’idea può risultare estremamente appetitosa. I nemici di Israele non si sono mai tirati indietro quando si è trattato di agganciarsi alle forze di qualunque ideologia che sembrasse utile ai loro scopi. In alcune fasi del conflitto contro il sionismo, sono stati volonterosi reggicoda e collaboratori dei nazisti. Pochi anni dopo, con una giravolta di 180 gradi, divennero pupilli del comunismo internazionale. Le più recenti buffonate indicano un bizzarro assortimento di alleati che può essere descritto come un incoerente aggregato di anarcoidi sottoforma di attivisti dei diritti umani (a prescindere dagli abusi dei diritti umani nel mondo arabo-islamico, naturalmente). “Anarcoidi” non è comunque una definizione esatta per via dell’ampio dispiegamento di tipi e ideologie. Basti dire che alcuni di questi “anarchici” ostentano posizioni molto pronunciate di estrema sinistra, spesso impudentemente schierati dalla parte della giustizia sociale mentre non si oppongono praticamente mai all’aggressione, anche terroristica, e all’indottrinamento, anche se affermano il contrario. Per loro, saltare sul carro della strombazzata causa palestinese è l’ideale, soprattutto perché Israele si presenta come il bersaglio perfetto: appare già delegittimato, e attaccarlo serve a delegittimarlo ancora di più. È illuminate un dettaglio apparentemente secondario: gli organizzatori dell’“irruzione via aeroporto” si rifiutano di indicare la loro destinazione col suo nome di “Aeroporto Ben-Gurion”. Preferiscono indicarlo come “Aeroporto di Lydda”, usando il nome del minuscolo e rudimentale aerodromo che vi esisteva ai tempi del Mandato Britannico. Questo lessico implica una esplicita negazione della sovranità e dell’esistenza di Israele, e non solo una critica alla politica dei suoi governi. Nessuno stato può tollerare un simile attacco, men che meno lo stato d’Israele piccolo e accerchiato. Gli altri paesi non possono aspettarsi che Israele si comporti in modo diverso da come essi stessi si comporterebbero in circostanze analoghe. A causa del doppio standard con cui Israele viene comunemente giudicato, la sfida che attende il personale di sicurezza dell’aeroporto è tutt’altro che semplice. I visitatori ostili saranno disarmati (giacché avranno passato i controlli prima del decollo), ma dovranno essere fermati. I promotori dell’evento hanno reclutato molti residenti di paesi arabi, con una varietà di passaporti diversi. Per costoro, la violenza e addirittura lo spargimento di sangue sarebbe chiaramente il risultato desiderato. Prendono parte a una formidabile strategia volta a diffamare Israele come un “impianto colonialista e da apertheid” sostenuto da “crimini di guerra”. La sua stessa esistenza viene descritta come un male a cui porre rimedio. L’obiettivo è ostracizzare Israele e avvilire gli israeliani. Di conseguenza, il dilemma è come impedire tale provocazione senza regalare ai suoi organizzatori un trionfo propagandistico. Speriamo che in qualche modo si trovi la maniera di negare l’ingresso ai provocatori e allo stesso tempo evitare di farsi trascinare nella trappola propagandistica da essi congegnata. Trovare il giusto equilibrio è più facile a dirsi che a farsi. Il migliore dei piani può saltare a causa del minimo intoppo. Quello che è all’opera, qui, è l’ennesimo di una serie incessante di tentativi di violare le frontiere di questo paese. In questo senso, le “flottiglie” sono identiche alle irruzioni sui confini d’Israele della Nakba e della Naksa. E lo show all’aeroporto è dello stesso stampo. Quando le frontiere di uno stato vengono proclamate illegittime e violabili, lo è anche la sovranità stessa di quello stato. Il comun denominatore di tutto questo è il tentativo di cancellare le linee post-’67, per poi cancellare quelle armistiziali del 1949 e infine la risoluzione di spartizione dell’Onu del 1947 a favore del cosiddetto “diritto al ritorno”, vale a dire del “diritto di inondare Israele con milioni di nemici”. Ecco perché il “fronte” dell’aeroporto non è meno vitale e cruciale dei confini di terra e di mare.
(Da: Jerusalem Post, 7.7.11) |
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