Spartire la terra, in nome del sionismo.
Nella storia del movimento sionista v’erano coloro che vedevano il suo obiettivo nella riunificazione del popolo ebraico nella sua patria storica e coloro che sottolineavano l’idea che obiettivo del sionismo fosse la rinascita del popolo ebraico nella Terra d’Israele.Ma ogni volta che la dirigenza dell’Yishuv, la comunità ebraica in Terra d’Israele, si è trovata di fronte alla scelta fra avere uno stato ebraico su una parte della terra o restare attaccati al sogno di una “grande Israele”, vale a dire della totalità della Terra d’Israele, essa scelse a grande maggioranza l’opzione dell’indipendenza politica su una parte della terra, dove poter avere una stabile maggioranza ebraica riconoscendo alla minoranza araba diritti ed eguaglianza. Durante un dibattito alla Knesset nell’aprile 1949, il primo ministro israeliano David Ben-Gurion chiarì molto bene questo punto: “Quando è sorta la questione – disse – se mirare all’intero paese senza uno stato ebraico o avere uno stato ebraico senza l’intero paese, abbiamo deciso per lo stato ebraico senza l’integralità della Terra d’Israele”. Questa era la visione che trovò eco nella Dichiarazione d’Indipendenza dello stato d’Israele.
Lo stesso vale oggi. Una forte maggioranza della popolazione ebraica in Israele vuole porre fine all’occupazione e creare una realtà in cui sia garantita una stabile maggioranza ebraica nello stato d’Israele, che non debba governare sopra un altro popolo i cui membri sono privi di diritti civili e politici. Il dibattito, dunque, non riguarda un presunto superamento del sionismo, ma al contrario la creazione delle condizioni di base fondamentali per la realizzazione del sionismo. La validità di questo obiettivo e i progressi in questa direzione non dipendono dalle intenzioni e dalle ambizioni dei palestinesi. Apparentemente anche il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu coglie questo punto e lo proclama come suo obiettivo, ma né lui né il suo governo hanno mostrato di sostenerlo in modo coerente, né fanno abbastanza per promuoverlo. Hanno invece messo nelle mani dei palestinesi le chiavi per la sua realizzazione. Chiarire questo punto è cruciale per il nostro futuro in questo paese. Le prospettive di pace dipendono dal fatto che tutti i soggetti della regione riconoscano che la guerra contro l’esistenza stessa d’Israele e la sua identità è destinata al fallimento. Quella israeliana non è una società fragile “come una ragnatela” (per dirla con le parole del capo Hezbollah, Hassan Nasrallah), né una società di individui senza radici, arrivati qui per prendere il controllo di un paese che non appartiene loro, all’insegna di colonialismo e imperialismo. Il dibattito interno in Israele sul futuro dei territori non toglie nulla alla convinzione della giustezza complessiva del progetto sionista.
Il movimento sionista ha raggiunto l’apice con la creazione dello stato. La sostanza di questo risultato è il desiderio di soddisfare la necessità e l’ambizione del popolo ebraico di creare nella propria patria le fondamenta per una rinascita nazionale. Le prospettive di pace dipendono dal fatto che i nostri nemici riconoscano che, se non sarà raggiunto con loro alcun accordo diplomatico, il popolo ebraico farà tutto ciò che è necessario fare per proseguire la propria esistenza indipendente, anche se questo significherà sistemarsi in una parte soltanto della patria storica. Identificare la narrativa della “grande Israele”, cioè dell’integralità della terra d’Israele, con il progetto sionista è peggio che una distorsione della storia. Paradossalmente, questo collegamento fa il gioco di coloro, ebrei e arabi, che si oppongono alla spartizione della terra.
Solo attraverso la comprensione del fatto che è in corso un doloroso, profondo dibattito interno al sionismo, il popolo ebraico in Israele potrà prendere le difficili decisioni che vanno prese per promuovere la nostra visione, e non quella della controparte. E soltanto prendendo queste decisioni nel quadro di un ideale condiviso, possiamo custodire quel senso di solidarietà reciproca che è un pilastro fondamentale della nostra forza. Sceglieremo di cedere il controllo politico su una parte della terra, e prenderemo questa decisione perché siamo uniti da un comune ideale sionista che può essere preservato soltanto attraverso tale concessione. La strada scelta per avanzare in questa direzione dipenderà, naturalmente, dalle condizioni politiche e strategiche nel paese, nella regione e nel mondo. Questa è davvero la sfida esistenziale che la nostra generazione deve affrontare. Ancora una volta, come fu prima della nascita dello stato, è giunto il momento di assumerci la responsabilità del nostro destino, di definire con chiarezza gli obiettivi del sionismo e di procedere con determinazione, saggezza e senso di responsabilità.
(Da: Ruth Gavison /Ha’aretz, 10.6.11-israele.net,13.6.2011)
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