L'Unità d'Italia secondo Vittorio Dan Segre
Lo scorso 7 gennaio, il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, ha aperto ufficialmente le celebrazioni del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, con un viaggio nel Risorgimento italiano in terra di Emilia Romagna, con un “no a visione acritica e idilliaca del Risorgimentoâ€.
[b]Vittorio Dan Segre[/b], classe 1922, piemontese di Torino, diplomatico, giornalista, docente universitario da Haifa a Tel Aviv, a
Oxford, a Stanford, ma anche a Torino e Milano, è stato tra i protagonisti della nascita dello Stato d’Israele, nel 1998 ha creatol’[i]Istituto di Studi Mediterranei[/i] presso l’Università della Svizzera Italiana a Lugano, e oggi, all’Università di Tel Aviv, è responsabile di un corso sui rapporti fra Risorgimento italiano e Risorgimento ebraico, e resta, in Italia, una delle voci più carismatiche del sionismo.
[b]Professore, dunque siamo entrati nel 150° anniversario dell’Unità d’Italia. Lei, da piemontese e italiano, come vive questo anniversario?[/b]
Le date che terminano con degli zeri hanno sempre qualche cosa di speciale, di magico di cui il passare del tempo diminuisce l’impatto. A me ricorda quanto fallaci siano le previsioni soprattutto politiche. Nel 1911, nel cinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia la stampa di Vienna sosteneva che una delle poche cose prevedibili fosse il fato che il nuovo stato italiano non sarebbe
stato in grado di arrivare a festeggiare il suo primo centenario di esistenza.
Oggi l’Austria Ungheria non c’è più mentre l’Italia, viva e vegeta, è paese membro e fondatore della Comunità europea.
La sua italianità come ha influito, nel bene e nel male, nella sua
partecipazione alla creazione dello Stato d’Israele?
Ho lasciato l’Italia nel 1939 a causa delle leggi razziali e una delle ragioni
che mi ha spinto ad andare in Palestina, al tempo mandato britannico, era il
desiderio di partecipale nella creazione del nuovo -allora molto dubitabile-
stato come gli uomini e le donne del Risorgimento avevano partecipato alla
creazione dell’Italia. In questo momento insegno un corso universitario
sponsorizzato dall’Ambasciata d’Italia a Tel Aviv, sui rapporti fra
Risorgimento italiano e Risorgimento ebraico. Debbo dire che c’è molto
interesse da parte di studenti che della storia d’Italia sanno poco.
In questi 150 anni, quali le tracce e i contributi dell’ebraismo?
I contributi degli ebrei italiani al Risorgimento sono stati enormi e
sproporzionati al loro numero. Basta sfogliare le pagine del Dizionario del
Risorgimento per rendersene conto. Per questo il tradimento monarchico di
Vittorio Emanuele III dei suoi più fedeli cittadini è stato percepito dagli
ebrei italiani più penoso e indecente di quello del fascismo. Mussolini,
nonostante la sua passione per le donne ebree e le pubbliche dichiarazioni di
“protettore degli ebrei†non ha mai abbandonato le sue posizioni anti semite di
anarchico.
I padri fondatori di Israle, come hanno interagito con l’Italia e quale
opinione ne avevano?
I padri fondatori del Sionismo, il risorgimento politico ebraico, salvo qualcuno come il leader dello sionismo revisionista Zeev Jabotinsky non sono stati influenzati dalle idee risorgimentali in maniera particolare. Anche
perché quando il movimento sionista è nato con Theodor Herzl nel 1896, il
Risorgimento italiano era terminato.
E il mondo arabo?
L’impatto del Risorgimento sul mondo arabo e non arabo è stato significativo
soprattutto per l’opera di diffusione delle idee e la presenza fisica di molti
patrioti italiani, perseguitati dalle polizie dei vecchi stati italiaci, in
Tunisia, Egitto, Persia e persino India e Cina. Ma questo succedeva molto prima
di Arafat che delle idee e soprattutto della morale politica mazziniana era
totalmente ignorante.Il movimento nazionale palestinese -contrariamente al
movimento nazionale arabo- non ha le sue radici in quello italiano ma
paradossalmente in quello ebraico. I palestinesi sono dei “sionisti†arabi.
Oggi Israele quando guarda all’Italia cosa si attende e come la giudica?
Il diritto a giudicare un paese appartiene a chi ci vive dentro, non a chi ci
vive fuori. Israele guarda oggi all’Italia coi sentimenti di affetto e
gratitudine che gli ebrei provavano verso l’Italia dell’immediato dopo guerra
che, nonostante la situazione di protettorato alleato in cui viveva -o forse
proprio per questo- comprendeva e aiutava alla realizzazione del sogno
nazionale ebraico molto più che i successivi governi. Oggi l’interesse
reciproco è molto estero. Ciò che tuttavia più colpisce è la similitudine di
problemi di identità irrisolti. Entrambi i paesi hanno capitali -Roma e
Gerusalemme- di peso storico e emotivo molto più grande di quello dei reciproci
stati; entrambi sono ancora incerti sul cammino politico e culturale futuro:
europeo o mediterraneo; in entrambi lo stato è stato fatto prima di fare i
propri cittadini -come diceva Massimo d’Azeglio per l’Italia- gli italiani.
Cosa c’è da celebrare in questa Unità ?
La volontà -che esiste- di migliorare la società attuale per rispetto al passato e per fiducia nell’avvenire.
Da almeno 2 anni si sta preparando questo grande evento, eppure gli italiani
non sembrano così appassionati e informati su questa data. Bisogna, dopo 150 anni, rimboccarsi le maniche per fare gli italiani? o c’è anche altro? La voglia di spaccare gli stati unitari creati nel passato è diventata una
moda più che una intenzione cosciente e ragionata. D’altra parte è inevitabile
che quando le città di trasformano in metropoli con popolazione maggiore di
quella di molti stati, le questioni di competenza delle autorità locali
diventano più importanti e pressanti di quelle politiche e l’incapacità del
governo centrale di risolverle è sempre più apparente. C’è dunque bisogno di un
migliore equilibrio di autorità e di risorse fra il potere centrale e quello
locale. Ma lo stato nelle sue nuove molteplici forme – federative,
confederative, comunitarie – resta indispensabile. Il pericolo non è nel
cambiamento ma nell’ignoranza.
Il problema dell’identità di questo nostro Paese, Lei come lo decodifica, come
lo porrebbe?
E’ un problema reale tanto per l’Italia che per Israele e nasce dal fatto che
lo stato e la nazione si identificano sempre di meno e lo stato sovrano,
‘inventato’ alla Pace di Westfalia, nel XVII secolo, è sempre meno sovrano. Il
vero problema mi sembra essere quello della “re-codificazione†della sovranitÃ
e dei suoi usi interni ed esteri.
Ragionando in termini ragionieristici: le risorse utilizzate per celebrare l’
Unità di un Paese sono un investimento o una spesa corrente?
La ragioneria va bene per i conti della spesa, non per quelli dello spirito,
tanto individuale quanto collettivo. Non è questione di risorse materiali ma
morali.
In conclusione non posso fare a meno di chiederLe: perchè ha realizzato l’
Istituto di Studi Mediterranei in Svizzera e non in Italia?
Ho creato il mio istituto a Lugano, nella Svizzera italiana, perché di
istituti di studi mediterranei in Italia e fuori d’Italia ve ne erano troppi.
E nessuno mi sembrava ispirato al principio della neutralità che è anzitutto l’
intelligenza politica della moderazione. Una qualità che nel Mediterraneo è
ancora poco sviluppata oltre al fatto che in Svizzera ho goduto di un sostegno
finanziario privato che non so se avrei trovato con la stessa facilità altrove.
Gli svizzeri, del resto, hanno dimostrato che non occorre vivere sulla sponda
del mare per vicere una gara marittima internazionale.
Maria Margherita Peracchino, Costruendo l'Indro, 10 gennaio 2011
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