[b]pubblicata da Stefano Magni il giorno venerdì 3 settembre 2010[/b]

Mentre a Washington entravano nel vivo i colloqui per la pace nel Medio Oriente, il presidente israeliano Shimon Peres incontrava ieri Papa Benedetto XVI a Castelgandolfo. Il loro è stato un colloquio “cordiale” incentrato sul futuro accordo economico fra Israele e Santa Sede per la posizione fiscale delle comunità cattoliche in “Terra Santa”.

Ma anche un’occasione per augurare il successo ai negoziati diretti fra lo Stato ebraico e l’Autorità palestinese. “Circa la ripresa dei contatti diretti tra israeliani e palestinesi, in programma oggi a Washington – si leggeva nella nota vaticana – si è auspicato che essa aiuti a raggiungere un accordo rispettoso delle legittime aspirazioni dei due Popoli e capace di portare una pace stabile in Terra Santa e in tutta la Regione”. Ci sono alcune valide ragioni per essere ottimisti sui negoziati diretti israelo-palestinesi? Ad essere positivo sul nuovo tentativo di siglare una pace è l’ambasciatore israeliano negli Usa, Michael Oren. Prima di tutto, Paesi come Egitto, Giordania, Arabia Saudita vedono nell’Iran una minaccia molto più immediata rispetto al nemico storico israeliano. Secondo: perché Mahmoud Abbas non è Yassir Arafat. Se il raiss rivoluzionario palestinese parlava di pace in inglese e di jihad in arabo, il suo successore presidente dell’Anp dimostra di essere realmente più pragmatico. Prova ne è che l’ala dura dei palestinesi, ora raccoltasi sotto Hamas, gli ha dichiarato esplicitamente guerra. Il maggior ostacolo denunciato dai palestinesi è la costruzione di nuovi insediamenti ebraici. Ma gli insediamenti non hanno mai rovinato i negoziati, in passato: Giordania ed Egitto hanno firmato trattati di pace con lo Stato ebraico, anche in presenza di “colonie” nei territori contesi.

 

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