L’attenzione internazionale è concentrata da oltre un decennio sui conflitti del Vicino e del Medio Oriente. Nulla pare mai migliorare nella regione, i conflitti si moltiplicano e si trascinano senza fine. Otto anni di guerra in Afghanistan e in Iraq non hanno portato né alla vittoria, né alla pace interna, né alla costituzione di governi autonomi e autorevoli. I conflitti in Libano e in Palestina paiono non aver fine.
Si tratta di situazioni collegate fra di loro? Sono conflitti dello stesso tipo? È possibile prevederne l’evoluzione?

[b]Le cause delle guerre e dell’instabilità nella storia[/b]

Per iniziare a far chiarezza occorre considerare che le situazioni che causano guerre e lunghi periodi di instabilità sono di tre tipi diversi.
[b]1) Il diffondersi di una ideologia aggressiva, pericolosa[/b] per lo status quo, perché fa proseliti in stati e popoli diversi inducendoli a ribellarsi ai governi esistenti.
La Guerra Fredda è un esempio recente di guerra fra ideologie. Ogni ideologia era incarnata in stati potenti, occidentali per cultura e per posizione geografica. La guerra però ebbe combattimenti a fuoco soltanto in terre lontane dall’occidente : Vietnam, Corea, Cuba.
Guerre fra ideologie hanno funestato l’Europa per un millennio: le guerre di religione, ma anche le guerre napoleoniche, combattute in nome della libertà del popolo sovrano. Anche la seconda Guerra Mondiale è stata resa inevitabile dal nazionalismo razzista e assassino di Hitler, che induceva i Tedeschi a non fermarsi, a non accontentarsi di esercitare maggiore egemonia: si fosse trattato soltanto di questioni territoriali ed economiche, le potenze europee l’avrebbero lasciato fare accettando un nuovo status quo.
Fu alimentata dall’ideologia, dalla religione, anche la conquista araba nel VII-X secolo .

[b]2) Il collasso interno di stati fragili[/b], privi di coesione,con la corsa di altri poteri a ‘riempire il vuoto’.
Quando collassa un impero o un grande stato, i popoli che ne fanno parte si dividono – o vengono divisi dalle grandi potenze – in stati più piccoli e potenzialmente più omogenei, spesso incapaci di stabilità politica sociale ed economica perché nascono artificialmente, per una decisione presa dall’alto, con territori e popolazioni che difficilmente sono favorevoli a mantenere la coesione interna .
È il caso di tantissimi paesi nati dal disfacimento dei grandi imperi coloniali europei e dal disfacimento degli altri tre imperi del secolo XX: quello austriaco, quello ottomano, quello zarista (diventato poi sovietico) in Russia.
Fu il caso del collasso dell’Impero Romano nel Medio Evo.
[color=#0000cc]Dopo il crollo di ogni impero, i nuovi stati si costituiscono sulla base sia degli interessi dei paesi limitrofi più forti, sia dei principi che in quel periodo storico vengono considerati fondanti il diritto alla cittadinanza (religione, cultura e storia, discendenza da abitanti locali, etc.)[/color].[color=#ff0000]Oggi la legge internazionale non ha un concetto condiviso e accettato del diritto della persona alla cittadinanza politica in un territorio o in uno stato, piuttosto che in un altro. [/color]

[b]3) L’aggressività di uno stato forte che estende la propria egemonia con la forza, anziché usare mezzi culturali ed economici.[/b] È il caso di Saddam in Iraq nei confronti dell’Iran e del Kuwait. È il caso della Russia in Georgia nel 2008. Fu il caso della Germania nazista e dei suoi alleati nel 1939-1941.
È l’unico caso in cui la legge internazionale oggi giustifica l’uso della guerra. È l’unico caso in cui è normale e ‘facile’ intervenire e vincere con forza superiore, fermando o distruggendo il singolo stato prepotente. La storia ci dimostra che sono sempre stati ben più lunghi e pericolosi i cicli di guerra imputabili agli altri due motivi.
Dal conflitto ideologico o dal rompersi dei legami politici e storici che tengono unite popolazioni diverse nasce sempre una instabilità di lunga durata, una conflittualità irrisolvibile
· finché l’ ideologia che si ribella non si riconosce sconfitta perché inadeguata;
· o finché anche i più minuscoli popoli non abbiano avuto la soddisfazione di sentirsi indipendenti, e non sentano la necessità di tornare ad aggregarsi ai vicini.

[b]Che cosa sta succedendo in Medio Oriente? [/b]

[b]I diversi conflitti della regione, che pur influiscono variamente l’uno sull’altro, oggi sono in stadi diversi di evoluzione, non hanno quasi nessun punto in comune.[/b]

Gli stati del Vicino e del Medio Oriente sono sorti o si sono ridefiniti – eccetto l’Iran – dal crollo degli imperi del XX secolo. L’apparente stabilità raggiunta negli anni ‘50 e ‘60 fu poi sconvolta da conflitti e insurrezioni ideologiche su base religiosa (il Pakistan è da decenni in conflitto a bassa intensità con l’ India, l’Iran è diventato uno stato teocratico fondamentalista sciita in perenne conflitto con l’Iraq laico e sunnita, l’Afghanistan ha cacciato i comunisti ricorrendo al fondamentalismo sunnita). L’ideologia religiosa più estrema, jihadista, ha rapidamente coinvolto parte delle popolazioni di tutti i paesi islamici del globo (incluse le lontane Filippine, l’Asia Centrale, i paesi del Caucaso, e il Corno d’Africa).

Le guerre NATO – o americane – in Iraq e Afghanistan non hanno risolto nulla, a ulteriore riprova che le guerre basate su ideologie non si risolvono se l’ideologia ‘ribelle’ non abbandona la lotta per insufficienza di ‘fede’. E la ‘fede’ le popolazioni la perdono se vedono che dà risultati costantemente negativi, portandoli alla rovina. Per questo il bilancio delle guerre in Iraq e in Afghanistan converrà farlo fra alcuni anni: potrebbe non risultare del tutto negativo.

[b]L’Iran e l’Iraq.[/b]

Il malcontento interno in Iran è in aumento, anche se il regime è ancora molto forte. L’Iraq, di cui l’Iran ha sempre temuto l’egemonia, è in bilico fra la possibilità di stabilizzarsi e la possibilità di frantumarsi nella guerra civile – e a far pendere la bilancia in un senso o nell’altro contribuirà in modo determinante l’Iran. Sotto spinte potenti dell’opinione pubblica interna ed internazionale l’Iran potrebbe scegliere il basso profilo e la stabilizzazione dell’Iraq? È la scommessa degli USA di Obama. Presto sapremo con che risultato.
Gli USA hanno comunque ancora una presenza militare importante nei due paesi a Est e a Ovest dell’Iran, da cui possono sempre far valere la propria superiorità balistica e aerea.

[b] L’Afghanistan e il Pakistan.[/b]

Non è possibile stabilizzare l’Afghanistan senza la piena collaborazione del Pakistan, che però è uno stato di per sé molto fragile, storicamente mal governato, a rischio di implosione.
Pakistan e Occidente hanno entrambi interesse a lasciare che l’Afghanistan torni ad essere controllato dai Talebani, purché questi non diano ospitalità ai jihadisti internazionali. Ma né il governo del Pakistan né quello dell’Afghanistan sono in grado di prendere il pieno controllo delle proprie popolazioni, storicamente leali verso il proprio clan di appartenenza e non verso il potere centrale. È probabile che dopo il ritiro degli USA i due paesi saranno a lungo tormentati da ribellioni e guerre civili localizzate.

[b]La Palestina.[/b]

Il conflitto in Palestina dura ormai da 62 anni per due motivi:
– i paesi della regione non hanno mai avuto interesse a farlo finire. Questo conflitto locale abitualmente a bassa intensità ha sempre fatto gioco agli altri paesi della regione per estendere la propria egemonia o ostacolare l’egemonia altrui.
– l’ideologia nazionalista araba – laica – che ha sostenuto l’OLP di Arafat è chiaramente fallita, insieme a tutti gli altri tentativi di costruire stati o unioni fra stati sulla base della fratellanza fra Arabi. Questa ideologia fallita è stata sostituita a partire dagli anni 90 – in larghi strati di popolazione – dall’ideologia del jihad. Ma anche questa non ha dato risultati per la popolazione palestinese, che è sempre più ferocemente divisa in fazioni armate contrapposte.
Il ritiro di Israele ha lasciato Gaza alla mercé dei fondamentalisti di Hamas, ma ha anche creato la grande frattura fra Hamas e Fatah. La maggioranza dei Palestinesi oggi ha capito che, se anche Israele sparisse, loro sarebbero dilaniati dalla guerra civile, sobillata principalmente da Siria e Iran (tramite gli Hezbollah in Libano e Hamas a Gaza). I Palestinesi non sono in grado di fare la pace fra di loro, non sono in grado di unificare territorialmente il paese, non sono in grado di firmare la pace con Israele e farla rispettare dai gruppi armati. Non sono in grado di stabilirsi definitivamente in Giordania, Egitto, Libano, Siria, perché i fratelli arabi non li accettano come cittadini, ma soltanto come ospiti temporanei.
Qualche cosa potrebbe iniziare a cambiare se Siria e Iran rinunciassero alle loro mire sulla regione. Non se ne vede alcun segnale.
Il nuovo dialogo israelo-palestinese appena accettato dalle parti è una mossa tattica degli USA, dei Sauditi e dei Turchi, che servirà a prender tempo e a rendere meno facili le mosse dell’Iran nella regione. Palestinesi e Israeliani sonostati accomodanti e hanno accettato di parlarsi, anche se entrambi sanno che non potranno cambiare le condizioni che hanno precluso le vie di uscita sino ad ora.

[b]Laura Camis de Fonseca[/b]

 

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