nella foto: interpretazione di Madonna con Bambino

[b]DOPO L'INCONTRO USA-ISRAELE
Hamas: «No a negoziati diretti tra palestinesi e israeliani»[/b]
Li avevano auspicati Netanyahu e Obama. Ma Gaza non si fida. E rilancia: Il primo ministro israeliano dica se vuole la pace o gli insediamenti. Non può avere entrambi

Corriere della Sera – Redazione Online – 07 luglio 2010

[b]MILANO – Relazioni dirette tra israeliani e palestinesi. [/b]Colloqui non più mediati tra le parti per la pace in Medioriente. Ma i palestinesi non si fidano. Il presidente palestinese Mahmoud Abbas ne diffida nel timore di finire in una trappola. Martedì, alla Casa Bianca, i colloqui di pace diretti li aveva auspicati il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e li aveva caldeggiati il presidente Usa Barak Obama che aveva sottolineato l'importanza che iniziassero prima di settembre.

I palestinesi, però, hanno reagito con freddezza. E, all'appello congiunto del presidente americano e del primo ministro israeliano, il capo negoziatore palestinese, Saeb Erekat, ha reagito accusando Netanyahu di bloccare la strada per negoziati diretti rifiutandosi di accogliere la richiesta palestinese di bloccare completamente le costruzioni israeliane a Gerusalemme Est e in Cisgiordania. «Il mondo intero e l'amministrazione Usa sanno che l'unico che sta bloccando la porta dei negoziati diretti è Netanyahu», ha detto. Parlando alla radio Voce della Palestina, Erekat ha detto: «Noi siamo sinceramente interessati all'avvio di negoziati diretti, ma Netanyahu ci ha chiuso la porta in faccia. Netanyahu deve decidere se vuole la pace o gli insediamenti. Non può avere entrambi». Erekat ha anche sottolineato che i palestinesi vogliono prima vedere progressi nei colloqui indiretti sulla questione dei confini e della sicurezza e che i negoziati diretti devono essere ripresi da dove sono stati interrotti, nel dicembre 2008. «Il mondo sa che l'inizio dei colloqui diretti è nelle mani di Netanyahu. Tutto quello che ha da fare è dire che tutte le attività di costruzione di insediamenti, anche quelle a Gerusalemme, saranno interrotte», ha proseguito il consigliere del presidente palestinese Mahmoud Abbas. «Abbiamo un processo di pace da 19 anni, ma la politica israeliana degli insediamenti non è cambiata», ha aggiunto.

STRETTE DI MANO – I palestinesi insistono nel tenere a distanza di sicurezza Israele sino a quando non saranno chiare alcune cose: di quale dimensione e forma sarà lo stato palestinese che Netanyahu è preparato a prendere in considerazione? E la valle del Giordano sarà libera da truppe israeliane? I colloqui diretti avviati in maggio dal mediatore Usa George Mitchell sono circa a metà strada nei quattro mesi di durata previsti. Dovrebbero concludersi in settembre, circa nello stesso periodo di un parziale congelamento ordinato da Netanyahu lo scorso novembre nella costruzione di insediamenti israeliani nella Cisgiordania occupata. Israele dice che gli attuali «colloqui di avvicinamento» sono una perdita di tempo. «Quel che vogliamo vede alla fine è una cosa. Vogliamo che il presidente Abbas prenda la mia mano … per stringerla, si sieda e tratti un accordo finale di pace», ha detto Netanyahu. Il sostegno di Obama a questo obbiettivo nel corso dell'incontro di martedì alla Casa Bianca è stato un segnale di orientamento rapido immediato verso i negoziati diretti ben prima di settembre è vitale per mantenere in vita il processo. «La chiave dei colloqui diretti è nelle mani del primo ministro Netanyahu», ha detto il capo negoziatore palestinese Saeb Erekat. «Nel minuto in cui annuncerà un (totale) congelamento degli insediamenti, nel minuto in cui annuncia la ripresa dello stato finale (dei colloqui) nel punto in cui li abbiamo lasciati nel dicembre 2008, avremo colloqui diretti».

 

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