LA CRISI USA – ISRAELE
[b]Obama detesta Netanyahu e sta creando problemi agli israeliani[/b]
Fiamma Nirenstein
Il Giornale, 17 marzo 2010
Riguardo a Biden in Israele
di Daniel Pipes
10 marzo 2010
[b]Obama detesta Netanyahu e sta creando problemi agli israeliani
Il Giornale, 17 marzo 2010[/b]
L’ha spiegato molto bene il consigliere diplomatico che gestì la crisi fra Rabin e gli Usa nel 1975: «Gli Stati Uniti non devono mai creare una situazione in cui Israele si senta abbandonata: questo infatti incoraggia lo spirito bellicista della parte avversa e l’inflessibilità israeliana. Se gli Usa vogliono far avanzare il processo di pace, non devono mettere Israele in un angolo chiamando Ramat Shlomo “insediamentoâ€. Ciò che occorre da ogni parte è una costruttiva ambiguità ».
Ed era quanto si era avuto fino ad oggi, con lo stop alle costruzioni nel West Bank per dieci mesi e la ripresa dei rapporti fra le parti tramite interposta persona. Poi, Obama ha protestato duramente su un accordo mai fatto, per il quale secondo lui Israele non dovrebbe più costruire a Gerusalemme est prima che venga siglato un accordo. Ma è noto che a Gerusalemme est abitano da sempre decine di migliaia di ebrei insieme a gli arabi, e nessuno ha mai immaginato che in vista di un accordo su Gerusalemme tale presenza potrebbe essere obliterata.
La situazione ha preso fuoco dopo che gli Usa hanno dichiarato «un oltraggio» il fatto che sia stata annunciata martedì la costruzione di 1600 unità abitative nel quartiere di Ramat Shlomo: allora, cavalcando la scusa di una ipotetica aggressività israeliana nei confronti di Gerusalemme, i palestinesi hanno dato il via a scontri che potrebbero portare ovunque. Per adesso, ieri si contavano otto feriti dalla parte israeliana e quindici da parte palestinese, ma le sassaiole continuano in Città Vecchia, Hamas ha dichiarato il suo “giorno della rabbiaâ€, il movimenti islamista degli arabi israeliani è sceso a Gerusalemme per difendere la non mai attaccata moschea di Al Aqsa, di cui anche Fatah reclama il diritto alla difesa. Da Damasco la richiesta ai palestinesi di dare il via a una Terza Intifada sibila nel vento di hamsin che ha coperto i l Medio Oriente nei giorni scorsi di una nuvola di sabbia bianca accompagnata da una temperatura di 32 gradi a Gerusalemme.
L’impressione è che Obama, che non ha mai avuto simpatia per Netanyahu, lo aspettasse all’angolo di un errore da rimarcare per allontanare la politica americana da quella israeliana e che dunque, forse malgrado Biden, sia stata colta al volo l’occasione dell’annuncio fatto nel momento sbagliato della visita del vice premier. Ma, se era legittimo da parte dell’amministrazione americana rimarcare lo scarso tempismo del governo israeliano rispetto all’inizio dei colloqui che dovevano riprendere in questi giorni, dall’altra parte la veemenza della reazione è stata da molti ormai giudicata, anche negli Stati Uniti, “esagerataâ€.
Obama non è uno specialista in Medio Oriente: il suo inchino al re saudita, il discorso al Cairo, pieno di autoaccuse, non hanno portato a nessun risultato presso l’opinione pubblica, solo alla percezione d ella sua debolezza. L’antiamericanismo regna sovrano nel mondo musulmano. La benevolenza verso la Siria con l’apertura di un’ambasciata a Damasco ha portato a un ulteriore coinvolgimento di Bashar Assad con Ahmadinejad, la sua mano tesa verso l’Iran ha portato all’avvicinarsi del rischio atomico mentre, indisturbato, il regime degli ayatollah ha riempito di missili (tramite la Siria) gli Hezbollah, che ora possono arrivare a colpire Tel Aviv, e ha preparato all’attacco Hamas.
Adesso la reazione di Hillary Clinton («un insulto – ha detto alla Cnn – di cui Netanyahu è responsabile») al piano per Ramat Shlomo, un sobborgo di Gerusalemme est piazzato nel cuore di vecchi quartieri ebraici, ha portato a due conseguenze: lo scaldarsi della piazza palestinese, eccitata dal sostegno americano e quindi mobilitata su tutta Gerusalemme in termini religiosi; e, da parte israeliana, a una rinvigorita decisione da parte di Netanyahu di non cessare di costruire «come ha fatto – ha detto Bibi – ogni primo ministro israeliano».
Ricapitoliamo i termini della questione. Dal 1993, con l’accordo di Oslo, Israele e Palestinesi aprirono le trattative su tutta la questione territoriale: non fu mai messo in discussione se si dovesse continuare o meno a costruire dentro gli insediamenti. I negoziati non se ne occupavano, puntavano a trovare una soluzione generale nel West Bank e a Gerusalemme. Lo stesso è accaduto durante i negoziati fra Olmert e Abu Mazen. Ambedue i negoziati, fra Barak e Arafat e fra Olmert e Abu Mazen, per la cronaca, hanno parlato di Ramat Shlomo come di una zona di Gerusalemme che potrebbe, una volta raggiunto un accordo generale per due capitali, restare a Israele. Quando più avanti, allo scopo di riprendere i negoziati interrotti con la guerra di Gaza, Obama chiese a Netanyahu di cessare dal costruire anche dentro gli insediamenti, Bibi indisse il freezing per dieci mesi nei Territori, ma non a Gerusalemme: gli americani lodarono tuttavia l’iniziativa che definirono un gesto di buona volontà verso la pace. Netanyahu intanto aveva accettato l’idea di “Due stati per due popoli†nel discorso dell’Università di Bar Ilan, senza nessuna risposta da parte palestinese, neppure sulla richiesta di riconoscere l’esistenza dello Stato Ebraico. Lungamente Abu Mazen ha rifiutato di scendere dall’albero che Obama, e non i palestinesi, avevano piantato, quello del freezing degli insediamenti prima della ripresa di qualsiasi colloquio.
Ed eccoci all’oggi: Abu Mazen aveva accettato la ripresa dei colloqui. Ma ecco che Obama gli porge di nuovo un ramo altissimo su cui asserragliarsi. E non calcola, forse, che quando si dice Gerusalemme si rischia di dare fuoco a tutta l’area, e di mettere Fatah nelle fauci dei movimenti islamisti che puntano alla distruzione di Israele e non a un processo di pace. Gli scontri che hanno luogo in queste ore nascono dal movimento islamista degli arabi israeliani e da Ham as congiuntamente, ma anche il primo ministro Fayyad ha invitato i palestinesi ad andare a difendere la moschea di Al Aqsa come se Israele volesse occuparla, cosa lontanissima dalla realtà .
Lo spunto è stata l’inaugurazione lunedì dentro il quartiere ebraico della Città Vecchia dell’antica Sinagoga della Hurva restaurata. Hurva, si chiama così, «rovine», perché gli arabi l’avevano già distrutta due volte. Adesso gli ebrei hanno fatto gran festa inaugurandola, ma ciò è avvenuto solo nella piazza ebraica che la ospita fin dal 1700, secondo tutte le mappe che delimitano lo status quo. Non importa: adesso i movimenti islamisti sostengono a spada tratta, nel mentre i giovani vengono invitati in piazza per difendere la Moschea di Al Aqsa che non c’entra nulla, che gli ebrei la minacciano. E si torna a sentire risuonare il mito, a suo tempo genialmente inventato dal Mufti filo nazista Haj Amin Al Husseini e poi ripreso da Arafat, che gli ebrei si sono inventati tut to, che il loro plurimillenario legame con Gerusalemme è un’invenzione, insomma, in una parola, che la storia e anche la Bibbia sono un’opinione. Sbagliata, naturalmente.
http://www.fiammanirenstein.com/[/link]
[b]Riguardo a Biden in Israele
di Daniel Pipes
10 marzo 2010[/b]
http://it.danielpipes.org/blog/2010/03/riguardo-a-biden-in-israele
Pezzo in lingua originale inglese: On Biden in Israel
Il viaggio di Joe Biden in Israele s'inserisce bene nello scontro in seno all'amministrazione Obama riguardo alla politica verso Israele.
Inizialmente ha prevalso l'estrema sinistra, come comprovato dalla dichiarazione rilasciata da Hillary Clinton nel maggio 2009 che Obama: "vuole uno stop definitivo agli insediamenti: non vuole nessun insediamento, avamposto, non ammette eccezioni neppure per la crescita di insediamenti spontanei". Ma questo approccio ha fatto fiasco, permettendo al centro-sinistra di prendere il sopravvento nel settembre 2009.
Il centro-sinistra prevale ancora, come stanno a indicare le due dichiarazioni di ieri di Biden. Prima egli ha offerto da parte dell'amministrazione Usa "l'impegno assoluto, totale e senza riserve a favore della sicurezza di Israele". Poi, egli ha criticato una decisione israeliana di edificare nuove unità abitative a Gerusalemme come una linea d'azione che "mina la fiducia di cui abbiamo bisogno proprio ora."
L'approccio del centro-sinistra è migliore di quello dell'estrema sinistra, ma né l'uno né l'altro hanno alcuna probabilità di successo. Ciò di cui Israele ha bisogno non è venire tartassato per le sue politiche abitative, ma di un alleato americano che l'incoraggi a vincere la sua guerra contro gli irredentisti palestinesi sia di Fatah che di Hamas.
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