Riportiamo una serie di articoli raccolti da Informazione Corretta sui mutamenti delle alleanze in Medio Oriente

[b]Israele stringe rapporti diplomatici con la Grecia
di Angelo Pezzana
Testata: Libero – Data: 21 agosto 2010 – Pagina: 19[/b]

[b]Israele intensifica gli scambi economici con l'Asia
In particolare India e Cina stanno diventando partner commerciali importanti
La redazione del Foglio
Testata: Il Foglio – Data: 21 agosto 2010 – Pagina: 3[/b]

La Turchia intensifica i suoi rapporti con l'Iran
Il regime inaugura il primo reattore nucleare e continua a censurare la stampa. Cronache di Maurizio Molinari, redazione del Sole 24 Ore, redazione del Foglio

[b]Testata:la Stampa – Il Sole 24 Ore – Il Foglio
Maurizio Molinari – la redazione del Sole 24 Ore –
Titolo: «Energia e patto su Hezbollah. Iran e Turchia fanno sul serio»
Dal FOGLIO, a pag. 3, l'articolo dal titolo " Perché Teheran è in allarme per la misteriosa bolla in Borsa "
La redazione del Foglio.[/b]

Ecco i pezzi:

[b]Riportiamo da LIBERO di oggi, 21/08/2010, a pag. 19, l'articolo di Angelo Pezzana dal titolo " La Stella di David si fa amica la Grecia e fa un passo in Europa".[/b]

La visita di Bibi Netanyahu in Grecia all’inizio della settimana, la prima in assoluto da parte di un premier israeliano, è stata importante non solo sul piano diplomatico, e l’accoglienza calorosa del premier greco George Papandreu va al di là delle rituali cortesie di protocollo. Israele e Grecia hanno scoperto, grazie alle difficili relazioni di entrambi con la Turchia, di avere ottime ragioni per stabilire nuovi, più profondi rapporti. Anche se non è entrato nei discorsi ufficiali, il motivo principale che ha portato Bibi ad Atene è stato il riconoscere che, a causa della politica islamista del premier turco Recep Tayyip Erdogan, la relazione con la Turchia era arrivata alla fine. L’episodio della nave Mavi Marmara è stato l’anello finale. Ma se per Israele l’arrivo di Ergogan ha segnato la fine di una collaborazione che durava da decenni, e con mutua soddisfazione, per la Grecianon è cambiato nulla, essendo ancora irrisolta la questione di Cipro. Bibi ha dichiarato che la sua visita ad Atene «ha corretto una anomalia che durava da 62 anni», tanti ne ha Israele, e si è dimostrato molto ottimista sul futuro delle relazioni, citando i campi nei quali da subito partirà la collaborazione.
ECONOMIA E POLITICA
Esercitazioni militari comuni, coordinamento fra i rispettivi servizi di intelligence, scambi e partecipazioni a livello strategico. Lo spazio aereo greco si aprirà alle esercitazioni di lungo corso degli aerei isrealiani, missioni che fino a trent’anni fa avvenivano sulla penisola del Sinai ritornata poi all’Egitto. Si inizierà con il turismo, essendo la Grecia, fra i paesi dell’Unione europea, la meta turistica più vicina e conveniente, che può sostituire la Turchia nelle vacanze degli israeliani. Sono almeno 400.000 quelli che sostituiranno l’Anatolia con le isole greche, non essendo il clima politico turco il più adatto a conciliare sole e sicurezza, come avveniva un tempo. I viaggi low-cost e le strutture alberghiere convenienti e ospitali non sono inferiori a quelle turche. La Grecia, con 12 milioni di abitanti, non è paragonabile ai 63 della Turchia, ma ha il vantaggio di essere da lungo tempo nell’Unione Europea, uno status che può tornare utile allo Stato ebraico che con Bruxelles ha dei rapporti spesso difficili.
I CONTRARI
Un nuovo amico, malgrado le tempeste economiche che l’hanno investito, e che ne hanno messo in discussione la credibilità, è comunque una acquisizione positiva. Certo, non tutti ad Atene hanno applaudito il benvenuto a Israele, la Grecia ha una lunga tradizione filo araba e palestinese, rappresentata da una sinistra particolarmente aggressiva, oggi presente soprattutto nei due partiti comunisti, che hanno fatto di tutto per manifestare la loro ostilità. Ma, rispetto alla Turchia, che sembra quasi rimpiangere l’impero ottomano, quando governava Baghdad, Damasco, Beirut, Gerualemme, il Cairo, sembra non avere aspirazioni egemoniche nella regione. In più, con Israele, i rapporti sono stretti anche per fattori religiosi, essendo la Chiesa greco-ortodossa uno dei maggiori proprietari di terreni, soprattutto a Gerusalemme, con conventi e monasteri, fin da prima che rinascesse lo Stato ebraico. Il che si traduce in un turismo religioso, secondo solo a quello cattolico. Sia Netanyahu che Papandreu hanno escluso che la nuova alleanza possa avere delle conseguenze nei rapporti con la Turchia, masono in pochi a crederci. Il prossimo incontro avverrà a Gerusalemme, con la visita del Ministro della difesa greco Evangelos Venizelos, un’altra notizia che non rallegrerà Erdogan.

[b]Angelo Pezzana[/b]

[b]Un articolo interessante sull'andamento dell'economia israeliana.
«C’è una svolta asiatica dietro la ripresa economica di Israele»
Peccato per lo scivolone sulla capitale che, secondo l'autore del pezzo, sarebbe Tel Aviv e non Gerusalemme.
Ecco l'articolo:[/b]

Roma. Stanley Fischer, il governatore della Banca centrale di Israele che ha avuto per allievo Ben Bernanke, attuale omologo alla Fed americana, ha colto di sorpresa gli economisti ritoccando al rialzo il tasso di sconto lo scorso 26 luglio. Una scelta che ha trovato una spiegazione questa settimana, dopo la pubblicazione degli ultimi dati, altrettanto sorprendenti, della crescita dell’economia di Tel Aviv: tra aprile e giugno il pil dello stato ebraico è cresciuto del 4,7 per cento, un punto in più delle previsioni, grazie al boom dell’immobiliare, dei consumi interni e, ancor di più, dell’export. Dato il precedente, sono in pochi ad azzardare una previsione su quel che alla riunione della Banca centrale di lunedì prossimo dirà Fischer, confermato di recente dal premier Benjamin Netanyahu. Vista la congiuntura negativa dei clienti tradizionali di Israele, Stati Uniti e Unione europea, è facile prevedere che l’economia del paese sia destinata a frenare, così come lo shekel, protagonista di un rialzo sul dollaro che non è certo visto di buon occhio in un paese che, per il 40 per cento del prodotto interno lordo, dipende dall’export. Ma anche stavolta, le carte sul tavolo potrebbero consigliare a Fischer, preoccupato dal boom del mattone – i prezzi sono saliti più del venti per cento in un anno – una scelta a sorpresa. La realtà è che, a guardar dentro i dati delle esportazioni cresciute quasi del 16 per cento nella prima metà dell’anno, si scopre che l’orizzonte di Tel Aviv, almeno dal punto di vista degli scambi commerciali, si è spostato di 180 gradi, da ovest verso est. Certo, gli Stati Uniti restano di gran lunga il primo partner, con un giro d’affari di 5,7 miliardi di dollari. Ma al secondo posto, a sorpresa, spunta l’India: gli scambi con Tel Aviv, tecnologia militare in testa, sono raddoppiati fino ad un miliardo di dollari. Intanto la Cina, nonostante il veto di Washington sulla cessione di armi sviluppate da Stati Uniti e Israele, balza dall’undicesimo al quinto posto tra i clienti di Tel Aviv, con un incremento del 115 per cento a 755 milioni di dollari. Una tendenza che promette, secondo Yitzhak Lubelski dell’Università di Tel Aviv, di accelerare nei prossimi anni, vista la qualità dell’offerta di Israele in materia di prodotti e di tecnologia applicata all’agricoltura, alla qualità del settore difesa e, soprattutto, dell’alta tecnologia sviluppata nei laboratori del Negev. E’ la nuova frontiera dell’est che ha consentito a Israele di ridurre la disoccupazione di un punto, al 6 per cento, senza per questo frenare la mini stretta creditizia voluta da Fischer per tenere sotto controllo l’inflazione, e senza dover rallentare gli investimenti nei settori chiave, a partire dalla ricerca. A questo proposito ha appena preso il via il progetto di creare 30 centri di eccellenza scientifica in grado di attrarre una parte dei 4.500 cervelli emigrati nelle università americane, offrendo loro (oltre alla possibilità di lavorare a distanza con i cugini americani), borse di studio quinquennali che arrivano fino a 400 mila euro. Ma l’ultima, clamorosa sfida si gioca nelle acque territoriali, poco al di sotto dei confini con il Libano. Qui, rivelava ieri l’International Herald Tribune, sono stati individuati giacimenti sottomarini di gas per 120 miliardi di metri cubi, potenzialmente sufficienti per fare di Israele, nel giro di pochi anni, un paese esportatore di energia. Certo, le difficoltà non mancano: dallo stato di conflitto latente con il Libano e gli altri paesi vicini, alle lobby interne legate allo sfruttamento del carbone, oggi la prima (e assai inquinante) fonte di energia interna. Ma la strada sembra segnata: di qui al 2015 Israele potrebbe essere un paese esportatore di energia assai più legato, sul piano economico, all’oriente asiatico che non all’Europa.

[b] La redazione del Foglio[/b]

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 21/08/2010, a pag. 6, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo "Energia e patto su Hezbollah. Iran e Turchia fanno sul serio". Dal SOLE 24 ORE, a pag. 9, l'articolo dal titolo " E l'Iran avvia la sua centrale nucleare ". Dal FOGLIO, a pag. 3, l'articolo dal titolo " Perché Teheran è in allarme per la misteriosa bolla in Borsa ".

[b]La STAMPA – Maurizio Molinari : " Energia e patto su Hezbollah. Iran e Turchia fanno sul serio "[/b]

La teorizzazione del patto strategico fra Ankara e Teheran è contenuta in un voluminoso rapporto redatto dal Ministero degli Esteri iraniano lo scorso 11 luglio, su esplicita richiesta del presidente Mahmoud Ahmadinejad. Manouchehr Mottaki, titolare del dicastero, identifica nove aree di possibile convergenza con la Turchia, suggerendo altrettante linee di azione, che Ahmadinejad ha fatto proprie chiedendo ai ministri competenti di fargli avere dei memorandum per concretizzarle in tempi brevi.
Al centro del rapporto di Mottaki c’è il progetto di dare vita a un blocco energetico turco-iraniano con la creazione di un «corridoio» destinato a sfruttare il territorio di Ankara per esportare gas naturale e petrolio iraniano su una rotta alternativa a quella attuale, che passa per il Golfo Persico e lo Stretto di Hormuz. In tale quadro verranno realizzate anche raffinerie in grado di emancipare l’Iran dalle importazioni di benzina e il porto di Trabzon sul Mar Nero viene identificato come un’alternativa all’Emirato di Dubai per essere il centro nevralgico dell’import-export, con la conseguente possibilità di sfruttarlo per ottenere materiali proibiti dalle sanzioni votate dalle Nazioni Unite. Da qui il suggerimento di Mottaki ad Ahmadinejad di aumentare la cooperazione con la Turchia al Palazzo di Vetro, tanto per aggirare le sanzioni quanto per ostacolare l’approvazione di nuove misure contro il programma nucleare.
Il rapporto afferma che la creazione del «corridoio energetico» e la «maggiore cooperazione all’Onu» consentiranno di far entrare la Turchia a pieno titolo nella partnership privilegiata fra Teheran e Damasco, destinata a essere allargata al Libano e, a seguito del ritiro americano, anche all’Iraq. Ciò che ne esce è una nuova mappa del Medio Oriente, con l’Iran perno di un’alleanza regionale capace di opporsi con successo a quella avversaria, costituita da Egitto, Israele e Arabia Saudita, sostenuta dagli Stati Uniti. Da qui il suggerimento di Mottaki per l’intensificazione dei rapporti militari e di intelligence con Ankara, anche al fine di far arrivare maggiori aiuti, in armamenti come in danaro, agli Hezbollah libanesi e ai palestinesi di Hamas.
Gli ultimi due punti del rapporto Mottaki guardano ancora più lontano, identificando nell’intesa turco-iraniana la possibilità di avere più voce in capitolo nelle istituzioni religiose del mondo musulmano rispetto alle capitali arabe e anche di poter mobilitare risorse a favore di gruppi islamici «oppressi» in più regioni, come gli uiguri in Cina. Ahmadinejad aspetta ora da Mottaki un secondo rapporto, sui benefici e le opportunità che Teheran potrà offrire ad Ankara in cambio della nuova partnership. Una volta esaminato anche questo testo, sarà proprio il Presidente iraniano a decidere come e quando recapitare al governo di Recep Tayyp Erdogan l’offerta di un patto strategico che punta a ridisegnare gli equilibri regionali, mettendo la Repubblica Islamica nella condizione di rompere l’isolamento internazionale.

[b]Maurizio Molinari [/b]

[b] " E l'Iran avvia la sua centrale nucleare "
Il SOLE 24 ORE -[/b]

Oggi a Busher, città portuale del Golfo Persico, l'Iran inaugura la prima centrale nucleare a scopi civili, grazie all'uranio arricchito fornito dai russi. Ma il regime di Teheran, come ha fatto sapere ieri il capo del programma nucleare Ali Akbar Salehi, non rinuncia ad andare oltre e continuerà ad arricchire uranio localmente. Teheran, infatti, ha detto Salehi, non sarà per sempre in grado di acquistare il combustibile necessario da Mosca.
Le mire nucleari dell'Iran,colpito dalle sanzioni internazional, sono una delle principali ragioni di tensione in Medio Oriente e da settimane circolano indiscrezioni su possibili iniziative militari di Israele contro i siti iraniani. A stemperare la tensione è intervenuta però l'amministrazione americana, stando a quanto riportava ieri il New York Times.
Secondo il quotidiano, l'amministrazione Obama è riuscita a convincere le autorità israeliane che a Teheran servirà almeno un altro anno, e forse ancora più tempo, per completare il suo programma militare atomico. I funzionari della Casa Bianca avrebbero dimostrato, prove alla mano, al governo israeliano che l'Iran sta incontrando molti problemi tecnici nello sviluppo del suo progetto di costruzione della bomba.
In questo modo gli Stati Uniti ritengono di aver allontanato la possibilità che Israele attacchi in modo preventivo l'Iran nei prossimi mesi.
Le assicurazioni americane emergono da recenti rapporti dell'intelligence. Non è ancora chiara la causa dei problemi che Teheran sta incontrando nell'arricchire il suo uranio. Non si sa infatti, scrive il Nyt, se l'Iran abbia una centrifuga progettata male, se non riesca a trovare i componenti necessari o se stiano avendo successo gli sforzi occidentali di sabotare l'intero programma nucleare.

[b] " Perché Teheran è in allarme per la misteriosa bolla in Borsa "
Il FOGLIO [/b]

Roma. La morsa della censura iraniana questa volta ha colpito un importante quotidiano economico del paese, Asia. Secondo quanto affermato dal ministro della Cultura, Mohammad Ali Ramin, il giornale è stato chiuso due giorni fa perché pubblicava “immagini contrarie al pubblico pudore, promuoveva il consumismo e comportamenti stravaganti”. Ma il motivo del provvedimento probabilmente va ricercato altrove; il quotidiano, infatti, era fortemente critico verso la politica economica del governo. Come ha spiegato in un’intervista a Radio Free Europe Ahmad Alavi, professore iraniano dell’Università di Stoccolma, la linea editoriale del giornale non solo poneva in risalto le inefficienze del sistema economico iraniano, ma forniva utili indicazioni agli investitori privati circa la reale situazione del paese e gli effettivi rischi di investimento. Il caso di censura sarebbe passato forse inosservato – d’altronde non è il primo nel paese, in particolare all’indomani delle proteste per le elezioni del giugno 2009 – se non fosse che la decisione di chiudere Asia è giunta in concomitanza con un’inchiesta parlamentare sul principale indice della Borsa di Teheran, il Teheran Stock Exchange (Tse). Dall’inizio dell’anno persiano, nel marzo scorso, avrebbe guadagnato circa 3.000 punti. A giudicare da questo balzo record, la finanza iraniana sembra godere di ottima salute, al punto da attrarre numerosi investitori. Un quadro che però, secondo gli analisti, urta con la pesante stagnazione dell’economia reale, fiaccata da elevati tassi di disoccupazione e d’inflazione. L’exploit della piazza d’affari di Teheran, inoltre, appare improbabile alla luce del contesto politico iraniano. La stabilità del regime e dell’attuale governo è stata incrinata dall’ultima tornata elettorale che, pur portando alla riconferma di Ahmadinejad come presidente, ha provocato una frattura nella società iraniana. Infine, anche la posizione internazionale del paese, in particolare in relazione alla questione del nucleare, apparirebbe orientata a un sempre maggiore isolamento, come confermano le nuove sanzioni decise dall’Unione europea il 26 luglio scorso. A maggior ragione, dunque, la vivacità della Borsa della capitale è parsa un’anomalia ai commentatori economici. Alcuni hanno giustificato il rialzo dei listini nell’ultimo semestre legandolo alle inattese performance di importanti imprese e banche del paese – Saipa (automobili), Foolad Mobarake (acciaio), Parsian Bank, Mokhaberat (telefonia) – che avrebbero comportato una crescita del prezzo delle singole azioni. Una spiegazione insufficiente, che non ha convinto nemmeno il Parlamento, l’Assemblea consultiva islamica, che ha così avviato delle indagini sulla piazza finanziaria. Per ora gli ispettori si concentreranno sulla condotta di 150 supervisori impiegati presso il Teheran Stock Exchange. Questa crescita anomala e controcorrente, a detta di altri, potrebbe infatti essere spiegata soltanto attraverso il ruolo giocato dal governo, che avrebbe artificialmente rialzato il valore delle azioni di molte imprese statali quotate in Borsa. Una strategia utile per incrementare la popolarità dell’esecutivo, che recentemente ha distribuito direttamente alla popolazione il 20 per cento delle azioni di alcune società appena privatizzate. Dividendi in cambio di consenso, in altre parole. Se tale linea interpretativa fosse corretta, appare evidente il motivo della chiusura del giornale economico Asia; esso avrebbe potuto indagare sull’inaspettata bolla della Borsa di Teheran e informare, meglio di qualsiasi organo governativo, circa la reale condizione del paese, infliggendo un ulteriore colpo alla stabilità e alla credibilità dell’attuale leadership.

 

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