[b]Stefano Magni
L'Opinione 10 febbraio 2010[/b]

L’Onda Verde contro il regime di Teheran non si arresta e lambisce anche altre città in tutto il mondo. [b]“Piazze verdi per la libertà in Iran” [/b]è l’iniziativa di un gruppo di studenti iraniani a [b]Milano[/b]: il prossimo [b]14 febbraio, alle 14,30[/b], si troveranno in [b]Piazza Castello [/b]per formare una catena umana, per solidarizzare con i manifestanti in Iran.

Domani si celebra l’anniversario della Rivoluzione Islamica. Come nei mesi scorsi, ogni volta che il regime organizza le sue manifestazioni ufficiali, gli oppositori scenderanno in piazza per esprimere apertamente il loro dissenso. “Noi siamo qui per difendere il movimento verde all’interno dell’Iran e soprattutto per difendere la gente che scenderà in piazza il prossimo 11 febbraio”, spiega Mahmoud, dell’associazione “In Piazza, Studenti Iraniani di Milano”. “La nostra richiesta principale è la liberazione di tutti i prigionieri politici in Iran. Nove persone sono state condannate a morte, noi vogliamo proteggere le loro vite e abolire la pena capitale”. Un altro obiettivo fondamentale è l’abolizione dell’apartheid sessuale: “Stiamo parlando di un regime fondato sull’apartheid: le donne sono sottoposte a una completa discriminazione” – aggiunge Parisa, una delle fondatrici dell’associazione – “Eppure, più del 60% della popolazione universitaria è femminile”. Contrariamente all’apartheid sudafricano negli anni ‘80, pochi si interessano delle discriminazioni in Iran. “Come sappiamo, in Italia parlare di questioni internazionali è sempre molto difficile” – constata Guido Zichichi, esponente italiano dell’associazione – “I giornali parlano dell’Iran come di un Paese bellicoso che vuole dotarsi dell’arma atomica. Questa immagine favorisce il regime. Non è un caso che Ahmadinejad abbia annunciato la ripresa del programma di arricchimento dell’uranio due giorni prima delle grandi manifestazioni dell’11 febbraio. Vuole sviare l’attenzione dei media internazionali dal suo vero problema”. Le sanzioni o un bombardamento rischiano di colpire colpevoli e innocenti, in un Paese in cui “il regime è sanguinario, ma il popolo è pacifico”. “Non c’è un sostegno popolare unanime neppure sull’uso del nucleare civile” – spiega Mehdi, portavoce dell’Associazione – “gli iraniani hanno già pagato un prezzo altissimo in termini di devastazione ambientale. Non siamo un Paese tecnologicamente avanzato e non sappiamo quanto possano essere sicure le prossime centrali nucleari”.

[b]Stefano Magni
L'Opinione 10 febbraio 2010[/b]

 

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