Iran, i sette miti dell'appeasement
[b]Stefano Magni
L'Opinione 5 febbraio 2010 | 15.19[/b]
Una patina di fatalismo, mascherato da “realismo†avvolge sempre le analisi sulla questione iraniana. Ormai si dà quasi per scontato che il regime di Teheran si doterà di armi nucleari e che, semmai, dobbiamo prepararci a coesistere con la nuova potenza atomica. Per fortuna c’è un quotidiano prestigioso, quale il Wall Street Journal, che osa sfidare questa tendenza.
Nel suo editoriale di ieri, il giornalista Bret Stephens smonta i sette miti sull’Iran che inducono a passività e appeasement. Primo: un attacco preventivo contro le installazioni nucleari iraniane non produrrebbe altro che un rallentamento del programma di Ahmadinejad. E’ un argomento sostenuto dal segretario alla Difesa statunitense Robert Gates, fra gli altri. E’ vero che un attacco risolutivo sarebbe quasi impossibile (gran parte dei siti iraniani è irraggiungibile, ancora sconosciuta e sparsa in tutto il Paese), ma il rallentamento di un programma pericoloso è già una vittoria. Il bombardamento del reattore iracheno di Osirak nel 1981, rallentò e non pose termine ai progetti di Saddam Hussein, ma in questo modo fu un Iraq non nucleare a invadere il Kuwait nel 1990 e a perdere la guerra contro la Coalizione nel 1991. Secondo: un attacco preventivo spingerebbe il popolo iraniano a stringersi attorno al proprio regime. Non è affatto detto. Soprattutto considerando che il governo di Teheran è ormai altamente impopolare, non è affatto scontato che il popolo lo segua anche dopo una sconfitta. Terzo: le sanzioni possono solo danneggiare il popolo, ma non il regime. Questo discorso funzionerebbe solo con un Paese che non dipende dal commercio con l’estero. Il regime iraniano, al contrario, ha bisogno delle raffinerie occidentali per produrre gasolio. Tanto per fare un esempio. Quarto: il mondo può coesistere con un Iran nucleare, così come coesistette con l’Urss per mezzo secolo. Il problema di questo argomento è che, nel caso l’Iran dovesse dotarsi dell’atomica, anche Arabia Saudita, Egitto e Turchia, sentendosi minacciati, cercherebbero di creare i propri arsenali. Già è difficile mantenere un “equilibrio del terrore†fra due superpotenze, figuriamoci fra quattro o cinque (se contiamo anche Israele) ciascuna con interessi opposti a quelle delle altre. Quinto: il regime iraniano è destinato a finire, quindi meglio limitarsi ad attendere che si compia l’inevitabile. Sì, ma quanti danni può creare nel frattempo? Sesto: se si appoggiano le opposizioni interne all’Iran le si danneggia, esponendole ad accuse di collaborazionismo con l’Occidente. Però c’è da dire che l’opposizione all’apartheid in Sud Africa e movimenti come Solidarnosc trassero la loro linfa vitale proprio dalla legittimazione internazionale. Settimo: Israele potrà comprare energia nucleare dall’Iran. “Maggiore sarà il numero dei politici che smetteranno di credere ai 6 miti precedenti†– ironizza Stephens – “meno mitico sarà il settimoâ€.
[b]Stefano Magni
L'Opinione 5 febbraio 2010 | 15.19[/b]
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