Golan, parte integrante di Israele. – Gaza, qualcosa cambia ?
[b]03.02.2010
Analisi di Michael Sfaradi, Stefano Magni
Testata:Informazione Corretta – L'Opinione
Autore:
Titolo: Michael Sfaradi – Perché Israele non può scendere dal Golan
Stefano Magni – I palestinesi di Gaza vogliono la pace, non Hamas[/b]
Riportiamo dall'OPINIONE di oggi, 03/02/2010, l'articolo di Stefano Magni dal titolo " I palestinesi di Gaza vogliono la pace, non Hamas ". Pubblichiamo l'articolo di Michael Sfaradi dal titolo " Perché Israele non può scendere dal Golan ". Ecco i pezzi:
[b]INFORMAZIONE CORRETTA [/b]
[b]INFORMAZIONE CORRETTA – Michael Sfaradi : " Perché Israele non può scendere dal Golan "
Michael Sfarad[/b]i
La restituzione delle alture del Golan è uno dei nervi scoperti che caratterizzano, ormai da decenni, guerre e artriti mediorientali e va spiegato, anche seguendo l´opinione diffusa sia fra gli esperti militari che fra quelli politici, perché una mossa di questo tipo difficilmente garantirebbe la pace.
Chi conosce le dinamiche politico militari della regione sa che per Israele è impossibile muoversi dall´unico punto a nord geograficamente difendibile, punto oltre il quale, da Nord verso Sud, si apre la Galilea, zona pianeggiante che in caso di attacco, cosa che in Medio Oriente è sempre necessario prendere in seria considerazione, diventerebbe una via in discesa verso Haifa e verso le altre città della costa fino a Tel Aviv.
Un Primo Ministro che prendesse la decisione di ritirasi da questa zona metterebbe a serio rischio la sopravvivenza stessa della nazione ed è proprio per rendere più difficile se non impossibile la riapertura di discussioni su questo punto che Menahem Begin ne fece votare l´annessione.
Le motivazioni che furono alla base di questa decisione sono da ricercare, principalmente, nella storia passata.
Fin dal 1945, subito dopo aver ottenuto l´indipendenza dalla Francia, fino al giugno 1967 (guerra dei sei giorni), le forze armate siriane, padrone del territorio, sfruttando il vantaggio geografico delle alture nei confronti della sottostante Galilea, hanno costantemente bersagliato con tiri di artiglieria le comunità agricole (i Kibbutz), i villaggi e le piccole città di frontiera.
Questi ventidue anni furono scanditi da continui scontri di frontiera fra le forze siriane e quelle israeliane, in uno stillicidio che costò la vita a migliaia di persone fra civili e militari.
Da quando le alture del Golan passarono in mano israeliana, dopo la loro sanguinosa conquista della guerra dei sei giorni, il nuovo status ha garantito, fatta eccezione per la guerra del Kippur del 1973, un costante il cessate il fuoco fino al presente.
Ci sono poi anche altri motivi, legatiti alla sicurezza ad ampio raggio, che ne impediscono la restituzione. Nella zona del Golan esistono istallazioni militari di massima segretezza, molte delle quali essenziali nella raccolta di informazioni di intelligence.
I servizi segreti non possono rinunciare a queste installazioni perché non esiste in tutta Israele un'altra zona che offra le stesse caratteristiche che hanno le alture del Golan, posizionate a poche centinaia di metri dal confine con la Siria e a pochi chilometri da quello con la Giordania.
Prima di prendere in considerazione la rinuncia a un baluardo di difesa come quello rappresentato dal Golan, crediamo che dovranno cambiare diversi assetti politici nella regione, cambiamenti che renderebbero, di fatto, inutili quelle caratteristiche che oggi sono di vitale importanza.
[b]L'OPINIONE – Stefano Magni : " I palestinesi di Gaza vogliono la pace, non Hamas"
Stefano Magni[/b]
Medio Oriente, la pace è possibile. Ma con questo non vogliamo unirci al coro dei pacifisti occidentali, quando recitano lo slogan: “un altro Israele è possibile†o “un’altra America è possibileâ€, dando per scontato che tutta la responsabilità della guerra ricade sui “falchi†israeliani e americani. Un realista dovrebbe vedere che “un’altra Palestina è possibileâ€. Una maggioranza priva di voce vuole la pace con lo Stato ebraico e non si sente affatto rappresentata da Hamas. Lo rivela un sondaggio effettuato a Gaza dal Centro Palestinese per l’Opinione Pubblica (Pcpo), un gruppo di studio indipendente, fondato nel 1994 e diretto da Nabil Kukali un professore palestinese dell’Università di Hebron. Non una fonte israeliana, dunque, ma palestinese, afferma che il 67% degli abitanti della Striscia di Gaza sia favorevole a un accordo di pace con Israele. Fra questi, il 52,8% ritiene che una vicinanza pacifica con lo Stato ebraico sia un obiettivo raggiungibile nell’arco di una generazione. Il 71,2% dei cittadini di Gaza giudica negativamente la divisione della Palestina e il 57,7% si oppone alla decisione di Hamas di boicottare le elezioni presidenziali.
Quel che fa ben sperare, è che il partito islamico al potere a Gaza, che predica la distruzione di Israele, ha uno scarso seguito nella popolazione che dovrebbe rappresentare. A quattro anni dalla vittoria elettorale di Hamas e a tre dalla sua presa del potere a Gaza, il suo operato economico è stato bocciato dal 51,2% dei cittadini, il suo mancato rispetto dei diritti umani preoccupa il 78,8% degli intervistati. Se Israele ed Egitto aprissero le frontiere, il 40,2% dei palestinesi di Gaza emigrerebbe subito. Un solo provvedimento di Hamas (il divieto a uomini e donne di andare insieme in motocicletta) è approvato dal 67% dei cittadini. Il che rivela quanto il tradizionalismo islamico sia ancora diffuso.
Quanto alle priorità politiche, i palestinesi del Sud giudicano più importante la riunificazione della loro città con la Cisgiordania (48,2%) rispetto alla ricostruzione dopo la guerra con Israele (21,2%) e dell’apertura delle frontiere (29%). Anche questa è una sonora bocciatura della propaganda di Hamas e dei suoi volontari e involontari sostenitori occidentali. Se tutto ciò non è abbastanza chiaro, aggiungiamo un altro dato: il 52,1% della popolazione di Gaza ritiene Hamas il principale responsabile del peggioramento delle condizioni di vita. Se fossero liberi di votare, i palestinesi di Gaza sceglierebbero Mahmoud Abbas, presidente dell’Anp col 27% delle preferenze. Ismail Hanieh, capo del governo di Hamas prenderebbe solo il 9,8%. Khaled Meshaal, leader del partito islamista in esilio a Damasco, avrebbe il 2%.
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