Due ore intense per dar voce, al Centro Bibliografico dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane al primo volume dei Quaderni di prigionia del celebre filosofo [b]Emmanuel Lèvinas[/b]. A parlarne è Danielle Cohen-Levinas, nuora del filosofo e anche lei filosofa – assieme alla professoressa Donatella Di Cesare, al rav Roberto Della Rocca e al professore Edoardo Ferrario. L'incontro fa parte delle attività del Dipartimento Educazione e cultura e del corso di laurea in Studi ebraici dell'Ucei, in collaborazione con l'Università La Sapienza, ed è stato presentato dal rav Riccardo Di Segni, e dal professor Enzo Campelli, responsabili del Collegio rabbinico e del Corso di laurea.

L'opera presentata è un testo fino ad oggi rimasto inedito, ora uscito in Francia che include, oltre a numerosi appunti, i taccuini che Levinas scrive durante i cinque anni – dal 1940 al 1945 – passati nello Stalag tedesco come prigioniero francese. L'esperienza di prigionia, ben diversa da quella della deportazione, segna profondamente il pensiero di Levinas. Ecco le risposte alle domande rivolte ad alcuni dei partecipanti.
Signora Cohen-Levinas, qual è il punto decisivo di questi Carnets?
L'aspetto decisivo riguarda la presa di coscienza di cosa significhi, dentro questa sua condizione di prigioniero, l'identità ebraica, la necessità esistenziale di reintrodurre, nella quotidianità, la regolarità della preghiera, il rapporto con una trascendenza che è il solo ricorso e la sola consolazione possibile in un mondo caratterizzato dall'odio e dalla persecuzione.
Professoressa Di Cesare in quale senso i Carnets costituiscono una chiave di volta nella filosofia di Levinas?
Come ha già detto Danielle, gli anni di prigionia sono per Levinas un ripensamento dell'identità ebraica: il prigioniero ebreo ritrova infatti qui la sua identità e nell’umiliazione riscopre il valore dell’elezione (parole dei Levinas). In una trasmissione radiofonica del 1945, Levinas afferma proprio che “la miseria del prigioniero fu sopportabile perché poté diventare una presa di coscienza dell’ebraismo germe possibile di una futura vita ebraica". E dice ancora: "Cos’è in fin dei conti l’ebraismo se non l’esperienza, dopo Isaia, dopo Giobbe, di questa possibile inversione – prima della speranza, al fondo della disperazione – del dolore in felicità; la scoperta nella sofferenza stessa dei segni dell’elezione?" D'ora in poi diventerà centrale per Levinas la domanda su quale sia il compito dell’ebraismo e che cosa si debba dire sull’identità ebraica, filo conduttore della sua vita e dei suoi pensieri negli anni di prigionia.
Secondo Levinas, cosa ha significato per il popolo ebraico questa progionia,?
Levinas scrive: “Nel dramma che ha vissuto l’ebraismo europeo, i prigionieri di guerra ebrei non hanno avuto un ruolo primario. Non hanno vissuto nei campi della morte. Miracolosamente protetti dall’uniforme, nella gran parte hanno fatto ritorno dalla Germania. Hanno di certo conosciuto l’esistenza di tutti i prigionieri – il lavoro ingrato, il lavoro madido di schiavitù, la monotonia dei giorni, dei mesi, degli anni interminabili, e la fame, il freddo, ma è stata la sorte di tutto il mondo. E questa partecipazione al destino generale ha quasi apportato un inizio di consolazione. Riconoscere nella propria pena la pena di tutti gli altri, è stato per gli ebrei per gli ebrei di quegli anni di esclusione razziale, come un ricongiungersi a un ordine universale, ritrovare la dignità dell’essere umano”.
Professor Ferrario, sono state dette e citate parole di una notevole intensità. Quale messaggio Le piacerebbe lasciare?
È stato un incontro molto appassionante, tante persone attente, preparate, partecipi… Le devo anche confessare che ero molto emozionato, imbarazzato perfino. Anche se faccio lezione da un’infinità di anni, anche se non so più quante lezioni e quanti corsi, e conferenze e relazioni ho dedicato all’opera di Levinas, anche se mi succede sempre così quando entro in un’aula e mi trovo faccia a faccia con delle persone, non importa che siano studenti del primo anno o studiosi noti e affermati, anche se quando mi trovo davanti a un testo più che commentarlo, interrogarne il senso, mi sento interrogato, messo in questione, da lui, come mi capitava a scuola, bene, questa sera, ero più disarmato che mai. Una delle frasi dei Carnet de captivité di Levinas che ho deciso di leggervi mi spiegava perché: «Le sens c'est le fait même que l’être est orienté – qu’il y a Action ou Vie», il senso è il fatto stesso che l’essere è orientato – che c’è Azione o Vita. È per questo che ho deciso di leggerla.

[b]Ilana Bahbout[/b]

 

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