[b]C'è da risolvere un giallo prima del summit sul nucleare iraniano
di Emanuele Schibotto
13 Gennaio 2010
L'Occidentale[/b]

[b]La nuova strategia: ora l’obiettivo è colpire le élite. Funzionerà?
di Fiamma Nirenstein
13 gennaio 2010
Il Giornale[/b]

Massud Ali-Mohammadi, un fisico nucleare, professore all’Università di Teheran, è rimasto ucciso da una bomba piazzata sotto una motocicletta fuori dalla sua abitazione, nella capitale iraniana. Il governo ha subito accusato dell’attacco un gruppo armato rivoluzionario anti-governativo che avrebbe agito sotto la direzione di Israele e degli Stati Uniti. L’agenzia d’informazione filo-governativa IRIB ha riportato le parole di un portavoce del Ministero degli Esteri iraniano: “Nella fase iniziale delle investigazioni appaiono chiari i segnali di un coinvolgimento nell’atto terroristico da parte del regime sionista, dell’America e dei loro agenti segreti”.
Alle accuse del governo iraniano, Israele ha risposto con un “no comment”, mentre gli Stati Uniti negano ogni coinvolgimento nell’attentato.

Un portavoce del Dipartimento di Stato, Mark Toner, ha definito le accuse “assurde”. L’assassinio del professor Mohammadi arriva pochi giorni prima della riunione indetta dal gruppo del "5+1" (Cina, Francia, Germania, Gran Bretagna, USA), in programma a New York nel fine settimana, per discutere del dossier nucleare iraniano. Gli Stati Uniti vorrebbero imporre nuove e più stringenti sanzioni al regime, mentre Cina e Russia, principali partner commerciali dell’Iran, non appaiono disposti a sostenere gli americani. Il rappresentante cinese presso le Nazioni Unite ha recentemente dichiarato che non è il momento delle sanzioni poiché la diplomazia è ancora al lavoro.
I Paesi occidentali, americani ed inglesi in modo particolare, criticano il comportamento di Teheran, ritenuto estremamente ambiguo. Se da un lato l’Iran mostra uno spirito propositivo, dall’altro pratica una cooperazione dissimulata; ad esempio dapprima accettando per poi rigettarla la proposta del gruppo dei 5+1 di inviare oltreconfine l’uranio già arricchito in Francia e Russia. Negli ultimi giorni, Teheran ha fatto sapere di essere pronta a sospendere per un paio di mesi l'arricchimento dell'uranio per "venire incontro alla richieste degli occidentali".
Secondo alcuni analisti, l’uccisione di Mohammadi potrebbe rientrare nella strategia di Teheran finalizzata al proseguimento del programma nucleare. Sempre secondo il portavoce del Ministero degli Esteri di Teheran “atti terroristici di questo tipo e l’eliminazione di scienziati nucleari iraniani non fermeranno certamente i progressi tecnici e scientifici”. Baqer Moin, un analista iraniano, intervistato da Al Jazeera, ha spiegato che “il governo iraniano sta ricercando persone interessate nel ritardare il programma nucleare iraniano”. A far pensare all’ipotesi della longa manus governativa nell’attentato c'è il fatto che il professor Mohammadi, durante la campagna elettorale, si era nettamente schierato a favore di Mousavi, benché la tv di Stato lo abbia definito “un fervente sostenitore” della rivoluzione del 1979.

[i]Emanuele Schibotto[/i]

http://www.loccidentale.it/[/link]

[b]La nuova strategia: ora l’obiettivo è colpire le élite. Funzionerà?
Il Giornale, 13 gennaio 2010[/b]

Il polverone sollevato in queste ore in Iran sull’assassinio dello scienziato nucleare Massoud Ali Mohammadi è fatto di informazioni e disinformazioni che si elidono: era un grande sostenitore del regime; no, era un fiero alleato di Mir Hossein Moussavi, anzi aveva firmato una lettera in suo sostegno; era stato visto per strada inseguire gli studenti che partecipavano alle manifestazioni; no, era un tipo completamente apolitico. È stato il Mossad, sono stati gli americani; no, è un assassinio interno al regime… E così via.

Tutte queste diverse informazioni diffuse da agenzie di stampa, da vecchi amici dell’ucciso, dal rettore dell’università, dal governo iraniano stesso, hanno tutte quante la stessa origine, e tutte tendono verso un solo punto: il caos. Perché, comunque sia andata la vicenda, resta chiara una cosa sola: Mohammadi non insegnava storia dell’arte, insegnava fisica nucleare. Non sappiamo se questo gli assegnasse un ruolo nei lavori in corso per costruire la potenza nucleare iraniana, ma possiamo pensare che un avvertimento ai dissidenti da parte del governo avrebbe potuto essere dato semmai colpendo qualche personaggio in vista nella rivoluzione in atto contro il regime di Ahmadinejad e degli Ayatollah. E che, per converso, se a colpire fosse stata un’organizzazione di opposizione interna, come dice l’agenzia televisiva iraniana Press Tv che accusa un gruppo monarchico, la Royal Association, allora avrebbe mirato a qualche personaggio famoso.

Qui, comunque, abbiamo un fisico nucleare, tranquillo, normale, adatto quindi a un’attività segreta, in un Paese che ne ha visto svariati svanire all’orizzonte: due sono espatriati in America, Shahram Amid si volatilizzò durante un pellegrinaggio alla Mecca, un certo Ardebili arrestato in Georgia riuscì poi a sparire, e nel gennaio del 2007 un professore di fisica nucleare di Shiraz, Ardeshir Hassanpur, morì in casa a causa di una fuga di gas per motivi poco chiari. Dunque, anche se non sappiamo che ruolo abbia avuto o avrebbe potuto avere Mohammadi, sappiamo che era parte di una categoria al centro della vicenda iraniana di questi tempi, e in un momento in cui la minaccia del nucleare è diventata particolarmente pressante.

Sei nazioni stanno in questi giorni pianificando di incontrarsi il prossimo fine settimana per prendere una posizione dura di fronte a una sfida sempre più arrogante, mentre gli ultimi studi parlano di almeno 4000 centrifughe che a tutto ritmo producono uranio arricchito. L’incontro, che probabilmente si svolgerà a New York, ascolterà da Hillary Clinton le conclusioni raggiunte dagli Usa dopo un periodo in cui, con l’Aiea e l’Onu, ha proposto favorevoli soluzioni per spingere l’Iran a cambiare politica: per esempio, quella dell’arricchimento dell’uranio all’estero. Ogni offerta è stata respinta con disprezzo da Ahmadinejad. Ora, la decisione è quella di stabilire sanzioni che colpiscano le élite iraniane risparmiando la popolazione. Un impegno dovuto, anche perché Obama aveva già promesso le sanzioni per la fine del 2009. Ma funzionerà? Difficile crederlo.

L’ammiraglio Mike Mullen, presidente dei Capi di Stato Maggiore dell’esercito americano, ha detto, dopo aver confermato che la bomba è per strada, alcune parole che hanno una risonanza pratica confacente al tema di cui qui ci occupiamo: «Il potenziale sabotaggio occidentale o le sfide tecniche potrebbero influenzare parecchio la produzione nucleare iraniana». Questo mentre l’Amministrazione non dimentica mai di tenere pronto il suo esercito per eventuali scontri, ha detto Mullen.

L’idea, insomma, è che ci sia poco da discutere con l’Iran – di cui ora si dice che ha impianti nucleari segreti ormai nascosti in gallerie mischiate con molte altre cavità vuote per confondere ogni attaccante -, che il 6 gennaio ha minacciato di prendere il totale controllo dello Stretto di Hormuz, con conseguente blocco del Golfo Persico, che per bocca di Ahmadinejad dichiara il suo disprezzo per ogni minaccia di sanzioni… Diventa chiaro, quindi, che la lingua che può capire l’Iran odierno, che coniuga la persecuzione dell’opposizione con la costruzione del nucleare, non è certo solo quella della diplomazia. Questo tutti lo capiscono: Israele, gli Usa, l’opposizione…

[i]Fiamma Nirenstein [/i]

 

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