Exodus, L'analisi di Federico Steinhaus
[b]La morte di un eroe: realtà e finzione
Testata: Informazione Corretta
Data: 28 dicembre 2009
Autore: Federico Steinhaus[/b]
Mercoledì scorso è morto all’età di 86 anni, in Israele, Yitzhak (detto Ike) Aronowicz. Chi era costui?
Era il comandante della mitica nave Exodus. Quella vera. La storia dell’ Exodus raccontataci con forte emotività da Leon Uris nel suo libro e poi da Paul Newman nell’omonimo film, infatti, è pura finzione.
62 anni fa l’Alyà Bet rappresentò uno dei momenti epici della creazione dello stato ebraico, portando in Palestina ebrei sopravvissuti alla Shoah che, con l’aiuto di circa 200 volontari americani e canadesi oltre che di quelli europei e palestinesi, forzavano il blocco imposto dagli occupanti inglesi. Molti di questi volontari avevano 20 anni o meno.
La storia dell’Exodus ne è uno degli episodi più drammatici e decisivi. L’11 luglio 1947 la nave (ma era poco più di una carcassa di mercantile, in realtà ), con a bordo 4.515 “passeggeri†di cui 655 bambini, si accingeva a tirar su l’ancora per uscire dal porto di Sète, nella Francia meridionale, in direzione della Palestina; ma il portuale che la avrebbe dovuta aiutare a superare le secche del porto fu fermato dagli inglesi, cosicché il comandante della nave decise di tentare la sorte senza l’aiuto di chi conosceva quelle acque.
Ma non fu un viaggio tranquillo. All’imbocco del porto c’erano un incrociatore ed alcune navi da guerra inglesi, che affiancarono la Exodus durante il suo viaggio attraverso il Mediterraneo; quando la nave arrivò a 40 Km. (20 miglia nautiche) dalla costa palestinese, al limite delle acque internazionali, il convoglio inglese sferrò l’attacco contro la nave carica di persone provenienti dai campi di sterminio e da quelli di transito creati per loro alla fine della guerra, che indossavano strati di vestiario ed avevano portato con sé solamente uno zaino contenente tutti i loro averi.
Le navi inglesi speronarono la nave di Ike Aronowicz, e prima dell’arrembaggio gettarono bombe lacrimogene; vi furono tre morti e più di cento feriti tra i passeggeri ed i marinai, ed alla fine della giornata la resa concluse quel tentativo. Ma non ne fu la fine.
La Exodus fu scortata fino a Haifa. Negli anni tra il 1946 ed il 1948 una sessantina di navi organizzate dall’Alyà Bet aveva tentato di forzare il blocco inglese, quasi sempre senza riuscirvi, ed i loro passeggeri e marinai (in tutto furono oltre 50.000) venivano deportati verso un campo di prigionia inglese a Cipro, nella splendida e storica città di Famagosta. Non la Exodus, però. La Exodus fu costretta a tornare nell’Europa dalla quale i suoi passeggeri erano fuggiti e dove furono smistati– la Francia dapprima, poi la Germania carica di orrende memorie e dei fantasmi del recentissimo passato. Fu così che il destino della Exodus divenne, grazie ai media di tutto il mondo, il simbolo stesso dell’immane tragedia degli ebrei europei e del loro legame con la terra degli antenati che per volontà di una potenza occupante era loro preclusa.
Questa è la vera storia dell’Exodus, meno romantica e suggestiva del film e del romanzo, ma certamente più coerente con quanto i tre anni dal 1946 al 1948 rappresentarono per i sopravvissuti. Increduli e sconvolti per essere sfuggiti – loro e perché porprio loro? Perché non altri fra i loro cari? – al destino di 6 milioni di correligionari europei, essi volevano mettere questo loro destino al servizio dei valori positivi dell’edificazione di una patria ebraica nei luoghi storici della nascita del loro popolo (non in Uganda o Patagonia come alcune potenze europee avrebbero voluto!). Un legame che dopo duemila anni di dispersione aveva dato prova evidente di non essersi attenuato, un legame indissolubile che le persecuzioni avevano solo rafforzato. Israele nacque anche grazie a loro, da loro.
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