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[b]FIAMMA NIRENSTEIN
Il Giornale, 11 dicembre 2009[/b]

E così l’ha avuta la Svezia la sua risoluzione votata dai ministri degli Esteri europei che pomposamente, così, gli inglesi direbbero “out of the blue”, prevede la divisione di Gerusalemme in due parti e l’istituzione di uno Stato palestinese per il quale, addirittura «non si riconosce nessun cambiamento rispetto ai confini del ’67» a meno che non sia riconosciuto dalle due parti.

Ora, peccato che, fra le due parti, quella palestinese seguiti a rifiutare di sedersi a un tavolo e parlare e che quindi manchi la premessa fattuale che anche un bambino pretenderebbe prima di avventurarsi a vaticinare su uno dei temi più spinosi del mondo. Questo, mentre Netanyahu ha bloccato la costruzione in qualsiasi parte del West Bank di ogni insediamento, spaccando così il suo Paese appunto sull’altare di un ritorno al colloquio: infatti è una decisio ne assai difficile se si pensa, e nessuno ci pensa mai in Europa, che il West Bank per tutte le guerre contro Israele, da quella del 48 in avanti, sia le guerre terroristiche che quelle di eserciti, è stato il retroterra strategico essenziale, la casamatta, il rifugio, il covo.

Il documento è migliorato rispetto alla stesura svedese. La Svezia l’aveva giurata dopo lo scandalo internazionale del quotidiano Aftonbladet: il ministro degli Esteri Bildt aveva tenuto duro nel sostenere la “libertà di espressione” del giornalista, poi pentito, secondo cui i soldati israeliani uccidono i palestinesi per commerciare nei loro organi. Una bell’esempio di libertà di espressione. Il documento a cui la Svezia aveva lavorato per concludere in bellezza la sua presidenza che si chiude alla fine del mese, era estremista come il suo Paese. Riconosceva al volo lo Stato palestinese, mentre ora l’Ue lo farà «quando sarà appropriato». Parlava direttamente del rap p orto fra «Europa e Palestina», e prometteva di riconoscere una Palestina dichiarata unilateralmente; ora sostiene il supporto del piano. Non si accorgeva affatto degli sforzi di Israele nel congelamento e nemmeno nella rimozione degli ostacoli ai viaggi dei palestinesi, ora invece vede, senza esagerare, dei primi passi nella direzione giusta anche se ancora è intriso di pena per i soliti stilemi dei blocchi e della miseria. Chi viaggia per Nablus da Gerusalemme invece, non trova più un posto di blocco, chi giunge a Ramallah o solo ascolta cosa dice Abu Mazen, vede la città e l’Autonomia fiorire economicamente; persino chi arriva a Gaza vede le vetrine piene di merci per la festa di Eid. Prima il documento non se ne importava un fico secco dei problemi della sicurezza di Israele, che è un Paese sotto l’assedio islamista, ora accenna, ma non riconosce nessun diritto all’autodifesa.

L’Italia e qualche altro Paese dei 27 hanno lavorato per smussare una risol u zione squinternata; e tuttavia anche questa, dicono gli israeliani, «non aiuterà la pace ad avanzare» e danneggerà invece ogni ruolo dell’Europa come mediatore.

In definitiva il documento attuale, senza che nessuna trattativa abbia avuto inizio, sostiene le ragioni palestinesi su una città che, se divisa, tornerebbe a essere, come dal ’49 al ’67, separata fra uno Stato democratico che garantirebbe una città aperta, e uno che non ha mai dato prova di essere liberale verso le altre fedi, che compie una costante propaganda antiebraica sui suoi mezzi di comunicazione (chi vuole documentarsi, può visitare il Palestinian Media Watch), e il cui popolo per la parte governata da Hamas, non ha mai protestato contro lo Statuto che chiama a eliminare ebrei e cristiani.

Inoltre la comune lettura storica palestinese suggerisce che sono degli usurpatori senza nessuna radice a Gerusalemme e se ne devono andare. Bella premessa per una spartizione. L’Ue dunque, ha preso in considerazione tutti i problemi fuorché quello più importante, quello dell’odio antiebraico e del furore islamista. Il documento sviluppato in 9 punti elenca molti temi, dagli insediamenti e alla mancanza di libertà di movimento da Gaza ignorando che essi hanno una radice concreta, quella del rifiuto di accettare lo Stato ebraico.

L’Ue non acquisterà credibilità in Medio Oriente con questa presa di posizione, anche se mitigata. Ne avrebbe acquisita ben di più se avesse reagito di fronte alla novità di un Libano in cui gli Hezbollah al governo, riarmati fino ai denti, hanno ottenuto, contro la risoluzione dell’ONU che lo vieta e che oltretutto istituiva l’UNIFIL di cui l’Italia fa parte, di restare armati, Stato nello Stato. Col risultato che il Libano è di nuovo schiavo di una potenza straniera, anzi, di due, cui Hezbollah deve quasi tutto, l’Iran e la Siria.

Ma su questo l’Ue non parla, come sulle stragi di palestinesi in Li b ano; sul fatto che i giordani li stanno spogliando della loro cittadinanza; sulla persecuzione interna, soprattutto da parte di Fatah, di chiunque, come scrive il giornalista palestinese Khaled Abu Toameh, cerchi di far vivere movimenti pacifisti fra i palestinesi stessi. Chi è davvero per la pace, nel West Bank, rischia la morte. Chi lo è per finta, può seguitare a scrivere documenti in Europa, fatti soprattutto per esprimere la propria insofferenza, diciamo così, contro Israele.

http://www.fiammanirenstein.com/[/link]

 

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