Perché la Turchia non è più un alleato
[b]di Daniel Pipes
Liberal
29 ottobre 2009[/b]
[b]Pezzo in lingua originale inglese: Turkey: An Ally No More[/b]
I ministri degli Esteri di Turchia e Siria si sono incontrati questo mese ad Aleppo.
«Non c'è dubbio che sia un nostro amico», dice il premier turco Recep Tayyip Erdogan, quando parla del presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad, perfino quando quest'ultimo accusa il ministro degli Esteri israeliano Avigdor Lieberman di minacciare l'uso delle armi nucleari contro Gaza. Queste irritanti asserzioni denotano un profondo cambiamento di rotta da parte del governo turco – da sessant'anni il più stretto alleato musulmano dell'Occidente – da quando il partito Ak di Erdogan è arrivato al potere nel 2002.
Tre fatti accaduti in quest'ultimo mese rivelano la portata di questo cambiamento. Il primo episodio risale all'11 ottobre, quando è giunta notizia che l'esercito turco – da lunga data baluardo del secolarismo e fautore della cooperazione con Israele – ha inaspettatamente chiesto all'aeronautica militare israeliana di non partecipare all'annuale esercitazione aerea "Aquila anatolica".
Erdogan ha addotto la «sensibilità diplomatica» come motivo dell'annullamento dell'esercitazione e il ministro degli Esteri Ahmet Davutoğlu ha parlato di «sensibilità per Gaza, Gerusalemme Est e la moschea di Al Aqsa». In particolare, i turchi non hanno accettato che aerei israeliani possano aver attaccato Hamas (un'organizzazione terroristica islamista) durante l'operazione dello scorso inverno nella Striscia di Gaza. Se Damasco ha plaudito la revoca dell'invito, ciò ha indotto il governo Usa e quello italiano a ritirare le proprie forze aeree dall'esercitazione "Aquila anatolica", il che a sua volta ha comportato l'annullamento dell'esercitazione internazionale.
Quanto agli israeliani, questo «improvviso e inaspettato» cambiamento ha fatto vacillare il loro allineamento militare con la Turchia, posto in essere dal 1996. L'ex-capo delle forze aeree israeliane, Eytan Ben-Eliyahu, ad esempio, ha definito l'annullamento dell'esercitazione uno «sviluppo seriamente preoccupante». Gerusalemme ha prontamente risposto, rivedendo la prassi dello Stato ebraico di rifornire la Turchia di armi avanzate, come la recente vendita per 140 milioni di dollari all'aeronautica militare turca di targeting pod (sistemi di acquisizione dei bersagli a lunga precisione). L'idea è nata anche per smettere di aiutare i turchi a respingere le risoluzioni sul genocidio armeno che regolarmente compaiono davanti al Congresso americano.
Il 13 ottobre i ministri del governo turco e di quello siriano si sono incontrati nella città di confine di Öncüpinar e hanno simbolicamente sollevato una sbarra che divide i due Paesi.
Barry Rubin dell'Interdisciplinary Center di Herzliya non solo sostiene che «l'alleanza fra Israele e la Turchia è finita», ma arguisce che le forze armate turche non salvaguardano più la Repubblica secolare e non possono più intervenire quando il governo diventa troppo islamista.
Il secondo fatto ha avuto luogo due giorni dopo, il 13 ottobre, quando il ministro degli Esteri siriano, Walid al-Moallem, ha annunciato che le forze armate turche e siriane avevano appena «effettuato delle manovre nei pressi di Ankara». A ragione, Moallem ha definito ciò un importante sviluppo «poiché confuta le notizie di pessimi rapporti tra l'esercito e le istituzioni politiche in Turchia riguardo ai rapporti strategici con la Siria». Il che tradotto in parole povere vuol dire che le forze armate turche hanno perso terreno a favore dei politici.
E infine il terzo avvenimento. Il 13 ottobre, dieci ministri turchi, guidati da Davutoğlu, unitamente ai loro omologhi siriani si sono incontrati sotto gli auspici del neonato Consiglio di cooperazione strategica ad alto livello turco-siriana. I ministri hanno annunciato di aver siglato una quarantina di accordi da rendere esecutivi nel giro di dieci giorni; che avrà luogo un'esercitazione militare congiunta «più estesa e massiccia» rispetto a quella dello scorso aprile; e che i leader dei due Paesi firmerebbero un accordo strategico a novembre.
La copertina del volume di Ahmet Davutoğlu "Profondità strategica: la posizione internazionale della Turchia".
La dichiarazione finale congiunta del Consiglio ha annunciato la costituzione di «una partnership strategica a lungo termine» tra le due parti «per sostenere ed estendere la loro cooperazione in un ampio spettro di questioni di reciproco beneficio e interesse, e rafforzare i legami culturali e la solidarietà fra i loro popoli». Lo spirito del Consiglio, ha spiegato Davutoğlu, «è il comune destino, la storia e il futuro; noi costruiremo il futuro insieme», mentre Moallem ha definito la riunione «una festa per celebrare» i due popoli.
In verità , le relazioni bilaterali, hanno fatto una clamorosa marcia indietro dieci anni fa, quando Ankara giunse pericolosamente vicino alla guerra con la Siria. Ma i migliorati legami con Damasco sono soltanto parte di un tentativo molto più esteso da parte del Paese della Mezzaluna di migliorare i rapporti con i Paesi musulmani e della regione, una strategia enunciata da Davutoğlu nel suo importante volume pubblicato nel 2000, Stratejik derinlik: Türkiye'nin uluslarasasi konumu ("Profondità strategica: la posizione internazionale della Turchia").
In breve, Davutoğlu immagina un conflitto ridotto con i Paesi vicini e una Turchia che emerge come potenza regionale, una sorta di Impero ottomano modernizzato. Implicito in questa strategia è un allontanamento di Ankara dall'Occidente in generale e da Israele in particolare. Anche se non è presentata in termini islamisti, "la profondità strategica" ben si accorda alla visione islamista del Partito Ak.
Come osserva Barry Rubin: «il governo turco è politicamente più vicino all'Iran e alla Siria di quanto lo sia agli Usa e a Israele». Caroline Glick, una columnist del Jerusalem Post, va oltre: Ankara ha già «abbandonato l'alleanza occidentale ed è diventata membro a pieno titolo dell'asse iraniano». Ma ambienti ufficiali in Occidente sembrano quasi ignari di questo importantissimo cambiamento nella fedeltà della Turchia o delle sue implicazioni. Il prezzo del loro errore presto diventerà palese.
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