[b]ECCO GLI ARTISTI SUL CAVALLO DI LEGNO

di Giacomo Carioti[/b]

“Prendete un giornale. Prendete un paio di forbici. Scegliete nel giornale un articolo che abbia la lunghezza che voi desiderate dare alla vostra poesia. Ritagliate l’articolo. Tagliate ancora con cura ogni parola che forma tale articolo e mettete tutte le parole in un sacchetto. Agitate dolcemente. Tirate fuori le parole una dopo l’altra disponendole nell’ordine con cui le estrarrete. Copiatele coscienziosamente. La poesia vi rassomiglierà. Eccovi diventato ‘uno scrittore infinitamente originale e fornito di sensibilità incantevole…” Con queste parole, scritte nel 1920, Tristan Tzara, uno dei fondatori del movimento dadaista, forniva una delle possibili chiavi di lettura di quello strano atteggiamento nei confronti della vita, della cultura e dell'arte, che stava agitando le convinzioni fino ad allora radicate e apparentemente immutabili. Il dadaismo fu una ribellione totale nei confronti dei canoni, guidata da una convinzione superiore: quella della morte dell'arte, e del bisogno di sostitirla con la sua dissacrazione.

Ma cosa voleva dire “Dada”? Lo aveva spiegato, sempre Tzara, nel manifesto del 1918: “Dada non significa nulla”.
Questa lapidaria liquidazione del problema originario non è tuttavia valsa a distogliere gli studiosi, come gli stessi protagonisti, dalla ricerca di un valore di riferimento più appagante. L’origine della parola Dada è contraddistinta da varie interpretazioni. Hans Arp nel 1921 in una rivista del movimento racconta come Tzara abbia trovato la parola Dada l’8 febbraio 1916 alle sei di sera per caso nel vocabolario Larousse oppure si racconta che un tagliacarte sia per caso scivolato tra le pagine del dizionario. Ma Tzara ha dato anche altre spiegazioni: “Se qualcuno trova inutile, se qualcuno non perde il suo tempo per una parola che non significa nulla… Dai giornali apprendiamo che i negri Kru chiamano la coda della vacca santa: Dada. Il cubo e la madre in una certa contrada d’Italia prendono il nome di Dada. Un cavallo di legno, la nutrice, la doppia affermazione in russo e in rumeno: Dada…”. Ciò che risulta chiaro, comunque, è che la parola Dada è solo un simbolo di rivolta e di negazione perché il Dadaismo fu (o, quanto meno, volle ad ogni costo sembrare di essere) anti-artistico, antiletterario, antipoetico.
Per Picabia, invece, dada confermava il riferimento al cavalluccio di legno con cui giocavano i bambini dell'epoca: e forse questa era l'evocazione più sincera. Ne è conferma la fotografia che ritrae l'artista a “cavacecio”, vispo e felice come un bimbetto: un vero emblema del dadaismo, che lo definisce più di ogni analisi critica e di ogni indagine filologica.
Dada è oggi nuovamente a Roma, nelle sale del Vittoriano, con una grande mostra curata da Arturo Schwarz e realizzata da “Comunicare organizzando” di Alessandro Nicosia. Il titolo di questa cospicua esposizione (500 opere) è “Dada e Surrealismo riscoperti”: i due movimenti vengono accomunati nell'evento e nel percorso, pur nella sottolineatura delle loro diversità e delle loro divergenze (che però ad alcuni non appaiono così evidenti, nonostante alcune affermate marcature ideologiche).
La meticolosità di una così vasta raccolta, di altissimo livello qualitativo, costituisce un patrimonio informativo e formativo di grande importanza, specie per i giovani che finalmente possono trovare e scoprire le chiavi di lettura dell'immaginario contemporaneo, tutt'oggi fortemente influenzato dal dadaismo e dal surrealismo. Scoperta per i giovani, riscoperta per coloro che già hanno assimilato negli anni l'influenza di queste (o di quest'unica) correnti di rinnovamento (o di conservazione? …della fantasia, almeno).
Una riscoperta che in qualche modo va a completare ed integrare l'evento della primavera del 1994, quando il Comune di Roma allestì al Palazzo delle Esposizioni la mostra “Dada, l'arte della negazione”: il grande pubblico si accorse allora del dadaismo e della sua importanza, scoprendo che anche molti artisti italiani ne furono artefici e protagonisti. Alcuni qui mancano , per questo l'integrazione fra i due eventi appare consigliabile per una più esauriente conoscenza. Del resto, ogni mostra è necessariamente selettiva, pur nella vastità dei materiali esposti in quella odierna, che rappresenta una antologia fra le più complete possibili, in una organicità di percorso che ne costituisce il fondamentale pregio.
I nomi degli artefici di quella grande e trasgressiva stagione sono oggi disseminati sulla scalinata che conduce ai saloni espositivi del Vittoriano, preludio alla visione delle loro opere: Eileen Agar, Arp, Jacqueline Lamba Breton, John Banting, Hans Bellmer, John Selby Bigge, Constantin Brancusi, Victor Brauner, Edward Burra, Alexander Calder, Cecil Collina, Salvador Dalì, Peter Norman Dawson, Giorgio De Chirico, Oscar Domimguez, Marcel Duchamp, Max Ernst, Merlyn Evans, Léonor Fini, Wilhelm Freddie, David Gascoyne, Alberto Giacometti, Stanley William Hayter, Charles Howard, Marcel Jean, Humphrey Jennings, Paul Klee, Rupert Lee, Len Lye, Dora Maar, René Magritte, Maruga Mallo, Man Ray, André Masson, Robert Medley, Édouard-LéonThéodore Mesens, Joan Miró, Henry Moore, Stellan Mörner, Paul Nash, Richard Oelze, Erik Olson, Meret Oppenheim, Wolfgang Paalen, Grace W. Pailthorpe, Roland Penrose, Francis Picabia, Pablo Picasso, Angel Plannels, Pierre Sanders, Max Servais, Jindrich Styrsky, Graham Sutherland, Yves Tanguy, Sophie Henriette Täuber-Arp, Toyen, Julian Trevelyan, e tanti altri ancora.
Insomma, uno dei più importanti appuntamenti con l'arte di questa nuova stagione romana.

Giacomo Carioti

fonte:

 

One Response to “DADA E SURREALISMO RISCOPERTI”: UNA GRANDE MOSTRA AL VITTORIANO CURATA DA ARTURO SCHWARZ

  1. Admin ha detto:

    complimenti per l'articolo…sono andato a vedere la mostra e devo ammettere che merita veramente!
    cortonotte

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