In un Centro di Tel Aviv i bambini imparano a confrontarsi con gli altri. Con internet e la Torah
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A lezione di kabbalÃ
di Andrea Salvatici per "Io Donna"[/b]
Quartiere di Petah Tikva di Tel Aviv. Ore tre di notte, lezione sulla kabbalà condotta dal professor Rav Laitman, fondatore e presidente del Centro Bnei Baruch (kabbalah.info). La kabbalà può sembrare una dottrina misteriosa e magica ma in realtà è un insieme di correnti esoteriche e mistiche dell'ebraismo che riguardano l'interpretazione simbolica del senso segreto della Bibbia. Non è una religione: è una scienza, un metodo.
Il centro si trova in via Jabotinski n.112. Edificio vecchio e sproporzionato. All'ultimo piano c’è una falegnameria, un'officina, una palestra, una mensa, una cucina, uno spazio giochi per i bambini. In basso c'è una porticina, c'è una telecamera. Inizia la lezione del professor Rav Laitman. La sala è stracolma di persone. Matite, blocchetti, gente che scrive e ascolta. Domande e risposte si alternano. Come superare il nostro ego? Come avvicinarsi all’altro? Il metodo dato dalla kabbalà li aiuta a rispondere e a capire. Per loro l’uomo non può accontentarsi, è necessario che si ponga delle domande e si confronti con l’altro. Non esiste nessuna soluzione a qualsiasi problema se l’uomo non considera l’altro come se stesso.
Sono le cinque e mezza del mattino, la gente continua a discutere. Ore sei, la lezione è finita. Le persone vanno a mangiare il cibo preparato da loro. In piedi attorno ai tavoli si abbracciano prima di sedersi e mangiare. Ecco arrivano i bambini per la prima volta. Sono tantissimi e giocano con gli adulti. All'interno del centro, tantissimi libri da ogni parte. Si fanno traduzioni, si scrive, si parlano tre lingue, si truccano gli ospiti delle trasmissioni, si salda un pezzo di ferro. Un alveare perfetto dove in piccoli spazi c’è tutto: computer, regie, mixer, studi televisivi e radiofonici. Canale 66, la tv satellitare di Bnei Baruch, ha collegamenti e dirette con tutto il mondo. Dal falegname al traduttore, dal fabbro al regista. Qui hanno deciso di creare la prima scuola al mondo dove si insegna la kabbalà ai bambini, senza voti, esami o diplomi. I bambini studiano con passione per ore, si appassionano alle scienze. Inventano e costruiscono giocattoli. Usano internet alla perfezione, fanno montaggi: sono dei secchioni simpaticissimi. La scuola è vissuta come un ambiente gioioso. È il gruppo che prevale. Se un bambino non capisce viene aiutato dal gruppo. Non rimane mai da solo. Gli insegnanti sono lì, ma non intervengono. Lasciano a loro lo spazio di discutere. Il bambino cresce perché ha di fronte a sé degli esempi veri e pratici: un bravo falegname, un bravo medico, un bravo meccanico ma il suo interlocutore è un altro bambino. Fino da piccoli gli allievi affrontano la Torah, la leggono insieme e discutono il testo. I maestri non alzano la voce quando i bambini compiono azioni scorrette, ma cercano di portarli alla consapevolezza che quell’azione ha ripercussioni sul gruppo. La kabbalà si insegna per rendere questi bambini uomini capaci di aiutare l’altro in difficoltà . Per farlo è necessario conoscere le leggi che determinano il corso della natura. Qui il sentimento verso l’altro è sostenuto con la conoscenza. Andare nella direzione giusta vuol dire partire dai bambini.
30 luglio 2009
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