[b]Intervista a Bat Ye'or

Testata: Il Foglio
Data: 17 giugno 2009
Pagina: 3
Autore: La redazione del Foglio
Titolo: «Nel medio oriente la dhimmitudine cristiana si paga con la vita»[/b]

Fonte:

Roma. All’indomani dell’11 settembre 2001, le televisioni di tutto il mondo trasmisero un video di propaganda di al Qaida. Si vede un drappello di terroristi che fa irruzione in una casa, marcia sotto lo stendardo nero, si addestra e spara contro un bersaglio. E’ una croce cristiana. Come quella piccola, di legno, che portava al collo Ishtiaq Masih. Immaginate di percorrere in autobus la valle pachistana del Punjab. Vi fermate per una sosta in una locanda. Ordinate un tè. Poi andate a pagare e il proprietario nota che portate la croce al collo, perché siete uno dei tanti cristiani pachistani, come il vescovo anglicano Michael Nazir-Ali. Alcuni scagnozzi islamici vi dicono che all’ingresso del locale c’era una insegna che avvertiva: “Qui serviamo soltanto musulmani”. Avete reso “impura” una tazza da tè riservata ai musulmani. Iniziano a colpirvi con bastoni e sassi, implorate pietà. Morirete poco dopo per le lesioni.

E’ successo a Ishtiaq. Undici anni fa, in occasione dell’apertura in Vaticano del sinodo dei vescovi dell’Asia, Joseph Coutts, vescovo pachistano di Hyderabad, pronunciò parole tragiche sui cristiani orientali: “L’atteggiamento predominante nei paesi islamici è quello di considerare i cristiani come ‘dhimmi’, traditori. L’islam non può e non deve essere messo nelle stessa categoria dell’induismo, del buddismo, dello shintoismo. L’islam è una forza politico-religiosa con tendenze espansionistiche”. Pochi giorni prima la relazione di Coutts, il vescovo di Faisalabad John Joseph si era sparato alle tempie davanti a un tribunale in cui era stato condannato a morte un cristiano accusato di blasfemia. Oggi, come allora, le ciglia del mondo libero si sono abbassate sulla tetra sorte dei cristiani nei paesi islamici. La loro persecuzione sistematica è oggi accompagnata da un silenzio assoluto e connivente da parte della comunità internazionale, degli attivisti dei diritti umani, dei mass media e delle organizzazioni non governative. Pochi giorni dopo che Papa Ratzinger aveva parlato di “stato palestinese”, militanti islamici deturpavano settanta tombe di cristiani palestinesi. Accade nel villaggio di Jiffna, non lontano da Ramallah, il regno dell’Autonomia palestinese di Abu Mazen. La Madonna di Jiffna, vandalizzata alla testa e alle mani, è il simbolo di quella che Benjamin Sleiman, arcivescovo cattolico di Baghdad, ha chiamato “l’estinzione della cristianità in medio oriente”. Dalla Prima Guerra mondiale dieci milioni di cristiani sono stati costretti a emigrare da tutto il medio oriente. E come spiega Monsignor Philippe Brizard, direttore generale dell’Oeuvre d’Orient, la celebre organizzazione francese dedita ai cristiani del medio oriente, “la radicalizzazione dell’islam è la principale causa dell’esodo cristiano”. I territori palestinesi un tempo erano al venti per cento cristiani, oggi lo sono al cinque. Nel 1920 in Turchia vi erano due milioni di cristiani, ne rimangono solo alcune migliaia. All’inizio del secolo scorso i cristiani costituivano un terzo della popolazione siriana; oggi meno del dieci per cento. Nel 1932, i cristiani costituivano il 55 per cento della popolazione libanese, oggi sono sotto la soglia del 30. In Iran è in corso la fase più oscurantista dei rapporti fra il cristianesimo e la Rivoluzione islamica, da quando nel 1979 l’ayatollah Khomeini chiese la chiusura immediata delle scuole cristiane e concesse a tutti i religiosi stranieri un mese di tempo per lasciare il paese. Al Parlamento iraniano si dovrà ora votare una legge che prevede la pena di morte per chi, nato da padre musulmano, decida di convertirsi. Persino sul frontespizio del “Ketob-e Ta’limate Dini”, il manuale di religione usato dai cristiani, campeggia ancora la foto di Khomeini. E’ in corso la pulizia etnica dei popoli indigeni del medio oriente. La tanto decantata eterogeneità mediorientale si ridurrà alla piatta monotonia di un’unica religione, l’islam, e a una manciata di idiomi. Alcune delle vittime trucidate lunedì nello Yemen appartenevano a una missione evangelica. In un comunicato diffuso a marzo, dopo un attentato contro un altro gruppo di sudcoreani, i qaedisti avevano spiegato in modo chiaro la loro posizione: “Portano la corruzione nella nostra terra e giocano un ruolo pericoloso nella diffusione del cristianesimo”. Intanto l’International Christian Concern ha reso noto che il corpo di un giovane cristiano pachistano è stato ritrovato martirizzato in un canale di scolo del Punjab. Si chiamava Litto e si era innamorato di una giovane musulmana. I fratelli della ragazza gli avevano imposto di convertirsi all’islam. Litto si è rifiutato. Lo hanno pugnalato allo stomaco e ai genitali. Intanto a Karachi, una delle grandi metropoli pachistane, un bambino cristiano di undici anni, Irfan, veniva giustiziato alle tempie davanti alla chiesa. A rendere nota la notizia è stato Mario Rodriguez, il direttore delle Pontificie opere missionarie in Pakistan, che ha lanciato un appello al mondo: “I talebani si aggirano minacciosi nei quartieri cristiani di Karachi terrorizzando le donne e invitando la gente a convertirsi all’islam, pena la morte”. A Quetta una scuola pentecostale è stata chiusa dopo una minaccia di attentato kamikaze. A Bannu Cantt una storica chiesa intitolata a San Giorgio è stata attaccata, le Bibbie bruciate, la croce smembrata e l’altare distrutto. Dopo gli attacchi ai cristiani i guerriglieri se ne vanno lasciando simili scritte sui muri delle chiese: “Taliban zindabad” (Lunga vita ai talebani), “Islam zindabad” (Lunga vita all’islam) e “Christians Islam qabol karo” (Cristiani, convertitevi all’islam”). I non-musulmani devono pagare una tassa ai talebani se vogliono restare a vivere nelle loro case. La “jizya” imposta a cristiani, indù e sikh consiste in un versamento annuale di mille rupie a testa, poco più di otto euro; sono esentati donne, bambini e handicappati. Tutte i membri delle minoranze devono pagarla per avere il diritto alla vita, altrimenti sono costretti ad abbandonare le case e i villaggi in cui vivono da sempre. Si chiama Nermeen Mitry l’ultima ragazzina copta rapita e convertita a forza all’islam. E’ stata recuperata il giorno stesso dalla sua famiglia, che aveva lanciato le sue ricerche per ritrovarla. Nermeen era stata rapita nel villaggio di El Mahalla da un musulmano, Hossam Hamouda, con la complicità della zia Leila Attia. Un centinaio di islamici, armati di spade e di bastoni, hanno attaccato i cinque membri della famiglia della ragazza e hanno lasciato il villaggio soltanto dopo che i copti erano stati costretti a riconciliarsi con l’autore del rapimento. “Per ogni colpo che ci davano, cantavano ‘c’è un solo Allah’. Ci tiravano fuori dall’automobile dicendoci ‘uscite! seguaci della religione del cane!’”. Due cristiani copti sono stati appena uccisi a Hagaza, sulle rive del Nilo, mentre tornavano dalla chiesa. Questo accadeva mentre al Cairo, non lontano dal villaggio copto, Barack Obama pronunciava le sue altisonanti parole sul rispetto reciproco. E’ dal Cairo che è fuggita nel 1955 Bat Ye’or, in ebraico significa “Figlia del Nilo” ed è l’autrice del best seller “Eurabia” (Lindau). Per le stesse edizioni è appena tornata in libreria con il saggio “Il califfato universale”. E’ la cronista della “dhimmitudine”, la sorte dei non musulmani nell’islam. Oriana Fallaci riprese nei suoi scritti la parola “Eurabia” e diede a essa una risonanza mondiale. “Cos’è la dhimmitudine? E perché nessuno ne parla? Sono due domande per me legate”, dice Bat Ye’or al Foglio. “La dhimmitudine è parte del jihad, è una condizione teologica, politica e giuridica. L’oppressione e la persecuzione degli infedeli, compresi ebrei e cristiani, è la giusta punizione riservata ai ‘kuffar’ (infedeli) che rifiutano di riconoscere la verità dell’islam. Sono ‘popoli vinti’, vittime del jihad, spossessati della propria storia, cultura, identità, tradizione, non hanno riferimenti, hanno perduto la propria storia, come i copti in Egitto. Si sentono inferiori ai musulmani, vengono cacciati alimentando il sentimento di sottomissione e inferiorità, diventano umili. E’ un sentimento di vulnerabilità permanente. Per oltre un millennio, il jihad ha costituito la forza militare e politica che ha sottomesso e, nella maggior parte dei casi, annientato le civiltà zoroastriana, cristiana, indù e buddista in Africa, Europa e Asia. Tutti questi aspetti hanno trasformato questi popoli. Se si va da loro a spiegare la dhimmitudine, rifiutano questa visione, hanno paura, sono condizionati alla subalternità. Non si mettono in relazione di eguaglianza ai musulmani. E’ lecito affermare che la negazione delle sofferenze delle vittime del jihad e dell’imperialismo islamico è una forma di razzismo che scaraventa i perseguitati in una umanità di serie B”. Perché non se ne parla? “Perché il mondo islamico, rappresentato dalla Organizzazione della conferenza islamica, che è una sorta di califfato moderno, non accetta che si critichi il jihad, come guerra perfetta, e la dhimmitudine. Perché il jihad, la sunna, la sharia, tutto l’islam è perfetto, non criticabile. L’umiliazione dei cristiani e dei dhimmi non può essere criticata. L’occidente ha paura del califfato e vive alla sua ombra. La dhimmitudine è una storia proibita in Europa. E così finiamo per essere incapaci di aiutare il mondo islamico nella critica della politica verso i non musulmani. Siamo noi a obbligare il mondo islamico a continuare in questa direzione. Non si deve parlare della dhimmitudine, per anni io stessa sono stata boicottata perché volevo parlare di questa storia. Ci sono musulmani che mi hanno ringraziato perché ho raccontato la dhimmitudine. C’è chi, come Obama al Cairo, si pone nell’atteggiamento verso il mondo islamico non per proteggere i cristiani, ma per ragioni politiche, economiche, tattiche. Poi ci sono cristiani che vivono nel mondo islamico, i sopravvissuti del mondo arabo, e che hanno paura di finire in pericolo perché queste comunità vivono in situazione di grande vulnerabilità. Prima di pubblicare i miei scritti ho chiesto il permesso ai miei amici egiziani. Ero pronta a non pubblicarli, sapevo che avrei potuto metterli in pericolo. Ma mi hanno detto: ‘Se non lo scrivi, siamo persi’”. Bat Y’or racconta l’attuale clima d’odio e persecuzione. “L’Egitto conserva la legge che punisce l’apostasia con la morte; i cristiani convertiti all’islam non possono ritornare al cristianesimo; coloro che ‘denigrano’ l’islam vengono arrestati; i copti, costantemente sfiancati, minacciati, umiliati, sono costretti ad abbandonare la loro antica patria; per costruire e riparare le chiese è necessario un permesso, che raramente viene concesso; i cristiani vengono spesso attaccati, i loro negozi saccheggiati e le donne rapite. Gli ebrei originari dell’Egitto, che tornano da turisti nei luoghi di una presenza ultramillenaria, non sono neanche autorizzati a fotografare le vestigia della loro storia. La religione bahái non è riconosciuta e i suoi seguaci sono privati dei loro diritti. Queste leggi millenarie derivate dalla sharia vengono applicate in tutti i paesi musulmani in modo più o meno severo. La condizione di dhimmitudine trasformò popoli liberi e maggioritari nei loro paesi, creatori delle civiltà più raffinate e potenti della loro epoca, in minoranze amnesiche di superstiti sottomessi all’umiliazione, all’insicurezza e alla paura nelle loro patrie islamizzate, infarcite delle rovine della loro storia. La colonizzazione islamica operò la distruzione di popoli e culture indigene attraverso conquiste, riduzione degli abitanti in schiavitù, espulsioni, espropri, massacri, conversioni forzate e dhimmitudine, vale a dire un insieme di leggi discriminatorie e umilianti non molto dissimili dall’assoggettamento”. Oggi la dinamica e l’ideologia che diedero impulso a queste trasformazioni sono ancora attive a tutti i livelli. “Ma pochi riescono a distinguerle fra i mutamenti attualmente in corso in Europa, poiché ne ignorano la storia e i meccanismi. Oggi la storia della dhimmitudine, e cioè l’analisi delle interconnessioni politiche, economiche e sociali che condussero ineluttabilmente i popoli bersaglio del jihad al decadimento e alla disgregazione, è una storia proibita in Europa. Questo occultamento è motivato dal rifiuto degli stati musulmani di riconoscere la loro storia fatta di imperialismo, colonizzazione, riduzione in schiavitù e oppressione come hanno fatto gli storici e gli stati europei e statunitensi rispetto al loro passato. E’ molto importante dunque avere il coraggio di parlarne, altrimenti saremo noi, il mondo occidentale, i prossimi dhimmi. Questa sarà la nostra punizione, perché siamo stati insensibili alla sofferenza dei nostri fratelli. Io credo nella giustizia, se non siamo generosi verso quella storia di persecuzione, il nostro egoismo verrà punito”. A Dubai ci sono addirittura duemila cristiani originari di Gaza. Profughi indegni persino di essere menzionati, come gli ebrei fuggiti in massa dai paesi arabi. Chi conosce il nome di Rami Ayyad? Era il direttore dell’unica libreria cristiana di Gaza, legata all’organizzazione protestante Palestinian Bible society. E’ stato pugnalato a morte. I fratelli lo hanno dovuto sollevare sopra un carro funebre senza croce che lo portava al cimitero di san Porfirio. La moglie Pauline ha scritto una lettera bellissima. Si intitola “Al mio dolce marito, martire Rami Ayyad”.

Bat Ye'or

 

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