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[b]Il GIORNALE

E adesso, per favore, non rientrate in quella sala, rappresentanti della Francia, della Norvegia, dell’Ungheria. Restate fuori dalla trappola antisemita di Durban 2, lasciate per sempre la marea nera delle parole di Ahmadinejad, che in apertura ha di nuovo predicato odio e distruzione. E perdonate, ma l’Italia non può che dirvi oggi: ve l’avevamo detto.[/b]

E può anche aggiungere: non era facile superare il tabù dell’Onu, la vacca sacra che quando chiama a raccolta esige sempre una risposta conformista, uno scatto sull’attenti in nome della retorica universalista; e qui, l’Onu seguitava a suonare, per chiamare tutti a raccolta, il campanello della battaglia contro il razzismo, una battaglia così importante per tutti noi. Ma noi chi? Era chiaro che per le commissioni che preparavano il documento introduttivo, per i violatori seriali di diritti umani Iran e Libia, il razzismo era una pura scusa, come lo era stato ai tempi di Durban 1. Noi che ci crediamo, che viviamo nelle democrazie, che davvero pensiamo che il diritto e l’integrità morale debbano illuminare la strada, volevamo una conferenza contro il razzismo, condivisa anche dal resto del mondo, ma esso non ci crede. Quel mondo è infatti dominato da dittature e violenza e pratica il razzismo, sia etnico che religioso. L’Italia, però ha avuto coraggio. A Ginevra, che dal tempo del primo diritto internazionale umanitario del 1864 ha lavorato duro a tante convenzioni per aiutare a far luce nel mondo, si stava preparando una conferenza di confusione e di odio, contro Israele e anche contro gli Usa nonostante Obama, come si è visto ieri nel discorso di Ahmadinejad. La conferenza è in realtà, sia chiaro, una fanfara di guerra in favore del terrorismo, quello dell’era nuova di Ahmadinejad. L’Italia ha letto la storia e il presente, e ha compreso che andare a Ginevra era un grosso rischio morale e politico. A Durban 1 i cortei delle Ngo marciavano sotto l’effigie di Bin Laden. Quattro giorni dopo la sua conclusione ci fu l’attacco delle Twin Towers. Questa conferenza di Ginevra è di fatto cominciata domenica con una riunione di Ngo che programmavano un «movimento di resistenza europea» sulle tracce di Hezbollah e di Hamas. Poi, per la parte ufficiale è arrivato Ahmadinejad: a Ginevra come a Durban il programma è ambizioso. Ingenti forze vogliono aprire sotto l’egida dell’Onu una immensa campagna antisemita sullo sfondo della nuova ambizione atomica iraniana, così da fornire il crisma dell’Onu allo scopo di distruggere Israele. La fuoriuscita dell’Italia aveva portato al risultato di un documento di matrice soprattutto olandese che avrebbe potuto, con ancora un po’ di lavoro, essere accettato da tutti se solo l’Europa l’avesse sorretto all’unisono. Il documento non formulava criminali, univoche identificazioni fra Israele e il razzismo, non impediva la libertà di critica alla religione per difendere l’islamismo, non impediva la definizione di omofobia come di un pregiudizio razzista. Se solo l’Europa, che nelle sue assemblee, a Bruxelles, a Strasburgo, spacca il capello in quattro per i diritti umani di ogni minoranza, si fosse schierata compatta dietro il suo documento, forse la conferenza contro il razzismo avrebbe potuto avere luogo in quanto tale, e non sarebbe stato certo un male. Ma l’Europa ha avuto paura: così, da una parte, la recrudescenza delle posizioni della parte islamista o antioccidentale, l’Iran, la Libia, surreali parti diligenti, hanno reso il documento antirazzista impossibile anche per Obama; dall’altra la Francia e l’Inghilterra hanno tremato di fronte alla furia delle banlieue e delle corti islamiche londinesi, hanno pensato al grande giro d’affari con il mondo islamico. La Germania non a caso ce l’ha fatta, alla fine, ad approdare al rifiuto della conferenza: la presidenza Merkel porta buon consiglio, il rapporto con Israele la investe negli imi precordi e questo l’ha salvata. E qui si è compiuta la distruzione dell’illusione che il linguaggio dei diritti umani sia un linguaggio universale. Un importante elemento di speranza, si trova, ironia della sorte, nella coraggiosa decisione delle delegazioni giordana e marocchina, di uscire assieme ai Paesi europei. Una decisione anch’essa frutto di una paura, quella nei confronti di Teheran, questa sì profonda e motivata.

 

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