Lo scrittore israeliano Amos Oz: «Mi pare che Netanyahu sia pronto a restituire il Golan»
[b]«BARACK OBAMA MI FA BEN SPERARE»
«Con la Siria la pace è a portata di mano»[/b]
Lo scrittore israeliano [b]Amos Oz: «Mi pare che Netanyahu sia pronto a restituire il Golan»[/b]
Da nostro inviato [b]Lorenzo Cremonesi [/b]
Amos Oz (Epa)ARAD – «Ottimo che la nuova amministrazione americana dialoghi con la Siria. In questo momento vedo molte più possibilità di pace tra Gerusalemme e Damasco, che non con i palestinesi. Ma la situazione è fluida. Barack Obama mi fa ben sperare. E potremmo scoprire che la prossima coalizione di centro-destra guidata da Benjamin Netanyahu è più aperta alla nascita di uno Stato palestinese di quanto si potesse pensare». Amos Oz è seduto su di un piccolo divano nello studio spartano della sua villetta alle porte del deserto del Negev. In un angolo della libreria alle sue spalle sono visibili alcune copie delle 641 edizioni in 37 lingue diverse dei suoi 26 libri. E sta uscendo in ebraico una nuova raccolta di 8 racconti brevi. Scrittore di fama internazionale, intellettuale impegnato della sinistra israeliana che non esita però a criticare aspramente anche i suoi compagni di strada: in quasi quattro ore lui parla un po’ di tutto, stiamo ad ascoltarlo.
Dunque con Damasco si potrebbe riprendere il dialogo interrotto nel Duemila con il fallimento dei contatti tra Ehud Baraq e Hafez El Assad?
«Assolutamente sì. La pace potrebbe essere ad un tiro di schioppo. Allora si paralizzò sulla questione dell’accesso siriano alle acque del lago di Tiberiade. Io non voglio entrare in dettagli tecnici, che non conosco. Ma mi sembra che Netanyahu sia pronto a cedere il Golan».
Non teme l’intervento dell’Iran e la possibilità di un blitz israeliano contro le sue installazioni atomiche?
«Il Pakistan è un Paese molto ma molto più pericoloso dell’Iran. Ne ho davvero paura. Rischia di implodere. Temo i suoi fanatici islamici, i talebani, Al Qaeda, temo che possano impadronirsi della sua atomica. Con l’Iran è diverso, guardo con grande interesse all’esistenza della sua classe media che mi dicono avere una radicata e diffusa cultura laica assieme all’abitudine di criticare apertamente il governo. Non penso affatto che Israele debba attaccare l’Iran per fermare l’atomica. Sarebbe un esercizio inutile. Tra 10 o 15 anni anche Paesi come lo Yemen o il Sudan saranno in grado di possedere l’atomica, se la vorranno».
Il suo giudizio su Obama?
«Quattro settimane fa ha dichiarato che avrebbe affrontato il nodo israelo-palestinese in modo aggressivo. Bene, ben venga, speriamo che lo faccia. L’elemento che più mia ha sorpreso nella sua elezione è che sia un intellettuale. Forse gli americani sono stati sviati dal fatto che fosse nero e non si sono accorti che lui è un vero intellettuale. Obama vede il mondo come una gigantesca polifonia, ne coglie la complessità articolata e la rispetta. Tutto il contrario di George Bush, che si presentava come un conservatore, ma in realtà era un crociato, un radicale, un seguace della Jihad, della guerra santa».
Cosa avrebbe fatto Obama se fosse stato presidente nel settembre 2001?
«Afghanistan, sì. Iraq, no».
Prevede che si scontrerà con Netanyahu e Avigdor Lieberman?
«Non so. Dipende soprattutto da Netanyahu. Ma la destra israeliana potrebbe sorprenderci. Sino a qualche anno fa ero convinto che solo la sinistra avrebbe portato la pace. Ora non lo penso più. Ci tengo a sottolinearlo: nella storia del nostro Paese è stata la destra a fare le concessioni più importanti. Menachem Begin ha reso il Sinai per la pace con l’Egitto, Netanyahu ha firmato gli accordi di Hebron con Arafat, Ariel Sharon ha smantellato le colonie ebraiche di Gaza. Nel 1967 a credere nella soluzione di due Stati paralleli eravamo in quattro gatti, ci saremmo stati tutti assieme in una cabina telefonica. Oggi è ormai patrimonio della cultura politica dominante a destra e sinistra. Se un premier laburista tratta con gli arabi la destra lo boicotta, ma se lo fa un esponente della destra la sinistra lo sostiene. Ergo: solo un premier di destra godrà della maggioranza necessaria per fare concessioni rilevanti che possano condurre ad accordi seri con gli arabi».
Benjamin Netanyahu e leader Tzipi Livni (Reuters)E il razzismo di Liberman verso gli arabi israeliani?
«Troppo facile paragonarlo a Georg Haider in Austria o al neo-fascismo xenofobo slavo ed europeo. Lieberman è prima di tutto un laico ed il suo elettorato russo in Israele anche. Non sono dogmatici, non sono interessati alla santità di Gerusalemme. Lieberman si dice disposto a lasciare la sua abitazione nell’insediamento di Tekoa, in Cisgiordania, in cambio della pace. E non valuto proprio che sia pronto ad espellere cittadini arabi, piuttosto crede nello scambio di territorio con lo Stato palestinese».
La formula di Amos Oz con i palestinesi?
«Potremmo concludere due paci separate, prima con l’Olp in Cisgiordania e poi con Hamas a Gaza».
Trattare con Hamas anche se non riconosce Israele?
«Non ho problemi. Sono pronto ad accettare il loro cessate il fuoco. Dovremmo togliere il blocco di Gaza subito, senza condizionarlo alla liberazione di Gilat Shalit, ma solo in cambio della fine dei tiri di missili da Gaza. Ehud Olmert ha commesso errori imperdonabili».
Compreso i 22 giorni di bombardamenti su Gaza?
«È stato più che un errore, è stato un crimine molto grave, un colpo durissimo ai nostri standard morali e civili. Io ero d’accordo alle prime 48 ore di bombardamenti. Ma poi avrebbero dovuto cessare».
La sua lettura delle recenti elezioni israeliane?
«Sono avvenuti due fatti importanti. Circa 250.000 elettori della sinistra hanno scelto il centro e sostenuto Tzipi Livni con la speranza di bloccare il Likud. E’ stata una mossa tattica, non ideologica. Ma contemporaneamente circa 100.000 elettori di Kadima hanno votato per il Likud. Risultato: c’è stato un rafforzamento del centro e della destra a scapito della sinistra. Ma sulla questione della guerra e della pace con i palestinesi il Paese resta sostanzialmente diviso in due blocchi quasi eguali. Un altro fatto significativo sono i religiosi che hanno ottenuto 20 seggi su 120, un risultato molto simile a quello riportato alle prime elezioni nella storia del Paese nel 1949. Questo per dire che, nonostante le apparenze, il peso dei gruppi religiosi non è cambiato».
E come giudica il razzismo anti-arabo degli immigrati russi che hanno votato per Lieberman?
«Il mio benzinaio qui ad Arad, un immigrato sessantenne dall’ex Urss, mi ha spiegato più volte che a Gaza noi avremmo dovuto usare il pugno di ferro, come fece Putin a Grozni. La sua lamentela verso Olmert è che la nostra offensiva contro Hamas è stata troppo debole. Lo stesso afferma il mio barbiere, un altro immigrato dalla Russia. E si lamenta della nostra democrazia, afferma che noi israeliani siamo troppo tolleranti, troppo disposti a criticare il governo. Ma non sono particolarmente preoccupato. Negli ultimi 19 anni Israele ha ricevuto oltre un milione di immigrati dall’ex Urss, circa un quinto della sua popolazione ebraica. Hanno bisogno di imparare le regole della democrazia. Pure sono laici, chiedono un uomo forte, salvo poi restare fondamentalmente sospettosi del governo e dello Stato. Tra altri vent’anni avranno interiorizzato il discorso democratico e saranno cambiati in meglio».
La vittoria di Lieberman mette a rischio l’esistenza di un milione e 300mila cittadini arabi?
«E hanno ragione. Israele dovrà lavorare per integrarli. Abdul Aziz Zobi, un arabo israeliano che nel passato è stato vice ministro della Sanità , un giorno mi ha detto: ‘Come posso rappresentare il mio Paese che è in guerra con il mio popolo?’. Guardiamo al nostro inno nazionale, Hatikva, per esempio. In una strofa parla di questo Paese dove ‘pulsa un’anima ebraica’. Come possiamo pretendere che possa essere cantato dai cittadini arabi? Sembra un dettaglio, ma non lo è. Se vogliamo che venga accettato dagli arabi il nostro inno va cambiato».
03 marzo 2009(ultima modifica: 04 marzo 2009)
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