[b]L'analisi di Bernard-Henri Lèvy

Testata: Corriere della Sera Pagina: 44 Data: 21 febbraio 2009
Autore: Bernard-Henri Lèvy – Titolo: «Quella fatwa su Rushdie e la fine dell'Illuminismo»

Dal CORRIERE della SERA di oggi, 21/02/2009, riportiamo l'articolo di Bernard-Henri Lèvy " Quella fatwa su Rushdie e la fine dell'Illuminismo " sulla vicenda dello scrittore Salman Rushdie, contro il quale l'ayatollah Khomeini ha lanciato una fatwa nel 1989. Ecco l'articolo:

CORRIERE della SERA – Bernard-Henry Lèvy : " Quella fatwa su Rushdie e la fine dell'Illuminismo "[/b]

Me ne ricordo come se fosse ieri. Abbiamo la stessa età. Abbiamo in comune la stessa passione per l'India e anche il privilegio d'aver conosciuto — oltre ad aver scritto di lui nei nostri libri — Zulfikar Ali Bhutto, il padre di Benazir, l'ex primo ministro condannato all'impiccagione. Osservavo da lontano la traiettoria di questo contemporaneo quasi perfetto, quando un giorno di febbraio del 1989 arriva la notizia: l'ayatollah Khomeini, al quale restano pochi mesi di vita, ha promulgato una fatwa che condanna a morte l'autore dei Versi satanici.

Come per tanti altri scrittori, la mia reazione è immediata e in contrasto con la prudenza dei responsabili politici e religiosi di tutto il mondo: solidarietà d'istinto, incondizionata, con il romanziere. E questo perché sento, nello spazio di un attimo, che qualcosa d'essenziale sta avvenendo sotto i nostri occhi, nel furore delle sommosse di Karachi, Delhi o Londra: è in gioco la vita di un uomo, forse; il diritto di un romanziere di continuare a inventare opere di finzione, naturalmente; ma si sta verificando anche un sisma durevole, profondo, nel paesaggio ideologico contemporaneo.
Vent'anni dopo, non ho cambiato parere. Salman è più tranquillo, quasi libero (dico «quasi» perché, sebbene abbia l'eleganza di vivere come se nulla fosse, una fatwa «sospesa» resta purtroppo una fatwa), ma sul problema di fondo non ho modificato di una virgola la mia analisi.

1) La vicenda dei Versi satanici inaugura una serie di passi indietro il cui ultimo esempio è l'episodio delle caricature di Maometto. Certo, le situazioni sono diverse. E non tutti sono Salman Rushdie. Ma l'episodio delle vignette ha provocato lo stesso spavento. La stessa reazione paralizzata dei grandi giornali che, salvo rare eccezioni, si son guardati bene dallo schierarsi con il collega danese vilipeso. E la stessa capitolazione di fronte a gruppi che si attribuivano il diritto di sostituire la loro legge privata alle leggi della Repubblica. In Francia, la rivista Charlie Hebdo ha salvato l'onore.

2) La vicenda segna una svolta nell'idea che ci facevamo del principio di tolleranza. La tolleranza, fino alla fatwa,
era il principio secondo cui la parola della maggioranza doveva rendere giustizia a quella delle minoranze, lasciandole i luoghi in cui esprimersi nello spazio pubblico. Dopo la fatwa, la tolleranza diventa il diritto, per qualsiasi minoranza, di tenere discorsi che sono la negazione dello spirito democratico. Ecco allora che, ad Amsterdam, le opinioni che hanno armato la mano dell'assassino di Theo Van Gogh devono essere tollerate come quelle «provocatrici» del cineasta. Ecco che, a Parigi, il sentimento dei capimafia islamisti «offesi» dall'apostasia di Ayaan Hirsi Ali non è meno accettabile di quello dell'ex deputata che difendeva il diritto, uguale per tutti, di entrare in una religione e di uscirne. Ed ecco, ovunque, il concetto di tolleranza brandito come uno stendardo da chi intende mettere sullo stesso piano le culture dove le donne, per esempio, sono esseri umani in tutto e per tutto e quelle dove sono ridotte a semplici elementi perturbatori di cui bisogna, ad ogni costo, nascondere il corpo e il volto. Culturalismo.
Differenzialismo e relativismo morale. È l'altra eredità dell'affaire Rushdie.

3) La vicenda è il segnale, improvviso, di un vero indietreggiamento dello spirito dei Lumi. Infatti, cos'è l'Illuminismo? Il diritto di credere e di non credere. Il diritto, se non si ha la fede, di deridere la fede altrui. Il diritto alla bestemmia che ha finito per imporsi, non senza fatica, nei monoteismi ebraico e cristiano, ma che resta criminale per coloro che, nell'Islam, e quindi dopo il caso Rushdie, gridano: «D'accordo sulla libertà d'opinione; d'accordo, al limite, sul diritto di non credere; ma a condizione che questo avvenga con delicatezza, evitando che l'idea di Dio sia infangata dal miscredente». Sorvoliamo sulla misera idea che di Dio si fa chi pensa che un caricaturista abbia il potere d'infangarla. Sorvoliamo sul fatto che il vero caricaturista del Profeta, quello che lo offende in maniera più scandalosa, è chi ne fa un vessillo del proprio desiderio di uccidere. La verità è che un mondo in cui non si ha più il diritto di ridere dei dogmi è un mondo impoverito. La verità è che un mondo in cui non ci si potesse più abbandonare alla creatività sarebbe un mondo più asservito. Tempi bui. Incupimento degli animi. Questo è lo spirito del tempo.

4) I primi ad aver voluto bruciare i libri e uccidere gli scrittori non sono stati gli ayatollah? Certo. E questo attacco alla sicurezza dello spirito è, ogni volta, uno degli indicatori che anticipano l'entrata nel regno del peggio. Ebbene, il caso Rushdie è stato uno di questi indicatori precoci. Ha avuto la funzione di segnare la fine del mondo passato. Di segnare una delle date, se non la data, in cui è comparsa la nuova variante del fascismo, che è l'islamofascismo. Ci sono stati l'11 settembre con i suoi tre attentati… La morte di Massud, come prologo… Il martirio di Daniel Pearl, un po' dopo… Gli assassinii di massa in Algeria, un po' prima… Ma la sequenza è cominciata — retrospettivamente, mi sembra d'improvviso chiarissimo — con la condanna a morte di uno scrittore, accusato di aver offeso la lettera del Corano. È una strana avventura, per chi ha affascinato il mondo delle Lettere, rappresentare anche una data buia nella storia delle idee! Così è.

 

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