[b]La groovin’Israel in concerto[/b]

[b]ISRAELE 60 A MILANO celebra in musica i sessant’anni dello Stato d’Israele[/b]

[b]HaBiluim, Boogie Balagan, Shi360, Kruzenshtern & Parohod

Milano, Arena Civica, 11 luglio 2008, ore 21.00[/b]

Per le celebrazioni dei sessant’anni dello Stato di Israele, l’[b]Associazione Culturale Israele60[/b] con il patrocinio del [b]Comune e della Provincia di Milano[/b] offre al capoluogo lombardo, ospite della seconda comunità ebraica per dimensioni in Italia, un evento particolare, al di là delle cornici e dei contesti istituzionali tradizionali.
[b]Con il titolo PASS-OVER! andrà in scena l’11 luglio 2008 a partire dalle ore 21.00 all’Arena Civica di Milano la realtà musicale alternativa di Tel Aviv, e d’Israele.[/b]

Il concerto prodotto da [b]Art&Network[/b] si terrà, per gentile concessione degli organizzatori, in seno alla seconda edizione del [b]Milano Jazzin Festival,[/b] la rassegna musicale promossa dall'assessorato allo Sport e Tempo libero in scena all'Arena Civica dall'8 luglio al 7 agosto.
Sul palco dell’Arena, i gruppi [b]HaBiluim, Boogie Balagan, Shi360, Kruzenshtern & Parohod[/b], quattro distinti e popolarissimi fenomeni musicali nell’ambito della cultura giovanile israeliana, che è fenomeno trasversale purtroppo, precisa [b]Gianni Gualberto Morelenbaum[/b] direttore artistico della manifestazione, “pressoché sconosciuto ad analisti e commentatori politici, più interessati a raffigurare Israele come una sorta di “novella Sparta” del Medio Oriente, potenza regionale e presenza, per alcuni, ingombrante all’interno di un complesso ed ebulliente scacchiere geo-politico”.

“L’età media dei cittadini israeliani è bassa, prosegue Morelenbaum, il numero di giovani è preponderante in una società estremamente dinamica e che trae linfa proprio dalle tensioni e contraddizioni di un’area tormentata. La scena culturale israeliana più viva e vitale, come capita spesso, è quella meno istituzionale: locali come Levontin7 a Tel Aviv sono la punta di un iceberg in cui la sperimentazione, il gesto outré, la critica serrata, la presa d’atto -ora poetica e idealista, ora drammatica e sconsolata- della realtà si sposa a un fremente e quasi unico melting pot in cui la gloriosa mitologia del Sionismo si va progressivamente evolvendo (per alcuni si va stemperando) verso un nuovo modello di società mediorientale, in cui le forti e molteplici tradizioni storico-culturali locali convivono con modelli occidentali riadattati e in continua trasformazione. Un melting pot, si diceva, in cui le basi fondanti di un Ebraismo condiviso dialogano con una popolazione le cui radici culturali risiedono in una molteplicità di luoghi lontani.
Israeliani –ashkenaziti, sefarditi, falash mura, persino indiani, palestinesi, arabi israeliani dialogano e si scontrano all’interno di una nazione che, nell’ultima decade, ha accolto numerosi, per così dire, “extra-comunitari” non necessariamente di religione ebraica: polacchi, filippini, romeni, latinoamericani.
In Israele oggi si vive una esplosiva proliferazione di gesti e progetti d’avanguardia, in cui talvolta è persino feroce la critica (o, al contrario, l’adesione) al modello di nazione ideato dal sionismo storico.
Lo stesso fenomeno è oggi evidente in quella cultura musicale giovanile che dall’esasperata frammentazione cerca motivo di coesione sociale e culturale. Gli strumenti di protesta delle culture africane-americane, dal rap al reggae o all’hip hop, hanno trovato in Israele terreno fertilissimo.

La nuova scena musicale alternativa israeliana narra con immediatezza percepibile da tutta la popolazione giovanile la vita, la vitalità, le tensioni di una gioventù che sogna, crea, progetta e spera in un contesto drammatico, scisso, duro, che avrebbe messo a dura, forse impossibile, prova, qualsiasi altro giovane occidentale. Come canta Shaanan Street, voce solista di uno fra i gruppi storici dell’hip hop israeliano, Hadag Nachash: One is the number of countries from the Jordan to the sea/Two—the number of countries that one day there will be/Three years and four months is the time I must spend in the army/Five shekels buy a bus ticket/I was 6 years old when Sadat came to Israel, 7 when he signed the treaty /Eight is the number of a soccer player I always liked/Nine times was I too close to a terror attack, at least as of now /There are 10 words for Super, the favorite answer to how you doing?
Si tratta di una fra le tante sconosciute facce di Israele, nazione di cui pochi, fra detrattori e sostenitori, conoscono in minima parte la caleidoscopica realtà, prigionieri come sono e siamo dei lanci di agenzia, della retorica unidimensionale, delle analisi politiche e sociologiche più o meno di parte, delle notizie belliche.

È nella fenomenale, intensissima vita culturale che si scopre l’anima d’Israele e, dunque, anche nella da noi misconosciuta cultura giovanile israeliana. Ad un prezioso “scampolo” di essa Israele60 porge, a Milano, riflettori e palcoscenico, allo scopo di illustrare, seppur in minima parte, cosa pensa, come s’interroga, come vive il futuro di Israele quella gioventù che in Europa immaginiamo solo in divisa, mai in panni civili. Il senso di scoperta che ne scaturisce è motivo, al contempo, di interesse e di speranza. E dispiace che non abbia voluto essere presente un gruppo come DAM, complesso arabo-palestinese-israeliano guidato da Tamer Nafar, che nei festival israeliani di hip hop fa sentire la voce, indubbiamente di protesta, della gioventù palestinese e arabo-israeliana.”

[b]HABILUIM[/b]

HaBiluim è un gruppo teatral-musicale, fra rock e polka (!!!), creato nel 1996 dal bassista Noam Inbar e dal chitarrista Yammi Wisler, come reazione alla banalità della scena musicale pop israeliana. HaBiluim canta e narra in modo grottesco la vita di individui nevrotici, che vivono in una società di grandi ideali, cui si contrappongono la realtà della guerra ed i suoi meccanismi. HaBiluim sa anche criticare duramente la società israeliana o affrontare temi profondamente sentiti dai giovani israeliani, come l’aborto. I drammatici contenuti vengono invece ironicamente rivestiti da una brillante musica, spesso da ballo, che affonda le sue radici nel klezmer come nel rock indie e che fa uso di svariate combinazioni di strumenti inusuali, dalla kalimba alla cetra, dal kazoo ad una macchina calcolatrice giocattolo. Nel corso degli anni Hailuim ha ottenuto uno status di “cult group”, esibendosi sia in Israele che a Budapest, Mosca e New York. Il gruppo ha da poco realizzato la sua seconda incisione, curata da Tamir Muskat, produttore discografico di artisti di successo mondiale come Big Lazy e Balkan Beat Box.

[b]SHI360[/b]

Shi360 nasce a Montreal, per poi trasferirsi in Israele, dove allaccia un sodalizio con Subliminal, uno fra i più noti rapper israeliani. Insieme incidono l’EP TACT, nel 1996. Tre anni dopo Shi realizza la prima incisione a proprio nome, Linguistiks e nel 2001, anno in cui compie Aliya, presenta il primo progetto solista, Chapters.
Assieme a Subliminal, Shi produce il primo programma radiofonico israeliano dedicato all’hip hop e all’hip hop in Israele. Al contempo, collabora come MC a spettacoli dal vivo con lo stesso Subliminal e con altri protagonisti della scena musicale israeliana come Kele6 e Mesika.
Nel 2003 Shi pubblica la prima antologia hip hop israeliana: 360 Degrees in the Shade. Dopo un periodo di silenzio, in cui si sottopone a ben quattro interventi chirurgici a cuore aperto, ritorna sulle scene, realizzando il suo primo progetto discografico interamente in ebraico, Chai, ottenendo un vasto consenso di critica e pubblico.
Collaboratore di artisti come 50 Cent e Young Buck, nonché produttore di giovani artisti israeliani come Yamanz, Sky Hai-mondo e Liri, Shi360 si batte per la qualità, estetica e sociale, della scena hip hop israeliana.

[b]BOOGIE BALAGAN[/b]

Boogie Balagan è un duo che si autoproclama di nazionalità “palestisraeliana” e che fonde suoni e colori mediorientali con l’estasi vibrante del rock per veicolare il proprio messaggio di pace e per abbattere le barriere culturali, linguistiche e fisiche in Medio Oriente. Il loro primo album, Lamentation Walloo esprime chiaramente tale volontà pacifica e multiculturale: una voce che pare quella di un Julio Iglesias ubriaco di tequila, o quella di un Joe Strummer ingozzato di harissa, si accompagna al suono di una chitarra che sembra quella di un Jimmy Page mediterraneo intento a imitare con il suo strumento il suono di un bouzuki. A tutto ciò si aggiunga un ritmo incalzante e il suono delle mani che lo scandiscono: si avrà l’immagine di un T-Rex che fuma una pipa ad acqua a Gaza, o di Farid el Atrash che si esibisce insieme ai New York Dolls.
Il termine ebraico “balagan” sta per confusione, “casino”: un boogie balagan è, dunque, un “casino boogie”. Dal Sinai a Muddy Waters i Boogie Balagan hanno creato un cuscus musicale marinato nella musica araba degli anni Settanta e condito con spezie ebraiche e rock, in cui i ritmi mediorientali si fanno eredi del blues di Robert Johnson. Versi in francese, ebraico, arabo, greco e inglese parlano della pace futura e vengono rivestiti da un dialetto creativo urbano che intende usare il rock come arma di pace fra israeliani e palestinesi: We feel that we just have to stop lamenting our fate. We would like to cross walls with music and songs. The aim is to show that by mixing lyrics and languages, as opposed to mixing with each other because we are restrained, the message can be carried out in a cheerful way. We are a bit nostalgic of the time when we were all working together back there and when we would share a watermelon in the break…And music-wise it was the same, with the Palestinians who worked in Israel, we used to jam all night by kitchens sharing the “hafla”, the party…

[b]KRUZENSHTERN & PAROHOD[/b]

Un trio, fra balalaika, voci, clarinetto, fisarmonica, basso, batteria, che non è certo estraneo alla Radical Jewish Culture già testimoniata da John Zorn. K&P, artisti israeliani di origine russa, rappresentano una fra le più peculiari realtà della scena punk e hardcore israeliana, autori di una musica che schizofrenicamente oscilla fra momenti di esaltata aggressività ad altri di straordinario lirismo. Pochi gruppi musicali sono in grado di offrire un quadro così aderente alla frammentazione della società israeliana e, allo stesso tempo, alla sua coesione culturale. Artisti di eccezionale virtuosismo strumentale, K&P realizzano una sofisticatissima fusione fra jazz, klezmer, punk, minimalismo e rock alternativo, pur mantenendo un’inconfondibile fisionomia ebraica in un contesto volutamente caotico, che si pone a un crocevia fra le vite culturali di Tel Aviv e di New York e che espone molteplici influenze, dal Clusone Trio ad Han Bennink, da Soft Machine alla Cracow Klezmer Band o Naftule’s Dream.

[b]PASS-OVER!
Arena Civica di Milano, Ingresso Trionfale – lato via Legnano – 11 luglio 2008 ore 21.00[/b]

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