Intervista a Daniel Pipes di Stefano Magni
[b]Intervista a Daniel Pipes, esperto di Medio Oriente:
Terrorismo islamico, questo è il suo nome
Stefano Magni L'Opinione delle Libertà 2 dicembre 2008[/b]
I terroristi che hanno colpito Mumbai volevano fare almeno 500 vittime. In attesa di rivendicazioni attendibili e dei risultati delle indagini, sappiamo solo (dall'interrogatorio dell'unico superstite degli assalitori) che il commando si è addestrato in Pakistan. E' dunque un'operazione coperta pakistana? O si tratta di servizi segreti deviati, che hanno agito all'insaputa del governo? Oppure è sempre Al Qaeda, che delle regioni occidentali pakistane ha fatto il suo baluardo principale? "Per ora è ancora molto difficile avere una risposta. Ma non è tanto importante sapere l'esatta matrice di questo attacco, quanto ribadire sin da ora che: si tratta di terrorismo islamico. Sono sostenitori dell'Islam radicale che hanno organizzato questa azione offensiva e il loro obiettivo finale è sempre l'instaurazione della legge coranica: la sharia". A rilasciarci questa dichiarazione "politicamente molto scorretta" è Daniel Pipes, storico statunitense e uno dei maggiori esperti di Medio Oriente. Lo abbiamo incontrato a Senago (Milano) in occasione del Festival della Modernità di Spirali. Proprio all'indomani dei fatti di sangue indiani.
[b]Il terrorismo islamico è difficile da comprendere. Ci si divide ancora tra chi sostiene che sia uno strumento nelle mani di Stati islamici che vorrebbero dichiarare guerra agli Usa, ma non ne hanno i mezzi. E chi invece sostiene che si tratti di un fenomeno transnazionale del tutto fuori controllo politico. Lei per quale tesi propende?[/b]
Entrambe le cose. Nessuno Stato al mondo è attualmente in grado di sfidare gli Stati Uniti. Nessuno è in grado di preparare seriamente piani per una guerra convenzionale contro le potenze occidentali. Nessuno ha navi, aerei, carri armati e tecnologia sufficienti a battere le forze armate degli Usa. In questo caso, gli Stati che vogliono sfidare la prima potenza mondiale ricorrono al terrorismo, una scorciatoia sempre pronta. O cercano di dotarsi di armi di distruzione di massa. Ma anche i singoli gruppi, non governativi e fuori legge, che vogliono dichiararsi nemici delle grandi potenze, per la loro ideologia, sono sempre ricorsi al terrorismo. Non c'è niente di nuovo in tutto questo. Nei secoli, gruppi politici antagonisti (anarchici, indipendentisti, estremisti di destra e sinistra) hanno fatto ricorso ai metodi terroristici.
[b]La dottrina Bush si basava sull'esportazione della democrazia per estirpare il terrorismo alla radice. A sette anni dal suo inizio, si contano più successi o insuccessi?[/b]
Io sono convinto che l'esportazione della democrazia sia la missione dell'America nel mondo da quasi un secolo, non dagli ultimi sette anni. E' dalla proclamazione dei Quattordici Punti del presidente Woodrow Wilson, nella I Guerra Mondiale, che l'America si è impegnata in questa politica. Ha avuto successo: l'Italia democratica è uno degli esempi più evidenti. L'area più difficile per la democrazia è sicuramente il Medio Oriente. Gli Usa non hanno mai provato ad estendere la loro strategia a quella zona del mondo. Il presidente Bush, dopo l'11 settembre, è stato il primo a tentare di estendere la politica americana anche a quell'area. Io ero d'accordo allora con quella decisione e lo sono tuttora. L'idea di base è molto buona. Penso solo che finora sia stata condotta con moltissime lacune: con poche informazioni, con troppa fretta e in un modo a dir poco impaziente.
[b]Qual è il bilancio militare di sette anni di guerra al terrorismo?[/b]
Purtroppo abbiamo a che fare con un nemico che non ha un territorio, né un esercito vero e proprio. E' dunque impossibile misurare il successo in base ai parametri tradizionali (territorio conquistato e perdite inflitte). Il terrorismo mira a influenzare l'opinione pubblica. E su questo piano, la guerra non sta andando così bene. L'errore principale è la mancanza di volontà , da parte di accademici, politici e media, di nominare il nemico. Il nemico è l'Islamismo, il radicalismo islamico. Se non si può, non si riesce o non si vuole puntare il dito contro il proprio avversario, non lo si può nemmeno sconfiggere. L'espressione "guerra contro il terrorismo" è sbagliata: si indica il mezzo usato dal nemico, non il nemico stesso.
[b]La vittoria di Obama è il segnale che gli americani vogliono la fine della guerra all'Islamismo?[/b]
Nel 2004, Bush vinse con sei punti di vantaggio su Kerry. Oggi Obama vince con cinque punti di stacco. Non sono quei cinque-sei punti di distanza che fanno una svolta. E tra l'altro nella campagna elettorale la guerra al terrorismo è stata l'ultima delle priorità : era l'economia a far la parte del leone. Barack Obama, nel corso delle elezioni primarie, si è presentato all'elettorato come un radicale, con idee sulla politica estera vicine alla sinistra pacifista. Dalle sue dichiarazioni in campagna presidenziale e dalle scelte che ha fatto nella sua squadra, direi invece che si sta avvicinando di più alla politica realista (simile a quella di Bush senior, ndr). Io, francamente mi considero più vicino agli idealisti, a chi vuole esportare la democrazia. Ma anche il realismo politico si è rinnovato e ha i suoi punti di forza. Molto meglio avere un realista alla Casa Bianca che un membro della sinistra ideologica, come temevamo.
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