Da Camp David ad Annapolis
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[size=14][b]Da La STAMPA del 27 novembre 2007, l'opinione di Abraham B. Yehoshua sulla Conferenza di Annapolis
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Ora che gli occhi di tutti, in Israele e forse anche nel mondo arabo, sono puntati con speranza ma anche con grande incertezza sul vertice di Annapolis, ricordiamo con nostalgia la sorprendente visita del presidente egiziano Sadat in Israele nel novembre 1977, considerata una svolta drammatica e unica nella storia della diplomazia e che anticipò la firma di un trattato di pace tra Israele ed Egitto.
In questi giorni la televisione israeliana trasmette le immagini dell’aereo presidenziale egiziano all’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv e del presidente Sadat che scende emozionato dalla scaletta sulle note dell’inno nazionale israeliano. La visita fu organizzata in fretta e furia. Sadat annunciò a sorpresa la sua intenzione di recarsi in Israele al Parlamento egiziano e, pochi giorni dopo, quando ancora israeliani, egiziani e tutto il mondo arabo faticavano a digerire il drammatico annuncio, già era atterrato in Israele. Io e tutti i miei connazionali seguimmo la visita di questo leader coraggioso con sincera commozione e lacrime di gioia. Avevo sempre creduto che sarebbe arrivato il giorno in cui gli arabi avrebbero riconosciuto lo Stato di Israele e concluso la pace con noi, ma non credevo che la cosa sarebbe avvenuta nell’arco della mia vita. Ma ecco che si avverava.
I punti principali dell’accordo erano stati concordati prima della visita di Sadat, destinata più che altro a forzare un blocco psicologico nella coscienza degli israeliani. Tali punti prevedevano la restituzione di tutto il deserto del Sinai e la sua smilitarizzazione in cambio di una normalizzazione dei rapporti tra Egitto e Israele. Il primo ministro israeliano, Menachen Begin, nutriva la speranza che lo Stato ebraico potesse mantenere il controllo di alcuni insediamenti in terra egiziana, nella regione di El Arish, ma Sadat si oppose con un categorico rifiuto, e a ragione. La terra è anche identità e non c’era motivo che l’Egitto rinunciasse a una parte del suo territorio (seppur minima) a favore di Israele.
Non tornerò sulla storia del negoziato, che fu sofferto e complesso nonostante i punti principali fossero stati fissati a priori. Su pressione di un movimento popolare fondato nel 1978 e denominato «Peace Now» il governo israeliano ricevette un messaggio imperativo: negoziate finché volete le condizioni della pace, ma non perdete assolutamente l’occasione di concluderla adesso. Laddove la parola chiave era «adesso». L’allora ministro degli Esteri, Moshe Dayan, e quello della Difesa, Ezer Weizmann, si unirono di fatto a quella richiesta e la pressione da loro esercitata convinse Menachem Begin a rinunciare agli insediamenti israeliani nel Sinai e l’accordo di pace fu firmato sul prato della Casa Bianca.
L’intesa con il più grande Stato arabo avrebbe potuto già allora, nel 1979, innescare un processo di pace con tutte le nazioni arabe, se non che Menachem Begin, che ottenne il premio Nobel per la pace per quell’accordo, commise tre errori gravissimi che influirono sulla dinamica degli eventi e fecero precipitare la regione in altre guerre e scontri. Sia Ezer Weizmann che Moshe Dayan, rendendosi conto della pericolosa direzione intrapresa da Begin, rassegnarono le dimissioni dal governo poco tempo dopo la firma dell’accordo con l’Egitto.
Begin, leader della destra, uomo dalla personalità complessa e con tendenze maniaco-depressive, nominò come ministro della Difesa una personalità estremista e pericolosa: Ariel Sharon, e decise, innanzi tutto, di annettere formalmente le alture del Golan come risarcimento per la rinuncia al Sinai. In questo modo allontanò la Siria da una posizione di potenziale partner a una di ostilità totale e rinsaldò il suo sostegno a Hezbollah in Libano e al movimento palestinese di Hamas. Avendo inoltre sancito l’annessione del Golan con una legge abrogabile solo grazie a una maggioranza relativa della Knesset, ecco che ogni negoziato con la Siria rimane ancora oggi estremamente problematico.
In secondo luogo disseminò di colonie la Cisgiordania e la striscia di Gaza compromettendo ogni futura possibilità di creare uno Stato palestinese e rendendo molto complessa un’eventuale soluzione del problema. Se gli americani avessero impedito a Begin di procedere a suo tempo col suo grandioso programma di insediamenti, si sarebbero risparmiati il costante e trentennale andirivieni di segretari di Stato nel tentativo di giungere a un accordo.
In terzo luogo nel giugno 1982 Begin scatenò la prima guerra del Libano, un conflitto disastroso e sanguinoso che portò alla creazione dell’organizzazione estremista sciita Hezbollah e impegnò Israele in duri scontri. L’intenzione era di scacciare i miliziani dell’Olp dal Libano e l’obiettivo fu raggiunto a un grave prezzo. I miliziani dell’Olp fuggiti in Tunisia fecero ritorno nei territori occupati della Palestina dopo gli accordi di Oslo. Abu Mazen, l’attuale partner palestinese per un eventuale accordo di pace con Israele, è uno di loro.
Un anno dopo l'invasione del Libano, dinanzi alle ingenti perdite israeliane, Begin, riconoscendo probabilmente l'errore commesso, rassegnò le dimissioni dal governo e si rinchiuse, depresso e solitario, nella sua casa.
Sadat fu assassinato al Cairo da un fanatico musulmano per l’accordo di pace firmato con Israele e per la modernizzazione che aveva portato al suo Paese. Era un leader audace, idealista, che assumendosi dei rischi e prendendo un’iniziativa di profonda portata storica contribuì alla pace mondiale. A differenza di lui Menachem Begin non solo non seppe sfruttare l’intesa con l’Egitto per giungere a una rappacificazione dell’intera regione, ma la trasformò in un alibi col quale proseguire una politica distruttiva e sanguinosa. I suoi successori al governo dovranno lavorare sodo per rimediare ai suoi errori.
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