«Palestinesi sull'orlo del suicidio»
[b]L'analisi di Franco Venturini sul "suicidio"palestinese, pubblicata dal CORRIERE della SERA del 25 maggio 2007 [/b]
Oltre a missili e bombe, gli israeliani e i palestinesi sembrano intenti a scambiarsi paradossali favori politici. Nessuno dei quali, purtroppo, è destinato a frenare il conto alla rovescia che spinge il Medio Oriente verso la più grave delle sue crisi.
Ieri le forze israeliane hanno arrestato una trentina di esponenti di Hamas tra i quali figura un ministro in carica. La misura è stata decisa nell'ambito delle risposte di Gerusalemme al lancio di razzi Qassam contro il Negev,ma al di là delle Nuove polemiche internazionali derivanti dalla linea dura nei confronti di politici eletti, e soprattutto un parziale ricompattamento tra le fazioni palestinesi che fino a ieri si facevano la guerra. Gli avversari di Israele ringraziano, così come ringraziano, per gli stessi motivi, ogni qualvolta la reazione militare di Tsahal appare sproporzionata all'offesa.
Eppure erano stati proprio i palestinesi, nelle scorse settimane, a fare a Israele il regalo più grande e probabilmente più durevole. A Gerusalemme il governo Olmert barcollava sotto l'esemplare severità della commissione d'inchiesta sulla condotta della guerra in Libano. L'espansionismo sciita promosso dall'Iran aveva finalmente scosso le capitali arabe sunnite, inducendo Ryad a rilanciare un tentativo negoziale. Gli stessi sauditi avevano promosso la rinascita del governo palestinese di unità nazionale tra Fatah e Hamas, incontrando l'appoggio di principio degli europei ma anche, quel che più conta, quello di un Bush bisognoso di successi per bilanciare la catastrofe irachena. Sembrava, insomma, che la trattativa israelo-palestinese dovesse tornare alla ribalta, e questa volta era la parte israeliana ad apparire sotto pressione.
Ebbene, come hanno reagito i palestinesi a questa non trascurabile opportunità ? Riaccendendo la sanguinosa faida armata tra Hamas e Fatah, portando Gaza assai vicino alla guerra civile, riprendendo (da parte di Hamas) il lancio dei razzi Qassam contro Sderot e dintorni, svuotando insomma con i loro odii intestini non soltanto le iniziative di pace appena accennate ma anche l'immagine della causa palestinese già macchiata dal terrorismo.
Fu Israele, in quella circostanza, a ringraziare sentitamente. E se oggi i palestinesi sembrano essersi fermati sull'orlo del suicidio politico e provano di nuovo a parlarsi, il loro autolesionismo non è per questo sparito. Chi può essere, oggi o domani, un interlocutore palestinese credibile di Israele o di altri? Quali prospettive rimangono al progetto di un pacifico Stato palestinese accanto a quello israeliano? Quanto spazio viene lasciato agli sforzi sauditi, o alla voglia di compromesso di Bush e degli europei?
Di «favore» in «favore» il Medio Oriente si dibatte ormai in un vuoto di strategie che annuncia il peggio. I palestinesi sono stretti tra il rifiuto di Hamas di riconoscere Israele, la disperazione quotidiana alimentata dal conseguente embargo occidentale e la delegittimante frattura tra Fatah e Hamas certamente destinata a riesplodere. Israele incassa i doni e ne fa di più piccoli, ma anche a Gerusalemme mancano visioni per il futuro diverse dal ricorso alla forza punitiva. E intanto in Libano (dove, ricordiamolo, sono presenti le forze di pace italiane) si attende con il fiato sospeso una nuova esplosione, l'Iran mantiene il suo controllo su Hezbollah e continua a sfidare l'Onu sul nucleare, la Siria non abbandona le sue mire sul Libano, i governi arabi sunniti si sentono in pericolo e George Bush prevede, come ha fatto ieri, un ulteriore aggravamento della mattanza irachena nei prossimi mesi.
L'eterno conflitto israelo-palestinese, così, diventa soltanto un trampolino di lancio del caos a venire. Si parla di forze di pace o di interposizione nei Territori, ma l'attuazione di un simile progetto richiederebbe un Medio Oriente diverso. Per evitare il baratro serve piuttosto coraggio politico: quello di Bush che non dovrebbe rassegnarsi, quello di Hamas che dopo aver vinto le elezioni dovrebbe scoprire il pragmatismo dei governanti, quello di Olmert che secondo Maariv sarebbe orientato a giocare la carta della pace con la Siria. Più coraggio e meno favori, questa è l'ultima spiaggia.
considerazioni di sicurezza due conseguenze appaiono inevitabili.
http://www.informazionecorretta.it/main.php?mediaId=2&sez=110&id=20631
www.corriere.it
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