[b]ecco il giornali che hanno cambiato le carte in tavola

Testata:La Stampa – Corriere della Sera – La Repubblica – L'Unità – Il Manifesto – Liberazione
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[b]Autore: Riccardo Barenghi – Gianna Fregonara – Alessandra Longo – Natalia Lombardo – Umberto De Giovannangeli – Stefania Podda
Titolo: «“Bertinotti, sei di parte” – Ebrei italiani in Israele «Processo» a Bertinotti – «Voi di sinistra, antisemiti» – Bertinotti sotto accusa in Israele – Un «processo politico». – La comunità israeliana-italiana contro Bertinotti e la sinistra»

Un Bertinotti amico di Israele , ingiustamente criticato, emerge dalla cronaca di Riccardo [b]Barenghi pubblicata dalla STAMPA del 9 maggio 2007.
Ma l'attribuzione a Israele di un valore "simbolico" è un riconoscimento ambiguo: Israele è fatto da persone concrete, le cui vite sono minacciate, non di simboli.
L'impegno a sbloccare i finanziamenti al governo palestinese, la difesa della politica estera di D'Alema, "equivicina" tra Israele e i terroristi di Hezbollah e Hamas, il paragone tra la barriera di sicurezza e il muro di Berlino, invece, sono fatti politici assolutamente non ambigui.
Che chiariscono bensissimo da che parte stia Bertinotti.

Ecco il testo:[/b]

Se Fausto Bertinotti voleva una prova concreta di quanto sia difficile mettere d'accordo israeliani e palestinesi, ieri l'ha avuta. Sulla sua pelle. Un giornata difficile per il Presidente della Camera, contestato a poche ore di distanza sia dai palestinesi che dagli ebrei italo-israeliani.
L'episodio più clamoroso è quello avvenuto dentro la nostra Comunità ebraica, dove il presidente Vito Alam ha attaccato duramente la sinistra italiana e i suoi giornali, accusando tutti «di parzialità» e chiedendo «che si segnali almeno una volta il modo in cui i palestinesi vengono curati ed assistiti negli ospedali israeliani…che si soppesi la cultura della vita contrapposta alla cultura della morte, che si condanni chi mette i bambini in prima fila a tirare sassi ai tanks per favorire gli incidenti e generare l'impatto mediatico efficacissimo di un esercito cinico che spara ai bambini». Bertinotti si innervosisce, ma il discorso non è finito: Alam attacca anche D'Alema che ha parlato di equivicinanza e infine si appella al Presidente della Camera affinché «si adoperi per un riequilibrio dell'informazione in Italia e, come autorevole rappresentante della sinistra italiana, di operare concretamente per il superamento del pregiudizio cui contribuisce anche la scarsa conoscenza della realtà israeliana».
Lo strappo politico e anche istituzionale è palese, ma non è l'unico. Parla anche il Presidente del Comites, gli italiani all'estero. Si chiama Beniamino Lazar e legge una lettera di un altro ebreo italo-israeliano, Sergio Della Pergola, un famoso demografo con una storia di sinistra. E qui l'attacco arriva «dall'interno»: «Trent'anni fa l'89 per cento di noi era di sinistra mentre alle ultime elezioni la destra ha preso il 60 per cento. Eravamo uniti dall'antifascismo, tra noi c'era una sorta di idillio. Poi è successo qualcosa». Secondo Della Pergola è successo «che via via la sinistra italiana ha fatto sua la posizione araba e poi palestinese. E che ha operato una sorta di pulizia etnica degli ebrei che militavano al suo interno». E ancora, «dopo la strage di Sabra e Chatila una manifestazione è passata sotto la Sinagoga di Roma e una settimana più tardi c'è stato l'attentato palestinese con l'uccisione di un bambino…». L'allusione è micidiale, Bertinotti scuote la testa, è furioso. L'ambasciatore italiano Sandro De Bernardin interrompe l'oratore.
È il momento della replica: «Ho provato una forte emozione a entrare nella vostra Sinagoga…un'emozione che si è arrestata davanti alle parole che ho appena sentito. Non posso rispondere a nome della sinistra italiana, ho un ruolo che non me lo consente. E tantomeno faccio appelli alla stampa. Se volete potete invitare i leader della sinistra a discutere con voi, oppure aspettare la fine del mio mandato». Ma una cosa nel merito la vuole dire, e cioè che «la formula dell'equivicinanza usata da D'Alema è intelligente, parla il linguaggio del dialogo e del rispetto». Non solo: «Sono reduce dai campi palestinesi e penso che quel popolo meriti una qualche comprensione. Il futuro vive nel riconoscimento reciproco».
L'incidente lascia tutti attoniti, l'ambasciatore è contrariato: «una pugnalata più a me che a lui». Bertinotti dice che non si «aspettava niente di simile, ci troviamo di fronte a due popoli che hanno entrambi ragione. Ma se esci dall'ufficialità e non dai ragione al tuo interlocutore, sei morto… Qui non potevo replicare, comunque mi sono difeso». Risponde anche a chi gli chiede cosa pensi della frase di Napolitano sull'antisemitismo figlio dell'antisionismo: «L'antisemitismo è un pericolo immanente ma non si può fare un referendum su ogni dichiarazione del Capo dello Stato. Semmai una riflessione storica». Un modo gentile per dire che non è d'accordo.
E pensare che poco prima, all'Università palestinese di Al Quds, dove il Muro incombe, Bertinotti era stato attaccato per ragioni opposte: «Non potete farci pagare il vostro senso di colpa per l'Olocausto». Ma lui aveva detto che «Israele è oggi una realtà storica carica di valori simbolici. Quindi o il valore della Palestina vive insieme al valore di Israele, oppure l'esito sarà la catastrofe».

[b]La cronaca di Gianna Fregonara sul CORRIERE della SERA esprime un chiaro giudizio negativo verso i rappresentanti della Comunità ebraica italiana a Gerusalemme: "Hanno di fronte il presidente della Camera ma lo trattano come se fosse il segretario di Rifondazione".
Ma come Presidente della camera Bertinotti avrebbe potuto benissimo condannare la parzialità antisraeliana, così come il Presidente della Repubblica ha condannato l'antisionismo.
Invece ha scelto di difendere la stampa che disinforma di Israele e la politica di D'Alema.
Ecco il testo:[/b]

GERUSALEMME — Hanno di fronte il presidente della Camera ma lo trattano come se fosse il segretario di Rifondazione. La rabbia contro la sinistra filopalestinese, la frustrazione accumulata in questi anni, il dolore e anche le convizioni politiche dei rappresentanti della Comunità ebraica italiana a Gerusalemme trasformano l'incontro con Fausto Bertinotti in un ring. Al tappeto vorrebbero mettere lui, ma l'ex leader di Rifondazione ha buon gioco a rinviare lo scontro «alla fine della legislatura quando non sarò più in una veste istituzionale e potrò dialogare con voi». Impietrito resta l'ambasciatore Sandro De Bernardin: «È una pugnalata contro di me, del resto quando gli dei accecano…», dice sconsolato.
Bertinotti parla di «sgrammaticatura» e cita De Gasperi alla conferenza di pace di Parigi: «Trovo tutto contro di me tranne la vostra personale cortesia». Ma non se la cava solo con una battuta. Ai suoi interlocutori che gli chiedono di sottoscrivere le parole del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che ha equiparato antisionismo e antisemitismo, replica a distanza senza concedere nulla: «Eviterei i referendum sulle parole del Presidente. L'antisemitismo strisciante va combattuto sul terreno politico e culturale. Sulla storia però discutiamo».
Quando arriva alla sinagoga italiana, il clima sembra sereno. Prima le strette di mano di rito, poi una spiegazione storico- artistica. I presenti notano che Bertinotti non si mette la kippah in testa. Nella saletta dei discorsi ufficiali, lì a fianco, è apparecchiato un buffet ghiotto per l'aperitivo. Ma appena prende la parola Vito Anav, il presidente dell'associazione degli ebrei italiani di Gerusalemme, si capisce che è pronto per Bertinotti un elenco impietoso di proteste e rivendicazioni. Al presidente della Camera Anav chiede nell'ordine di «correggere i pregiudizi della gran parte della sinistra italiana sul conflitto arabo-israeliano, di intervenire contro «la quotidiana parzialità da parte della stampa di sinistra», di denunciare le menzogne sullo status dei palestinesi in Israele, di protestare presso D'Alema che parla di equivicinanza perché «non si può usare lo stesso metro per la democrazia e il fondamentalismo». Alla fine dell'elenco, Bertinotti si alza per rispondere, in un clima già vistosamente gelido. Ma non è finita: ad attenderlo una seconda raffica di proteste. Sono di Sergio Della Pergola, insigne demografo e membro ascoltato della Comunità. Le ha lasciate scritte, perché è partito per motivi familiari. Si incarica di leggerle Beniamino Lazar, altro leader storico e oggi presidente dei Comites, cioè rappresentante di tutti gli italiani in Israele.
Parla del «tradimento» da parte della sinistra dopo la guerra dei sei giorni: «Dal '68 c'è stata una vera e propria pulizia etnica nelle file dei parlamentari della sinistra». Bertinotti ha un primo gesto di stizza. Si prosegue, quando sembra che le parole di Dalla Pergola assegnino la responsabilità morale dell'attentato alla sinagoga dell'82, interviene l'ambasciatore.
Bertinotti fa segno di proseguire. Poi tocca a lui. Dal palchetto difende la politica dalemiana dell' «equivicinanza», spiega che non può né vuole «intervenire presso la stampa», rivendica le posizioni che ha sostenuto negli ultimi anni: «Le mie tesi sono conosciute e non ho motivo di pentirmene». Sceso dal palco Bertinotti è incredulo: «Non me l'aspettavo. La cosa assurda è che entrambi, israeliani e palestinesi, hanno ragione. Ma da queste parti se non dai ragione al tuo interlocutore, sei morto….letteralmente», scherza. Si riferisce al fatto che per aver citato Auschwitz e il fatto che Israele non solo è «una realtà storica che si è caricata anche di valori simbolici» ma è uno stato come gli altri «perché nella formazione di ogni Stato nazionale c'è un peccato di nascita» in una conferenza all'Università palestinese di Al Quds, si è preso una rispostaccia dall'ex sindaco di Gerico Sami Musallam: «Se l'Europa ha un problema per le violenze che ha fatto agli ebrei, non lo risolva a spese nostre».

[b]Il CORRIERE riporta due fotografie, con una didascalia molto significativa:[/b]

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[b]IL VIAGGIO A sinistra, il presidente della Camera Fausto Bertinotti con la kefiah, sciarpa indossata dai palestinesi. Sopra, ancora Bertinotti mentre prende la parola nella sinagoga italiana, senza indossare sul capo la tradizionale kippah

"Lo hanno scortato con gentilezza fin dentro l´antica sinagoga di Gerusalemme, e poi, al momento dei convenevoli, hanno sferrato il loro attacco" scrive Alessandra Longo sulla REPUBBLICA . Gli ebrei italiani a Gerusalemme avrebbero intentato contro Bertinotti un "processo a freddo".
Ecco il testo:[/b][/b]

GERUSALEMME – Lo hanno scortato con gentilezza fin dentro l´antica sinagoga di Gerusalemme, e poi, al momento dei convenevoli, hanno sferrato il loro attacco. Gli ebrei italiani di Gerusalemme e Fausto Bertinotti, presidente della Camera: più che un incontro, quello di ieri, è stato un processo a freddo, esteso anche a «certa stampa». Tanto per rendere l´idea ecco una delle accuse: dalla guerra dei Sei giorni in poi, la sinistra italiana sarebbe diventata così ostile a Israele da «operare una pulizia etnica nelle file dei propri parlamentari», escludendo gli ebrei.
L´ambasciatore italiano, Sandro De Bernardin, a evento consumato, commenta: «E´ stata una coltellata, in primis a me ».
Tre i protagonisti della giornata: Vito Anav, presidente degli ebrei italiani di Gerusalemme, Beniamino Lazar, presidente del Comites, l´organismo che rappresenta tutti gli italiani residenti in Israele, anche non ebrei, e il professor Sergio Della Pergola, illustre demografo, il quale, assente, ha fatto leggere il suo j´accuse a Lazar. Attacco concentrico. «Benvenuto, presidente, a Gerusalemme, capitale dello Stato d´Israele – è l´esordio di Anav – ci auguriamo che la sua visita possa servire a correggere alcuni dei pregiudizi sul conflitto arabo-israeliano sui quali gran parte della sinistra italiana, di cui lei è stato autorevole rappresentante, fonda le sue prese di posizione». Non importa se poi nel frattempo Bertinotti è diventato altro. Qui c´è l´occasione aspettata da tempo, il malumore di parte della comunità ebraica italiana contro la sinistra che si riverbera fino alla sinagoga di Gerusalemme.
Janav attacca subito «la stampa di sinistra» e chiede a Bertinotti: «Lei può fare qualcosa per riequilibrare l´informazione? Perché sui giornali non si soppesa mai a sufficienza la cultura della vita contrapposta alla cultura della morte, anzi si fa il trucco mediatico dei buoni e dei cattivi, dei bimbi palestinesi che tirano sassi ai tanks?». E poi l´attacco a D´Alema. «Come si fa a parlare di equivicinanza, a mettere sullo stesso piano il governo palestinese con quello israeliano, il fondamentalismo con la democrazia?».
Bertinotti si irrigidisce. Al microfono va ora Lazar con il saggio di Della Pergola in mano. Anche lui parla come se avesse davanti il leader di Rifondazione. «Grazie a Berlusconi», dirà il presidente del Comites più tardi off records, i rapporti fra Italia e Israele sono ottimi. Il processo va dunque fatto a Bertinotti. Deve spiegare come mai gli ebrei italiani di Israele nel 1975 si collocavano all´80 per cento a sinistra e, invece, adesso, alle ultime elezioni, hanno votato per il 60 per cento a destra. «La verità dice – della Pergola – è che dal ‘67 in poi sono stati perseguitati». Nel testo che legge Lazar c´è una citazione di Chabra e Shatila e della manifestazione di protesta che ne seguì, a Roma, davanti alla sinagoga. Quella stessa sinagoga, diventa oggetto dell´attentato (ottobre 1982) in cui muore il piccolo Stefano Taché. Bertinotti scuote la testa, l´ambasciatore fa cenno di chiudere. «Visto che ha iniziato, lo lasci pure parlare», dice il presidente della Camera. Quando tocca a lui è tranchant: «Ero venuto qui con emozione, me l´avete arrestata. Non sono nella condizione di rispondere alla pari, visto il mio ruolo. Non posso e non voglio fare appello alla stampa, che è libera di scrivere quello che vuole. Se volete ragionare sulla sinistra italiana, dovete invitare i suoi leader o aspettare che io finisca il mandato». E ancora: «Quando la comunità ebraica italiana mi ha invitato, ho espresso le mie posizioni sempre improntate al dialogo e certo non me ne pento oggi. Qui io non rappresento nemmeno il governo, però vi dico che il concetto di equivicinanza espresso da D´Alema è un´idea intelligente, di buona volontà, che parla per la pace».
L´ostilità che respira gli fa citare le famose parole di De Gasperi: «Sento di aver tutto contro di me tranne la vostra personale cortesia».
Nel giardino della sinagoga, il commiato è gelido, l´ambasciatore imbarazzato, Bertinotti si dice sorpreso da tanta «aggressività verbale mal indirizzata». La moglie Lella si sfoga: «Non ho parole». C´è anche delusione. Pensare che su Israele, sul suo diritto a esistere, Bertinotti aveva parlato, in mattinata, citando anche Auschwitz, nella cornice più scomoda, all´università palestinese di Al Quds, circondata e imprigionata dal muro voluto da Sharon. Loro, i palestinesi, avevano reagito, ma nello schema del dialogo: «Presidente, l´Europa ha creato l´Olocausto, noi non possiamo pagarne il prezzo. Altro che due stati due popoli, Israele mira ad uno Stato unico, razzista». A fine giornata, Bertinotti, sponsor della trattativa, del dialogo, scuote la testa: «Appena si esce dagli incontri ufficiali e non dai ragione ai tuoi interlocutori, sei morto».

[b]Di agguato e imboscata scrive Natalia Lombardo sull'UNITA'
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«UN AGGUATO, un’imboscata…»: la sorpresa e l’indignazione è a fior di pelle nella Sinagoga italiana a Gerusalemme: Fausto Bertinotti ha subito un attacco durissimo da parte degli Ebrei italiani in Israele e dal Comites, che gli hanno buttato addosso, come
ex segretario di Rifondazione, un’accusa a tutta la sinistra italiana: è filopalestinese e avrebbe fatto negli anni una «pulizia etnica» degli ebrei in Parlamento (tranne Umberto Terracini). Un trattamento che non è stato riservato neppure a Fini, tantomeno a D'Alema. Quasi con rabbia gli ebrei italiani hanno preso di mira Bertinotti come icona di una sinistra traditrice. Lui, sorpreso e furibondo, ha respinto la cannonata con durezza: «Ho avuto una grande emozione entrando qui, ma è stata spezzata dalle parole che ho ascoltato…». «Non me l'aspettavo», confessa dopo ai giornalisti, «ma ci siamo difesi». La moglie Lella è allibita: «non ho parole». Scoppia un caso diplomatico, ad essere fuori di sé è l'ambasciatore italiano a Gerusalemme, Sandro De Bernardin: «Questa è una pugnalata a me… E non me lo sarei aspettato dal Comites – il comitato degli italiani all'estero, qui diecimila persone, non solo ebrei – si sono arrogati il diritto di rappresentare tutti».
Eppure due ore prima il presidente della Camera aveva risposto con la stessa fermezza nell'università Al Quds a studenti e docenti palestinesi che accusano Israele di voler creare «uno stato razzista, con due cittadinanze». Bertinotti ribatte: «Ogni stato che nasce è uno “sgambetto alla storia, ma Israele è oggi è una realtà storica carica di valori simbolici” che vanno riconosciuti».
Hai voglia a spendere fiato in nome del riconoscimento reciproco, «appena esci dagli incontri ufficiali se non dai ragione al tuo interlocutore sei morto», commenta nellasciare la Sinagoga. Eppure la visita era cominciata nel migliore dei modi, guidata nel museo da David Cassato, ex vicesindaco di Gerusalemme (arrabbiato anche lui per l’accaduto). Poi, in una saletta, il «benvenuto» di Vito Anav, presidente degli Ebrei italiani in Israele, si trasforma subito in requisitoria: «ci auguriamo corregga alcuni dei pregiudizi sul conflitto arabo israeliano che ha gran parte della sinistra italiana di cui lei è stato autorevole rappresentante». Bertinotti ascolta preoccupato. Anav lo chiama presidente della Camera solo per chiedergli un «riequilibrio dell'informazione», perché «metta fine alla parzialità della stampa di sinistra…». In stile berlusconiano Anav elenca le «menzogne circolanti…» contro il popolo ebraico, come il «mettere in prima fila i bambini a tirare i sassi contro i tanks israeliani per favorire incidenti e generare l'impatto mediatico di un esercito cinico che spara ai bambini». Bertinotti si drizza sulla sedia, scuote la testa. Anav attacca il governo: «Come può esserci equidistanza o equivicinanza verso la democrazia e il fondamentalismo?». E' ancora peggio quando parla Beniamino Lazar, presidente del Comites, che legge una lettera del professor Sergio della Pergola, noto demografo, partito lasciando il suo j'accuse alla sinistra che ormai gli ebrei italiani in Israele non votano più: «dal 1975 erano per l'80% per cento di sinistra, ora il 60% ha votato a destra». Poi parte la sparata: dal '67, dalla guerra dei Sei Giorni, la sinistra italiana «ha sempre preso il punto di vista palestinese, mai quello israeliano». Bertinotti è buio in volto. Arriva l'affondo: «dopo Sabra e Chatila – la strage di palestinesi in Libano compiuta dall'esercito israeliano – gli ebrei in Italia sono stati perseguitati, c'è stata una manifestazione davanti alla Sinagoga di Roma e un bambino morì in un attentato». È troppo. Bertinotti batte nervosamente un foglio sulla sedia, l'ambasciatore seduto accanto fa cenno a Lazar di fermarsi, ma il presidente della Camera sibila: «No, ora andiamo fino in fondo». Lazar ci va, fino alla richiesta al governo italiano di «essere più duro con l'Iran».
Il presidente della Camera prende deciso la parola citando De Gasperi: «Trovo qui tutto contro di me tranne la vostra cortesia». E cortesemente rimanda i colpi: «Non posso parlare a nome delle sinistre, semmai invitate uno dei leader; non faccio appello alla stampa perché modifichi i suoi orientamenti; non posso parlare per il governo ma la formula dell’equivicinanza voluta dal ministro degl Esteri è intelligente e parla di rispetto e di dialogo». Non rinnega nulla e ribadisce «l'impegno contro il terrorismo» ma anche il riconoscimento reciproco dei due popoli.
L'incontro finisce così, senza quasi contatti. «Certo sono due popoli che hanno entrambe ragione: i palestinesi sono convinti che Israele voglia creare uno stato di apartheid, e del resto quel muro che divide anche l'Università…» dice Bertinotti. «D'altra parte gli israeliani vivono nel terrore e dicono che il muro ha bloccato gli attentati». Quanto all'antisemitismo, «è un pericolo immanente che va combattuto a fondo» ma senza fare un referendum su ogni affermazione del presidente Napolitano (sull'antisionismo che porta all'antisemitismo). Ma quella «sgrammaticatura dell'attacco a una parte politica» proprio non gli è andata giù.
Agli studenti palestinesi (parecchie donne, ormai in gran parte velate) Bertinotti ha parlato della debolezza europea ed ha anche citato il tabu di Aushwitz. Ma anche qui c'è rabbia e Sami Mussallami, sindaco di Gerico, è durissimo: «L'Europa ha voluto la nascita di Israele, non faccia pagare a noi palestinesi il prezzo di quel che ha fatto agli ebrei».
Missione quasi impossibile quella del presidente della Camera in Medio Oriente: anche la ministra degli Esteri, Tzipi Livni, gli ha chiesto conto dell'incontro con gli hezbollah in Libano: che siano stati eletti «non basta, il voto è solo un giudizio tecnico, la democrazia si fonda su valori e sui fatti». Il concetto è che non si possono presentare i terroristi in Parlamento, quindi Livni esclude trattative con Hamas. Unica soddisafazione, l'accoglienza fra bandiere italiane e Inno di Mameli da parte della presidente ad interim di Israele e speacker della Knesset, Dalia Itzik, che ha apprezzato gli italiani nella missione Unifil in Libano.
Oggi un'altra prova per il presidente della Camera: è il primo europeo a parlare al Consiglio Legislativo Palestinese, il Parlamento.

[b]Addirittura di "processo politico" scrive Umberto De Giovannangeli, per il quale, sembra, gli israeliani dovrebbero considerare un loro "amico" chiunque no invochi la cancellazione del loro paese dalla carte geografiche.
Ecco il testo: [/b]

Non è solo un incidente diplomatico. È molto di più. E più grave. Quello che è andato in scena ieri a Gerusalemme è stato un vero e proprio «processo politico». Imputato: Fausto Bertinotti. Giuria e pubblico ministero: i vertici della comunità ebraica italiana in Israele. Bertinotti era in visita in qualita di presidente della Camera, terza carica dello Stato italiano. Di ciò ai «pubblici ministeri» riuniti nell’antica Sinagoga italiana di Gerusalemme, non è importato nulla. Come non è importato che poco prima, davanti a una platea di giovani palestinesi, Bertinotti avesse rilanciato le ragioni di una pace giusta, stabile, fondata sul principio di due popoli, due Stati, due democrazie. Una pace, aveva sottolineato Bertinotti ai suoi interlocutori palestinesi, che passa per un pieno riconoscimento del diritto di Israele ad esistere con la sua identità riconosciuta: quella di Stato ebraico.
Tutto ciò non conta per i «pubblici ministeri» di Gerusalemme. L’occasione è troppo ghiotta per farsela sfuggire: Bertinotti non è più il presidente di uno dei rami del Parlamento italiano, e in quanto tale rappresentante di una intera comunità nazionale; Bertinotti è un uomo di sinistra, un leader della sinistra, e come tale da condannare. Senza appello. E senza diritto di replica. L’incontro con la terza carica dello Stato diviene così l’occasione per scagliarsi contro «la sinistra e l’informazione italiana», accusate, nel migliore dei casi, di «parzialità», nel peggiore di parteggiare per i kamikaze jihadisti che hanno seminato morte e distruzione in terra d’Israele.
L’attacco è totale. Contro la faziosa stampa di sinistra. Contro i partiti della sinistra, senza distinzione alcuna, che dal 1967 in poi hanno operato «una vera e propria pulizia etnica nelle proprie liste elettorali…». E contro un ministro degli Esteri, Massimo D’Alema, del quale, è la sentenza emessa, «è difficile comprendere come possa parlare di equidistanza o equivicinanza usando lo stesso metro per la democrazia (Israele, ndr.) ed il fondamentalismo (palestinese, ndr.). La sinistra italiana è colpevole tout court. Senza distinzioni, senza eccezioni. E di questa sinistra pregiudizialmente anti-israeliana, Fausto Bertinotti «è stato autorevole rappresentante». Non è uno sfogo, dettato dall’esasperazione. È un attacco politico frontale, meditato. Condotto con una aggressività verbale che non era stata neanche accennata in occasione di un analogo incontro che aveva avuto come protagonista l’allora ministro degli Esteri e leader di Alleanza Nazionale Gianfranco Fini, che pure, nel suo trascorso politico, aveva l’appartenenza, e un ruolo dirigente, in un partito, l’Msi, che non aveva certo preso le distanze dalle infami leggi razziali del ventennio fascista.
Che nel passato di una parte della sinistra vi siano state posizioni «filo-arabe», è fuori discussione. E che in settori di essa alberghino ancora atteggiamenti unilateralisti (pro-palestinesi), è altrettanto vero. Ma anche in quella sinistra radicale, della quale Fausto Bertinotti resta un punto di riferimento, sono maturate posizioni nuove, che nulla hanno a che spartire con il vecchio, e deprecabile, armamentario anti-sionista. Questa sinistra che ripensa il conflitto israelo-palestinese e che si assume responsabilità sul campo (come in Libano) riceve il plauso del governo israeliano. Questa sinistra che parla di due ragioni, di due diritti che o vivono insieme o insieme si annullano, ripensa (autocriticamente) il proprio rapporto con la leadership palestinese e con il «mito» di Yasser Arafat. Ma ciò non conta per i «pubblici ministeri» di Gerusalemme. Ad un unilateralismo (filo-palestinese) se ne contrappone un altro (filo-israeliano), e quest’ultimo diviene il metro di misura per «sdoganare» la sinistra, come è stato fatto, sul fronte opposto, con la destra «finiana». Un approccio miope, di corto respiro. Sbagliato per gli stessi interessi, e ragioni, che si vorrebbero difendere. La sinistra deve essere amica d’Israele. Ma un’amica vera, che sa distinguere tra pregiudizi, da respingere, e critiche costruttive. Con uno spartiacque fondamentale: che Israele può essere criticato, quando è il caso, per ciò che fa. Ma difeso, sempre, per quello che è: il focolaio nazionale del popolo ebraico. In questo, e per questo, Fausto Bertinotti può dirsi «amico di Israele». Un amico che andava riconosciuto e rispettato. Così non è stato.

[b]Michele Giorgio sul MANIFESTO critica Bertinotti per non aver risposto alle critiche attaccando Israele:[/b]

In un'atmosfera di fair-play artificiale, in un luogo sacro come la sinagoga italiana a Gerusalemme, ieri il presidente della comunità ebraica italiana in Israele, Vito Anav, ha colto l'occasione per rivolgere un pesante attacco al presidente della Camera Fausto Bertinotti, alla sinistra italiana e, ancora una volta, alla stampa, in particolare quella di sinistra che peccherebbe di «quotidiana parzialità» nei confronti di Israele. Un vero e proprio agguato, scattato dopo che Anav e il presidente del «Comites» Beniamino Lazar avevano accolto caldamente Bertinotti, accompagnandolo nel tempio e nel museo ad esso annesso.
«Ci auguriamo che la sua visita in questo paese sia anche l'occasione – ha esordito Anav, spiazzando Bertinotti – perché si correggano alcuni dei pregiudizi sul conflitto arabo-israeliano, su cui gran parte della sinistra italiana, di cui lei fino alla sua elezione a presidente della Camera è stato autorevole rappresentante, fonda le sue prese di posizione». Un «processo alla sinistra italiana» che ha lasciato di sasso Bertinotti. «Non me l'aspettavo», ha confessato il presidente della Camera ai giornalisti. Poi, amareggiato, ha replicato: «Devo confessare che la profonda emozione che mi ha suscitato la visita in questo luogo è stata arrestata dalle parole sentite qui. Mi dispiace di non essere nella condizione di poter rispondere alla pari, perché il mio ruolo me lo impedisce». Una replica davvero tenera quella di Bertinotti, che ha scelto di usare il fioretto per difendersi da chi lo aveva attaccato a freddo con la sciabola.
E pensare che il presidente della Camera, due giorni fa, aveva incredibilmente ammorbidito la condanna del «muro» israeliano in Cisgiordania fatta anche dal suo partito, suggerendo, di fatto, di abbatterlo quando ci sarà la pace (e nel frattempo centinaia di migliaia di palestinesi come potranno vivere?). Ieri mattina inoltre, due ore prima del suo arrivo alla sinagoga, Bertinotti si era lanciato in un'accorata difesa di Israele quando all'università palestinese di Al-Quds l'ex sindaco di Gerico, Sami Mussallam, aveva invitato gli europei a «risolvere a loro spese il problema della violenza esercitata in passato contro gli ebrei e non a spese dei palestinesi».
«Quasi tutti gli stati ha risposto – hanno dei peccati alla loro nascita, sono spesso prodotto di uno sgambetto alla storia. Il punto è che Israele è una realtà storica che si è caricata anche di valori simbolici. O il valore dello stato palestinese vive insieme a quello di Israele o non si va da nessuna parte se non quella della catastrofe». Una difesa dello stato ebraico che non gli è stata certo ricambiata nell'incontro con la comunità ebraica italiana. Vito Anav gli ha intimato di «adoperarsi per un riequilibrio dell'informazione in Italia» e rivolgendosi ancora una volta alla «stampa» ha chiesto di segnalare «il modo in cui i palestinesi vengono curati e assistiti negli ospedali israeliani, che venga menzionata l'assoluta equiparazione dei diritti tra i cittadini israeliani, palestinesi inclusi; che si condanni chi mette i bambini in prima fila a tirare sassi ai tank per favorire incidenti (sic!) e generare l'impatto mediatico efficacissimo di un esercito cinico che spara ai bambini».
Anav ha omesso che accanto alle cure che gli ospedali del suo paese indubbiamente offrono ad alcuni palestinesi dei Territori occupati, ci sono anche i tanti casi di donne palestinesi costrette a partorire ai posti di blocco chiusi dai soldati; i malati di cancro che non possono recarsi agli ospedali per ricevere le terapie periodiche perché le autorità d'occupazione non concedono i permessi di viaggio tra una città e l'altra; ai fondi palestinesi che Israele blocca da oltre un anno e che hanno lasciato senza soldi la sanità in Cisgiordania e Gaza. Anav vede solo il «bello», ma farebbe bene a documentarsi sulle innumerevoli violazioni e sofferenze e sui tanti diritti negati (tra cui quello alla riunificazione delle famiglie) che il suo paese infligge ai palestinesi da 40 anni.
«La stampa e i giornalisti scelgono liberamente come collocarsi sul terreno e non appartengo alla scuola di chi pensa che l'informazione debba essere neutrale. Chiedo semplicemente che venga declinato in modo visibile il punto di partenza, dopodiché ognuno è in grado di verificare la completezza ed eventualmente di andare a cercare altrove», ha detto Bertinotti in uno dei rari, purtroppo, accenni di contrattacco. L'incontro si è chiuso con fredde strette di mano. Ai giornalisti presenti il presidente della Camera ha detto «Alla fine ci siamo difesi». Maluccio, però.

[b]Scontata difesa di Bertinotti su LIBERAZIONE , nell'articolo di Stefania Podda "La comunità israeliana-italiana contro Bertinotti e la sinistra"[/b]

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