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In memoria del Primo Ministro e Ministro della Difesa dello Stato d’Israele Izchak figlio di Nechemià Rabin nel terzo anniversario del suo assassinio.

Parashat Vajerà

“E fu, dopo questi fatti [dopo queste parole], ed il Signore mise alla prova Avraham.” (Genesi XXII, 1)

“…dopo le parole di Ishmael il quale si vantava con Izchak del fatto che si era circonciso a tredici anni e non si era rifiutato, gli disse Izchak: ‘Tu mi “minacci” con un solo arto, se mi dicesse il Santo Benedetto Egli Sia : ‘Sacrifica te stesso davanti a Me non ostacolerei la cosa.'” (Rashì in loco)

La Parashà di questa settimana ci riconduce alla terribile giornata di Rosh Hashanà. Sia la lettura del primo che quella del secondo giorno del Capodanno infatti, sono parte dalla Parashà di Vajerà.

Ci occuperemo questa volta della “legatura di Izchak”, uno dei più famosi ed allo stesso tempo difficili passi della Bibbia. Cominceremo col dire che la lettura che generalmente siamo abituati a fare dell’intero episodio è profondamente influenzata da un esegesi non ebraica. I Maestri vietano di rivolgersi ad un Tribunale non ebraico anche se questo giudica secondo le norme della Torà. Nello stesso spirito, per occuparci di questo episodio lasceremo da parte ciò che sostengono le altre genti, anche se apparentemente può sembrare molto simile a ciò che dicono i Maestri e ci baseremo sulla lettura che danno i nostri Saggi.

Cominceremo con lo sfatare alcuni “miti”. Nella letteratura rabbinica il termine “sacrificio di Izchak” non esiste. Il sacrificio non è mai avvenuto e non era neanche programmato dal Signore che chiede ad Abramo solo di destinare suo figlio ad essere sacrificato, cosa che coincide con la legatura di Izchak sull’altare. Ecco quindi che i Maestri si riferiscono sempre a questo passo della Torà come all'”Akedat Izchak”, la “legatura di Izchak”. Il secondo punto da sfatare è la rappresentazione grafica che viene data dell’evento nelle stampe antiche e di conseguenza nella nostra immaginazione: il padre che conduce per la mano il piccolo bambino. Non andarono esattamente così le cose: secondo il computo del tempo che si ricava dalla Torà Izchak aveva 37 anni ed il testo della Torà ci ripete due volte che Avraham ed Izchak andarono yachdav insieme. Rashì commenta che ciò significa che andavano a compiere il precetto in armonia ed unione. Questo valeva tanto prima che Izchak sapesse, che dopo. Il verso nel quale Izchak viene messo a conoscenza è proprio il verso nel quale, secondo la lettura semplice, Avraham temporeggia. Alla domanda di Izchak: “Dov’è l’agnello per il sacrificio?” Avraham risponde “Iddio provvederà a lui, l’agnello per il sacrificio, figlio mio”. Basta spostare un accento per leggere come i Maestri leggono “Iddio provvederà a lui, l’agnello per il sacrificio è mio figlio.” Eppure, anche dopo essere stato messo al corrente delle intenzioni di Avraham, Izchak non protesta, partecipa volentieri al suo stesso sacrificio.

È veramente strano che, dopo queste riflessioni dei Maestri, la “legatura di Izchak” venga considerata come una prova per Abramo. Non sarebbe più giusto lodare il sangue freddo di Izchak che si offre volontariamente? La realtà è che dobbiamo capire che qui si va molto oltre la storia narrata dal testo: sono in gioco dinamiche ben più profonde nei rapporti tra uomo e D-o

Avraham rappresenta l’amore di D-o, Izchak il timore di D-o. Avraham rispetta il volere della Divinità perché ama il Signore. Izchak lo rispetta perché è l’ordine del Re del Mondo. Nella mentalità di Izchak non c’è spazio per i sentimenti dell’uomo, D-o fa quello che vuole e l’uomo deve ubbidire. Avraham vuole essere d’accordo con D-o, discute con D-o per essere certo di riscontrare nell’operato Divino quei valori in cui lui crede. Nel mondo di Avraham la giustizia di D-o è nella sua bontà, nel mondo di Izchak la giustizia di D-o è impressa nella stessa Regalità di D-o. È D-o, in quanto tale, ad essere giusto.

Ad Abramo viene chiesto di prendere questa sua propria mentalità e destinarla al sacrificio. A lui che è l’esponente dell’osservanza per amore viene chiesto di innalzare al grado di sacrificio l’esponente della mentalità dell’osservanza per timore.

Iddio è sempre lo stesso: è l’approccio che noi abbiamo che cambia. D-o è lo “scudo di Avraham” ma è anche il “terrore di Izchak”. Avraham si deve autoconvincere che è bene quello che sta facendo. Non può accettare passivamente la volontà Divina perché facendo così si equiparerebbe alla mentalità che sta per eliminare dal mondo.

Ma non è questo che D-o voleva.

Nel fermare Abramo che impugna il coltello e sta per uccidere il figlio D-o chiama due volte “Avraham!, Avraham!”. Chiedendogli il sacrificio lo chiama una sola volta. Da qui i Maestri dicono che è stato più difficile per Avraham rinunciare a sacrificare Izchak che non accettare l’ordine: lui si era ormai convinto che era giusto farlo.

La “Akedat Izchak” è quindi, tra le altre cose una riflessione sul modo in cui si serve D-o.

Avraham viene messo davanti all’evidenza che non è sempre possibile capire il bene che c’è nell’operato Divino. Non lo può capire un padre a cui si richiede si uccidere il figlio. È giusto voler capire, ma non è sempre possibile.

Izchak viene messo davanti all’evidenza che non può eliminare i propri sentimenti per servire D-o. Secondo il Midrash è Izchak che propone di essere legato per evitare di muoversi. Izchak facendosi legare riconosce di non essere in grado di annullarsi al punto di accettare la propria morte. Izchak lo accetta concettualmente, fisicamente è un altro discorso.

Il mondo viene messo davanti all’evidenza che mentre le genti si comportano come gli animali (cfr. Rashì, Shvu lachem po’ im achamor) un padre ed un figlio testimoniano con la loro storia come si serve il Signore.

Così le due mentalità risultano incomplete nel momento in cui D-o porta alle estreme conseguenze due modi di pensare che nella loro buona fede rischiano di minare la sopravvivenza spirituale di un messaggio che è molto più importante delle singole persone.

L’intento di D-o è stato rispettato. Izchak e tutto quello che rappresenta vivranno per sempre come un offerta non sacrificata, per questo Izchak non uscirà mai dalla Terra d’Israele, esattamente come la carne di dei Sacrifici non esce dal Santuario.

Avraham ha capito che ciò che gli si chiedeva era di innalzare una mentalità che lui rigettava ma che a volte ha ragione. Lo impara Abramo dovendo annullare i suoi sentimenti paterni per obbedire al Signore.

Avraham è l’amore. Izchak è la paura.

La realtà è che si serve D-o con entrambe . Questo sarà il compito di Jaqov. Jaqov è la verità.

La verità del fatto che gli estremi sono sempre pericolosi e che il mondo non può essere un mondo di amore o di paura. Il mondo di verità è un mondo che alterna paura ed amore. Almeno questo mondo di verità.

Solo nel prossimo mondo saremo in grado di sacrificare la mentalità di Izchak e di servire Iddio solo per amore, presto ed ai nostri giorni.

Shabbat Shalom,

Jonathan Pacifici

 

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